Buongiorno a tutti. Dalla crisi di governo alla crisi del Pd è stato un attimo. Il Partito Democratico si spacca sulla proposta di Renzi fra chi vuole le elezioni subito e chi tentare di fare un governo con i Cinquestelle. Intanto Salvini in una intervista al Giornale apre a un incontro con gli alleati per un accordo prima delle elezioni. Buona lettura a tutti.
“Salvini scioglie la riserva” titola il Giornale l’intervista di Alessandro Sallusti al leader della Lega: «Ecco con chi andrò al voto. Chiedo a Berlusconi e alla Meloni di andare insieme oltre il vecchio centrodestra. Guiderò l’Italia del sì contro l’Italia del no. Siamo aperti anche a quei grillini positivi che abbiamo conosciuto. Inciucio? Facciano una roba simile e vediamo chi viene messo all’angolo nelle tante elezioni regionali che stanno per arrivare dall’Umbria alla Calabria, dalla Toscana all’Emilia-Romagna. Andrebbero tutti a schiantarsi sull’altare di Renzi. L’inciucio salva il c… a Renzi. Se si vota dubito verrà eletto… ». More
Secondo Grillo sto parlando con un barbaro, anzi con il capo dei barbari, devo dirle che fa un certo effetto. Ministro Matteo Salvini, conosce la nostra lingua? «Se parla lentamente sì… So leggere, scrivere, fare di conto, stare a tavola. In quanto a Grillo….» Un attimo, andiamo con ordine. Approvare il reddito di cittadinanza e il decreto dignità, tanto per fare due esempi, con il senno di poi, è stata una barbarie? «Io non rinnego mai quello che faccio. Certo, devo confessarle una cosa». Dica… «Sto battendo da quattro giorni le regioni del Sud Italia e parlo con imprenditori, artigiani e commercianti. Tutti si lamentano con me che in queste terre di disoccupazione faticano a trovare ragazzi disposti a lavorare perché i giovani preferiscono stare a casa e incassare il reddito di cittadinanza. C’è qualche cosa di sbagliato». Devo ammettere che lei ha avuto coraggio. Perché aprire la crisi proprio a Ferragosto e non prima o dopo, così le nostre vacanze erano salve? «La politica non è un fatto stagionale. Se i tanti no che ricevevo dagli alleati hanno superato i pochi sì in piena estate non è colpa mia. Quando il vaso è colmo è colmo, indipendentemente dal clima». È riuscito in un colpo solo a resuscitare Grillo e Renzi che erano dati per dispersi, complimenti…. «Già, ma dove pensano di andare? Non oso immaginare una manovra economica scritta da quei due e penso che la sola idea faccia paura a tutti gli italiani». Se le dico «perché non lei con Renzi e o Zingaretti» interrompe l’intervista? «Vediamo la prossima domanda, comunque le dico che io giochini di potere non li faccio. Riportate al governo la sinistra non sarebbe un male per me ma per l’Italia». Lei dice: non ho paura, il popolo è con me. Ma fino a che non si va a votare il popolo conta come il due di briscola. Questi se si mettono tutti d’accordo contro di lei governano per quattro anni filati, hai voglia a schiodarli… «Ci provino e vediamo che succede. Le furbate hanno le gambe corte e le dico anche che in una simile ipotesi la Lega avrebbe tutto da guadarci: non durano quattro anni e al prossimo giro sparirebbero dalla scena politica». Lei oggi ha detto: mi fido di Mattarella. Lei sa che c’è un precedente. Scalfaro, che non è Mattarella, nel 1994 disse a Berlusconi premier: fatti da parte un attimo che ci metto Dini per pochi mesi poi torni tu. Passarono anni prima che Berlusconi potè ritoccare palla… «Ha detto bene: