Giordano Stabile Khalaf

Un’attivista paladina dei diritti umani e della coesistenza pacifica trucidata. Altri 17 civili uccisi a sangue freddo in due giorni. Giornalisti, anche stranieri, bombardati. Le violazioni dei diritti umani nel Nord-Est della Siria sono sempre più massicce. E i responsabili sono gli ex ribelli jihadisti siriani che ora combattono al fianco della Turchia contro i curdi. L’episodio più grave è l’assassinio di Hevrin Khalaf, segretario generale del Partito del Futuro siriano e una delle più note attiviste per i diritti delle donne nella regione. Il fuoristrada Toyota che la trasportava è stata fermato sabato sull’autostrada M4, verso Qamishlo. Un gruppo di uomini armati lo ha crivellato di colpi. Poi ha fatto scendere Hevrin e l’ha uccisa con una raffica a bruciapelo. L’autista e l’uomo di scorta sono stati legati e poi finiti a fucilate. I responsabili sono i miliziani del gruppo jihadista Ahrar al-Sharqiya, in questa fase alleati della Turchia e responsabili di altre esecuzioni sommarie. Hanno diffuso loro stessi due video girati con i cellulari che mostrano il massacro. Nel primo si vede l’attivista circondata da combattenti in mimetica. In un altro è mostrato il corpo di una donna, a terra con il viso e i capelli ricoperti di polvere, oltraggiato. L’agguato è stato teso dopo che i miliziani avevano preso il controllo dell’autostrada M4 e allestito posti di blocco volanti per «catturare terroristi del Pkk». Ma nella rete sono finiti civili innocenti, in fuga. Sabato ci sono state nove esecuzioni sommarie. Nella giornata di ieri, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, altre nove «a sud della città di Tel Abyad». Un convoglio con giornalisti stranieri scortati da guerriglieri curdi è stato colpito invece vicino a Ras al-Ayn. Morto un reporter locale e un inviato ucraino. Sfiorata una troupe francese. Ma la perdita di Hevrin è tanto più dolorosa perché si batteva per la coesistenza pacifica fra curdi, cristiano-siriaci e arabi. In un primo momento la responsabilità della sua uccisione era stata attribuita all’Isis. Fatto plausibile perché sono sempre di più i seguaci del califfato tornati in circolazione. Ieri il campo profughi di Ayn Issa, che ospitava parte dei foreign fighter e loro familiari è stato attaccato dopo che gran parte delle guardie curde lo avevano abbandonato. I jihadisti sono riusciti a liberare almeno 100 ex combattenti e un migliaio di civili, quasi tutti stranieri. Nella sezione speciale del campo c’erano centinaia di donne, molte vedove, trasferite lì durante la battaglia di Raqqa. Ora si sono con molta probabilità uniti ai miliziani. Fonti curde dicono che il caos è stato favorito da un raid aereo turco sulle loro postazioni vicino ad Ain Issa. Altre fonti, non confermate, sostengono che alle porte della città sono arrivate le avanguardie di un gruppo di combattenti arabi alleati della Turchia. Ayn Issa si trova a Sud di Tall Abyad, a 40 chilometri della frontiera, e a 50 chilometri a Nord di Raqqa. È uno snodo strategico che i curdi devono tenere a tutti i costi se non vogliono essere tagliati in due. Il campo custodiva un gran numero di prigionieri di origine maghrebina. Non c’erano però gli ex combattenti ritenuti più pericolosi, rinchiusi in prigioni più sicure, compresa una sempre vicino ad Ain Issa. Almeno tre sono già state attaccate dalle cellule dell’Isis, e da una sono fuggiti cinque jihadisti. I curdi hanno custodito finora 12 mila jihadisti e 90 mila famigliari, la maggior parte nel campo di Al-Hol, vicino al confine con l’Iraq, che sta per esplodere. Ieri hanno detto che «non si sentono più responsabili» della loro sorte. La priorità è sopravvivere ma i jihadisti in fuga potrebbero mescolarsi ai miliziani arabi e rendere la battaglia ancora più terribile.