Giuliano Foschini

Era la primavera del 1980, o forse del 1979, e la temperatura, sui campi della provincia di Brindisi, era già altissima. Si discuteva del rinnovo del contratto dei braccianti e per la prima volta, dopo anni di silenzio, contadini e contadine rivendicavano paghe umane e diritti. «Eravamo trattati come bestie e quel poco che prendevamo dovevamo darlo per metà al caporale: e non c’era grande alternativa, se si voleva lavorare era così. Poi però decidemmo di essere stanchi» racconta quarant’anni dopo Lucia, che passava le sue giornate a testa in giù, a raccogliere pomodori, in quei campi. Quell’estate i braccianti salentini decisero di alzarla, la testa. Perché qualcuno cominciò a convincerli che si poteva fare: una bracciante di Ceglie Messapica, una sindacalista della Cgil, Teresa Bellanova. Era un pomeriggio caldo, a Villa Castelli, feudo dei caporali del brindisino, si stava organizzando la protesta all’interno della Camera del Lavoro, quando due macchine arrivarono sgommando. Erano loro, i caporali. Intimarono ai lavoratori di uscire perché volevano “parlare” con quella sindacalista che si era messa in testa di fare la rivoluzione. Non ci riuscirono. I braccianti la protessero negli uffici del sindacato, le fecero da cordone, i caporali urlarono, minacciarono, ci fu un parapiglia tanto che la polizia dovette intervenire per metterli in fuga. Dall’auto, mentre scappavano, caddero due pistole. Le armi che dovevano servire per spaventare “Teresa”, il nuovo ministro dell’Agricoltura. «Non mi hanno spaventato le pistole, figuriamoci qualche deficiente dietro un computer» sorrideva ieri, ricordando questa storia, con i suoi collaboratori. Ed è proprio quel pomeriggio di Villa Castelli (da qualche parte ci dovrebbe essere anche un reportage di Joe Marrazzo che raccontava la resistenza di quelle braccianti) che dice tutto di Teresa Bellanova: determinata, senza paura. E profondamente scomoda. «Non si spaventa, Teresa non si spaventa» sorride Concetta Basile, oggi dirigente della Cgil e amica di una vita della Bellanova. «Io la conosco bene: negli anni ’80 – racconta – eravamo entrambe nella Federbraccianti, abbiamo lavorato accanto per anni. Io arrivavo da Scicli, provincia di Ragusa. Il mio lavoro era smontare le serre. Lei da Brindisi, e combatteva a mani nudi i caporali: con quelli non ti puoi permettere né di sbagliare né di essere debole. Teresa non lo era. Per questo era molto amata dagli uomini e donne che si spaccavano la schiena in agricoltura e nei cambi di tabacco». La Basile non nasconde momenti di tensione. «Non sono stata d’accordo con la sua scelta di stare con Massimo d’Alema. Ho contestato la sua decisione di affiancare Matteo Renzi. Ma Teresa è così: un treno, un generosissimo treno». Sul suo abbraccio con Renzi la Bellanova racconta spesso un altro aneddoto: «Era l’agosto del 2015, Matteo Renzi aveva letto su Repubblica una storia. Mi chiamò per dirmi: Teresa, non deve accadere più. Ho bisogno di te». La storia era quella di una bracciante agricola morta di infarto mentre raccoglieva l’uva in Puglia per due euro l’ora. Si chiamava Paola Clemente, aveva 53 anni e viveva a Crispiano, 40 chilometri da Ceglie Messapica e Villa Castelli, dove tutto, 40 anni, per il ministro Teresa Bellanova era cominciato.