Mattarella non è Scalfaro, e poi non siamo più nel ’94. Il paese è profondamente cambiato, la gente ha preso coscienza, sarebbe la prima a opporsi a un simile tradimento della democrazia». Veniamo al dunque. Teme trame di palazzo per evitare le elezioni e metterla all’angolo? «All’angolo? Facciano una roba simile e vediamo chi viene messo all’angolo nelle tante elezioni regionali che stanno per arrivare dall’Umbria alla Calabria, dalla Toscana all’Emilia-Romagna. Andrebbero tutti a schiantarsi sull’altare di Renzi». Renzi? «Sa perché nasce questo ipotetico asse Pd-Cinque Stelle?». Prego… «Per salvare il culo a Matteo Renzi» Posso scrivere «la poltrona»? «Scriva, ma è (…)
(…) la verità. È la sua mossa della disperazione, se si va a votare dubito che rientri in Parlamento». Ma i Cinque Stelle sono così fessi? «Le dico un segreto. So per certo che molti deputati e senatori grillini sono assolutamente contrari all’ipotesi di una alleanza con Renzi e al momento giusto lo dimostreranno». Lei ha detto: prima la data del voto poi eventualmente parliamo di alleanze e di futuri governi. Lei crede nella saggezza popolare, tra i cui motti c’è: prima vedere moneta poi dare cammello… Perché Forza Italia e Fratelli d’Italia dovrebbero aiutarla al buio a fare cadere la legislatura? «Non c’è nessun buio, nelle prossime ore vedrò Berlusconi e la Meloni alla luce del sole». Per dire? «Parleremo sia di elezioni regionali che di quelle Politiche». Qualche anticipazione… «Gli proporrò un patto, l’Italia del sì contro l’Italia del no». Quindi di andare insieme alle elezioni come centrodestra? «Le vecchie classificazioni non mi appassionano. Mettiamola così, oltre il vecchio centrodestra». E cosa c’è oltre? «C’è Forza Italia, c’è Fratelli d’Italia e poi ci sono nuove realtà fatte da buoni sindaci e amministratori». Devo chiederglielo. Quindi non esclude Berlusconi e Forza Italia? «Io non escludo nessuno, questo non è il momento di escludere ma di includere il più possibile. Penso anche ai governatori e ai tanti grillini positivi che abbiamo conosciuto. Non tutti i Cinque stelle sono come Fico o Di Battista». Condizioni? «Non chi è disponibile ad andare anche con Renzi, non chi mi ha insultato per mesi. Per il resto stendiamo un programma e presentiamoci uniti agli elettori». Alessandro Sallusti, Giornale, in prima.
Pd spaccato. Renzi: governo di tutti, anche coi 5S. L’ex premier, nemico dei grillini, apre a sorpresa. Il segretario: dubito molto sia la soluzione. Pd spaccato. Zingaretti cerca l’unità (Stampa p.4). Lo stop di Zingaretti a Renzi: dico no a un esecutivo M5S-Pd. «Daremmo a Salvini un immenso spazio» (Corriere p.2). La proposta di Renzi divide i dem. Franceschini per la pace con i grillini. Calenda: “Idea folle”. E Gentiloni: “Ma quando il gioco si fa duro i duri smettono di litigare”. Renzi: “Chi dirà no a un governo istituzionale che salvi l’Italia si assumerà la responsabilità di consegnare alla destra estremista il futuro dei nostri figli” (Repubblica p.2). Golpe renziano nel Pd Zingaretti resiste, ma “teme” Mattarella (Fatto p.2). Il piano di Renzi: Cantone premier e deficit al 2,9% (Fatto p.3). Il governissimo frantuma il Pd. Ma l’accordo con i Cinquestelle è pronto. Zingaretti contro Renzi, però è vicino ad arrendersi. Nei gruppi dem la maggioranza non vuole le elezioni (Giornale p.3). Con l’ex premier il 70% dei parlamentari. Ma non tutti sono pronti a seguirlo (Repubblica p.2).
