Giuseppe Sarcina
In Siria gli Stati Uniti fanno un altro passo indietro dalle conseguenze potenzialmente devastanti. Il Segretario alla Difesa, Mark Esper, ha annunciato «il ritiro di tutte le forze americane», circa un migliaio di soldati, dal Nord del Paese. Esper, intervistato dalla Cbs, non ha chiarito se il contingente Usa lascerà la Siria o se, come fanno sapere informalmente fonti del Pentagono, ripiegherà verso Sud, asserragliandosi nella base di Tanf, non lontano dal confine con Iraq e Giordania. Un dato però è chiaro, come spiega uno dei tweet di Donald Trump: «È stata una decisione intelligente non farsi coinvolgere negli intensi scontri lungo il confine turco… I curdi e i turchi si combattono da anni. La Turchia considera il Pkk i peggiori terroristi in circolazione. Altri vogliono intervenire e fiancheggiare gli uni o gli altri. Lasciamoli fare. Noi monitoriamo la situazione da vicino. Guerre senza fine!». A questo punto oggettivamente non è facile orientarsi. Prima Trump smantella i presidi militari al confine, lasciando mano libera a Recep Tayyip Erdogan. Poi sostiene di «voler monitorare la situazione», in una posizione di apparente neutralità. Infine annuncia di «essere al lavoro» con i parlamentarirepubblicani e democratici per imporre «pesanti sanzioni economiche» ad Ankara. Esper ha aggiunto che «lo scenario stava diventando insostenibile»: «Nelle ultime 24 ore abbiamo appreso che i turchi probabilmente intendono estendere il loro attacco più a sud e più a ovest di quanto pianificato all’inizio. Inoltre sempre nelle ultime 24 ore abbiamo visto che le Forze democratiche siriane (in maggioranza curde, ndr) stanno cercando di raggiungere un accordo con i siriani e irussi per contrattaccare i turchi nel Nord. I nostri militari rischiavano di essere presi nel mezzo». In effetti da Damasco arriva la notizia che Bashar al Assad ha deciso di inviare l’esercito alla frontiera, per aiutare i curdi a proteggere la cittadina di Kobane. Nel vuoto lasciato dagli americani, cresce l’influenza di Vladimir Putin, sponsor di Assad, ma anche interlocutore privilegiato di Erdogan. Il capo del Pentagono, ieri, è apparso come rassegnato: «I turchi hanno mobilitato 15 mila soldati, non c’è modo di contrastarli». I raid investono la popolazione civile, con circa 130 mila profughi in marcia verso sud. Colpiti anche i giornalisti: due reporter uccisi, forse quattro secondo fonti di agenzia: un curdo e tre stranieri. Massimo allarme per i terroristi dell’Isis, in fuga dalle carceri. L’ex Segretario alla Difesa, il generale James Mattis avverte: «Se non manteniamo alta la pressione, l’Isis rialzerà la testa in Siria». I margini di intervento sembrano veramente ridotti. La diplomazia, la politica sono in grave ritardo. Il presidente francese Emmanuel Macr o n sta studiando «un’iniziativa» comune con Angela Merkel. La Cancelliera ieri ha telefonatoaErdogan, chiedendogli di fermarsi. E i due Stati europei hanno annunciato la sospensione della vendita di armi ad Ankara. L’arsenale della Turchia, però, è già formidabile. Secondo uno studio della Heritage Foundation, dispone di 355 mila soldati in «prontezza operativa»; 250 tank da battaglia, modello Altay, 350 pezzi di artiglieria sofisticata e 50 elicotteri d’attacco T-129. Per ora la risposta di Erdogan è netta: «Le minacce non ci spaventano, noi andiamo avanti».