Pro e contro. De Micheli: «L’idea di Matteo? Sull’opinione pubblica impatto devastante» (Corriere p.2). L’affondo di Franco Mirabelli, senatore dem, vicino al nuovo leader: “Zingaretti ha ragione a dire che oggi non dobbiamo temere le elezioni. Ex premier sgradevole e offensivo. Sarà il partito a decidere cosa fare. Ancora non è stata votata la sfiducia a Conte, ancora la parola non è passata al capo dello Stato” (Stampa p.4). Il capo dei Comitati Civici Ettore Rosato, renziano: “Niente voto ora, ma mai alle urne alleati con M5S. Ora non possiamo dare il Paese a chi vuole pieni poteri. Una strategia di emergenza e non elettorale per governare insieme dopo le votazioni” (Stampa p.4).
Scissione se si vota subito. L’ex primo ministro dialoga con M5S e FI sul governissimo. In gara alle primarie di coalizione. Matteo farà schierare i gruppi parlamentari. Franceschini sostiene il governissimo e Orlando vacilla. Se nascesse un governo, per i dem il premier non potrebbe mai essere Fico (Stampa p.5). L’ex leader pensa alla scissione mentre Zingaretti aspetta Mattarella. Bettini media: se c’è un esecutivo di lungo respiro… (Corriere p.3). Renzi pronto alla scissione prepara “Azione civile” e la rottura nei gruppi dem. Nel Pd zingarettiano invece si affaccia l’idea di un “governo di legislatura” con i grillini che duri almeno fino al 2022. Il leader non chiude (Repubblica p.3). Zingaretti boccia Renzi. Lui accelera la scissione e prepara “Azione civile”. Il segretario prova a uscire dall’angolo: no al governo a tempo, sì di legislatura. L’ex premier convinto che a seguirlo sarà almeno la metà dei parlamentari (Messaggero p.4). Maria Elena Boschi: «Superiamo le liti con i 5Stelle, il Paese ci sta più a cuore del Pd». L’ex ministro renziano: «Nessun inciucio da Matteo invito trasparente a tutte le forze. I no alla direzione dem erano prima della crisi. E sarebbe un governo istituzionale, non politico» (Messaggero p.5). «È vero, non volevamo aprire ai Cinque Stelle. Ma la Lega va fermata». Guerini: «Come dice Nicola, confrontiamoci» (Corriere p.3).
Mattarella. Il Quirinale non lavorerà per costruire maggioranze. Un’eventuale coalizione dovrebbe avere identità di governo. Marzio Breda sul Corriere (p.8). Le vacanze operose del Quirinale: le elezioni non sono l’unica opzione. Il Colle si tiene lontano dai giochi. Ma se spuntasse un’intesa… (Giornale p.2). More
E se si formasse davvero una nuova maggioranza per procrastinare l’ufficializzazione della crisi e contro le elezioni d’autunno — ma soprattutto contro la Lega, data per vittoriosa con un larghissimo margine— che cosa farebbe Sergio Mattarella? Ci metterebbe subito sopra il proprio sigillo, tenendo a battesimo un governo del presidenteodi scopo o di salvezza nazionale o comunque lo si voglia chiamare?Quali condizioni dovrebbero verificarsi, dal punto di vista delle corrette prassi costituzionali e delle sue personali convinzioni su ciò che in politicaèdecente e tollerabile, per potere avallare una simile alternativa allo scioglimento delle Camere a neppure 18 mesi dal loro insediamento? Ecco le domande in sospeso sul Quirinale, dopo che Matteo Salvini, tra un comizio e l’altro del suo tour balneare, ha definito «un film dell’orrore» l’ipotesi di un esecutivo che lieviti tra «inciuci e giochi di Palazzo, compreso il lodo Grasso» per impedirgli di lucrare il grande vantaggio elettorale di cui si sente già sicuro al cento per cento. Il capo dello Stato naturalmente non interviene, come pure da più parti gli è stato chiesto, anche con toni non sempre garbati. Sta in silenzio, recuperando un po’ di riposo alla Maddalena,eil perché è intuibile: i negoziati fra i partiti sono in corso tra infinite variabili e di tutto questo lui si occuperà soltanto dopo aver sentito lo svolgimento del dibattito parlamentare per la sfiducia al premier Giuseppe Conte. Un banco di prova, quello previsto al Senato la prossima settimana, per la futuribile alleanza e per Mattarella. Sarà infatti il passaggio attraverso il quale verificherà in concreto — proprio aritmeticamente — l’esistenza dell’inedita maggioranza che qualcuno comincia adesso a vagheggiare in modo affannato. Per esempio i leader di forze che fino a una settimana fa erano prigioniere della più assoluta incomunicabilità. Cioè il padre del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo, e l’ex leader del Partito democratico (e in esso ancora magna pars), Matteo Renzi, che si indirizzano segnali di fumo, mentre emissari di altri partiti tentano dialoghi. E qui sta il punto politico preliminare: l’eventuale neo-coalizione non potrebbe esprimerebbe un esecutivo credibile, agli occhidel presidente, senascesse esclusivamente «contro» qualcosa e non «per» qualcosa. Bisogna dunque che possegga, oltre agli indispensabili numeri in Parlamento, quella che andrebbe definita una «identità di governo». Ci vuole, insomma, un programma, per quanto limitato, e un orizzonte temporale coerente con esso. Sulla compatibilità di questi due aspetti dovrà risultare un credibile comune denominatore, altrimenti il Paese rischierebbe di scansare le urne d’autunno solo per essere proiettato in un’altra stagione di instabilità destinata anch’essa al fallimento. Tutto ciò, chiunque abbia responsabilità politiche anche minime lo sa. Come del resto sa di non poter chiedere soccorso al Quirinale con l’obiettivo che lassù si lavori a formare la grande intesa per «fermare i barbari» invocata da Beppe Grillo e da Di Maio. Quello che sicuramente il presidente Mattarella non farà, sarà di mettersi lui a cercare i voti uno per uno. Perché non è lui che costruisce le maggioranze. Può semmai, inassenza di qualsiasi accordo, dar vita a un governo di garanzia elettorale che traghetti il Paese al voto, al posto dell’ormai defunto esecutivo gialloverde. Marzio Breda sul Corriere a pagina 8.
Mattarella 2. Tre uomini e una donna per l’esecutivo tecnico auspicato da Mattarella. Cartabia, Flick, Cottarelli e Draghi, gli indipendenti per la Repubblica. Impazza il toto-nomine. Conte potrebbe tornare in gioco come leader M5S (Stampa p.2). More
Quattro carte da giocare sul Colle più alto. Quattro ipotesi di governo: uno solo per portare il Paese alle urne, altre tre proposte con obiettivi diversi. Solo una potrebbe essere quella con cui, quando finirà la fase 1 di questa crisi (sfiducia o dimissioni di Conte), il Presidente della Repubblica tenterà di mettere ordine nel caos della legislatura. Sotto il profilo del premier un Professore, o una Professoressa, avrebbero più chance di un politico. Dal punto di vista dei numeri – il Magic Number è 161, la maggioranza al Senato – escluso il gruppo Lega (58 senatori) tutte le carte “giocano” partendo dalla necessità di un patto Pd (51 senatori) e M5s (107) a cui si aggiunge buona parte del gruppo Misto (15 senatori) dove siedono i 4 senatori di Leu e i 4 ex M5S (Buccarella, Martelli, Nugnes, De Falco). Il totale fa 166 voti. Garanzia elettorale Sulla prima carta, la prima ipotesi, c’è scritto «governo di garanzia elettorale». Si tratta di un esecutivo che dovrebbe portare il Paese al voto il prima possibile. Molto difficile prima di novembre. Da qui ad allora sarà necessario avere un governo elettorale visto che molti costituzionalisti concordano sul fatto che non si possa fare una campagna elettorale da candidato premier al ministero dell’Interno, che è anche la macchina elettorale. Anche Salvini lo sa. Si fanno i nomi di due ex presidenti della Corte Costituzionale: Valerio Onida e Giovanni Maria Flick. Possibile però anche l’incarico a Giuseppe Conte (Conte bis) o a Giovanni Tria. Nel caso l’esito elettorale non garantisse subito una nuova squadra di governo, Tria potrebbe restare in carica per definire la manovra. Il centrodestra compatto non darebbe l’appoggio a questo esecutivo. Governo no Tax La seconda carta si chiama «governo no Tax», altrimenti detto «di tregua». Presuppone un esecutivo che resta in carica fino a febbraio-marzo e scrive la legge di bilancio. Nell’ambito dei parametri europei. Il candidato premier sembra poter essere solo uno: il professor Carlo Cottarelli che già nel maggio 2018 entrò col trolley al Quirinale per poi uscirne dopo la nascita del patto Lega-M5S. Governo istituzionale La terza carta è «il governo istituzionale», quello ipotizzato da Renzi e a suo modo vagheggiato anche da Grillo per «fermare i barbari». Questa carta è più impegnativa rispetto alle altre perché prevede il voto a maggio del 2020 e avrebbe in agenda alcune importanti riforme: la legge di bilancio, il taglio dei parlamentari, condizione imprescindibile per i 5 Stelle, con tutto quello che si porta dietro (referendum e riforma dei collegi) e correzione delle legge elettorale che diventerebbe un proporzionale puro. In questo caso la scelta del premier diventa per il presidente Mattarella un po’ più creativa. Dal mazzo delle opzioni potrebbero uscire i nomi della presidente del Senato Elisabetta Casellati se l’obiettivo dovesse essere quello di strizzare l’occhio al centrodestra e convincere un pezzo di Forza Italia. Oppure quello di Roberto Fico per blindare il consenso del M5S. Ma il Capo dello Stato potrebbe tirare fuori dal mazzo un jolly: la vicepresidente della Corte Costituzionale Marta Cartabia, 56 anni, entrata alla Corte nel 2014 nominata proprio da Mattarella. Una soluzione innovativa. Governissimo C’è infine la quarta carta, l’unico vero «governissimo» che presupporrebbe un accordo politico oltre che tecnico. Nessuno ne parla a voce alta, visto che resterebbe in carica fino al 2022. Dunque anche per l’elezione del successore di Mattarella che, in caso contrario, sarebbe eletto dal governo Salvini. Un azzardo, non c’è dubbio. Il cui scalpore – la Lega resterebbe fuori – potrebbe essere taciuto solo con una carta choc per tutti: Mario Draghi, che a novembre lascerà la guida della Bce. In alternativa anche Giuseppe Conte, il nuovo leader del Movimento. Dipende, anche, come andrà il faccia a faccia con Salvini a palazzo Madama. Da non perdere.
Mattarella 3. Le ipotesi istituzionali in mano a Mattarella. Fabio Martini sulla Stampa (p.9). More
Quale è il primo appuntamento formale di questa crisi di governo?
Oggi si riunisce l’Ufficio di Presidenza del Senato, dove è stata depositata la mozione di sfiducia della Lega. I Presidenti dei vari gruppi devono decidere la data nella quale dovranno riunirsi i senatori per discutere e, nel caso, votare la mozione leghista. L’Ufficio di presidenza del Senato, sotto la guida della Presidente Casellati, è chiamato a discutere la data di convocazione dell’Assemblea e l’ordine del giorno della seduta.
È possibile che il Senato sia chiamato a riunirsi prima di Ferragosto?
No. La data più probabile è il 19 agosto, massimo il 20.
Quel giorno si discuterà solo la mozione di sfiducia nei confronti del governo?
Ci potrebbe essere la richiesta, da parte del Pd, di discutere prima un’altra mozione di sfiducia, nei confronti del ministro Salvini, perché è stata presentata prima di quella sul governo.
Potrebbe esserci questo colpo di scena?
No, è molto difficile. Dovrebbe prevalere la proposta della Presidenza di dare priorità alle Comunicazioni del premier.
Il governo sarà sfiduciato?
La seduta del Senato potrebbe anche concludersi senza voto, col presidente del Consiglio che prende atto e va a riferire al Capo dello Stato. Ma non cambia la sostanza. Dopo la seduta del Senato, il governo Conte non godrà più della fiducia del Senato.
Dovrà essere convocata anche la Camera?
No. La sfiducia in una Camera è sufficiente.
A quel punto Mattarella cosa farà?
A partire dal 21 o dal 22agosto, il Capo dello Stato avvierà le consultazioni per verificare le intenzioni delle forze politiche.
Quali sono le ipotesi più probabili?
Non è possibile fare previsioni. Le ipotesi in campo sono tante e tutte molto diverse. Il Capo dello Stato anzitutto deve verificare se esista la possibilità di far nascere un governo politico, capace cioè di ottenere la fiducia e di proseguire fino al termine della legislatura.
Se questa ipotesi non dovesse concretizzarsi?
Il Capo dello Stato verificherà se esistano o meno le possibilità di realizzare un governo elettorale. Per accompagnare le operazioni elettorali e lasciare poi il campo al governo che uscirà dalle elezioni. Fabio Martini sulla Stampa a pagina 9.
In aula al Senato. Mozione di sfiducia a Conte. Il centrodestra tenta il blitz. Spinta di Salvini per andare in Aula il 13. Decisive le scelte di Casellati (Corriere p.5). La Lega si affida alla Casellati. Il presidente del Senato potrebbe convocare l’aula sul calendario, aprendo alla sfiducia. I numeri per un esecutivo a tempo tra renziani grillini, +Europa, Leu e autonomie ci sarebbero. Il vertice di Palazzo Madama contrario a discutere per prima la mozione contro Salvini (Messaggero p.3).
Il costituzionalista. L’intervista di Liana Milella al costituzionalista Luciani. “Tre strade di fronte a Conte. E il Parlamento ha ripreso un ruolo. Il capo del governo può rincollare i cocci, cercare nuovo sostegno oppure dimettersi. Il taglio dei parlamentari? Così non mi convince” (Repubblica p.10). More
ROMA — «Il Paese ha bisogno di una maggioranza solida, e questo chiede la Costituzione». Massimo Luciani, costituzionalista della Sapienza, vede con Repubblica il film della crisi. Come giudica le modalità di questa crisi e che sbocchi vede? «All’inizio è sembrata una crisi sospesa tra la modalità parlamentare e quella extraparlamentare. Adesso invece pare indirizzata decisamente verso la formalizzazione parlamentare». Si riferisce alla scelta di Conte di imporre il dibattito nelle Camere? «Evidentemente sì. E questa è la prova della forza delle regole parlamentari anche in un sistema nel quale il Parlamento sembra messo all’angolo dal protagonismo del governo». Cosa può succedere oggi sull’incastro delle mozioni di sfiducia, quella del Pd e quella di Salvini? «È ovvio che il voto favorevole anche a una sola di queste mozioni comporterebbe l’obbligo di dimissioni del governo, ma quali possano essere le tattiche politiche dei gruppi parlamentari, al momento attuale, è davvero difficile da prevedere». Se la mozione di Salvini finisce in minoranza la crisi si apre ugualmente? «La crisi parlamentare no, ma resta sempre il problema dell’identificazione di una eventuale maggioranza alternativa a quella attuale: in mancanza, si aprirebbe fatalmente una crisi extraparlamentare». Sta dicendo che una nuova alleanza si potrebbe già aprire nel dibattito di fronte alle Camere? «Tutto può succedere, anche che gli attuali litiganti facciano pace…». Sembra assai improbabile. Salvini vuole andare al voto. «Certo, ma visto che la politica italiana, ormai, è fatta più di tattiche che di strategie, nessuno è in grado di fare previsioni ragionevoli sulle scelte tattiche dei partiti». Ma di fatto ormai privo di una maggioranza, Conte cosa può fare? «Un governo senza maggioranza parlamentare non può stare in piedi. Quindi delle due l’una: o il presidente del Consiglio rimette assieme i cocci della maggioranza che l’ha sostenuto finora, oppure cerca una maggioranza alternativa. Se nessuna di queste ipotesi si realizza, deve dimettersi». Quindi Conte, prima di recarsi da Mattarella con la lettera di dimissioni, può cercarsi da solo una nuova maggioranza? «La correttezza istituzionale impone comunque di riferire al capo dello Stato in casi di questo genere». E Mattarella, a questo punto, che fa? Apre già le consultazioni? «Quelle vere e proprie si aprono solo dopo le dimissioni, tuttavia è chiaro che il capo dello Stato non potrebbe restare inerte, perché dovrebbe assicurare al paese una maggioranza, in questo Parlamento o dopo nuove elezioni». Che chance ha Conte di restare premier? «Dipende tutto dagli interessi dei partiti. Mi piacerebbe sperare che per una volta si fosse capaci di valutarli anche nella prospettiva dell’interesse nazionale. In altri paesi europei questo viene sempre prima degli interessi di partito. Da noi no. E si vede». Con che criteri Mattarella dovrebbe incaricare Conte o un nuovo premier? «Fermo restando che il presidente sa benissimo cosa fare, il criterio è quello usuale: fare la scelta più efficace per ottenere il risultato di trovare una maggioranza solida. È questo che la Costituzione vuole, ed è di questo che il Paese ha bisogno». Mattarella potrebbe anche rinunciare e fissare subito la data delle elezioni? «Il presidente ha un ampio margine di scelta: se verificasse l’inesistenza di una maggioranza nell’attuale Parlamento sarebbe pienamente legittimo scioglierlo». In questo caldo agosto quanto potrebbe durare tutto questo? «Tutto il tempo necessario per capire quali sono gli equilibri politici. Ma senza indugi: i tempi della manovra di fine anno, ormai, stringono». Si può ipotizzare un governo di scopo per evitare l’aumento dell’Iva, e al contempo votare il taglio dei parlamentari e una nuova legge elettorale? «Sono temi del tutto disomogenei. Le difficoltà economiche del paese impongono una soluzione rapida ed efficace della crisi. Quanto alla legge elettorale sarebbe auspicabile studiarla con attenzione, visti i disastri combinati nelle ultime legislature». Lei è favorevole al taglio delle poltrone? «Già parlare di poltrone non mi piace. Avere un seggio parlamentare significa impegnarsi a servire le istituzioni. È certamente possibile una riduzione del numero, ma la riforma proposta mette a rischio la rappresentatività del Parlamento. Nei principali paesi europei il rapporto tra popolazione e seggi non è molto più alto del nostro. E non posso credere che si decida sulla rappresentanza parlamentare pensando al risparmio di qualche milione di euro». Il suo è un giudizio strettamente tecnico, o un po’ politico, cioè boccia una riforma M5S? «Non mi passa nemmeno per la testa. La mia valutazione è strettamente tecnica. Non m’interessa affatto la paternità o la maternità delle proposte di riforma. M’interessa soltanto se sono capaci o no di far funzionare meglio le istituzioni». Non pensa invece che questa sia una misura che, se sottoposta a referendum, otterrebbe il massimo dei consensi? Ammetterà che tutti gli italiani pensano che deputati e senatori sono soprattutto degli assenteisti… «Molto del lavoro parlamentare non è visibile. E comunque spetta ai parlamentari restaurare l’importanza delle Camere e farlo capire agli italiani. Ma, mi permetta di aggiungere, spetta anche agli italiani studiare almeno un po’ la storia e capire che il Parlamento è una grande conquista democratica: sono sicuri che starebbero meglio senza?». Liana Milella su Repubblica a pagina 10.
Grasso: ecco il mio «lodo». «Le opposizioni fuori dall’Aula. E come premier vedrei bene Tria». (Corriere p.5). “Niente sfiducia ma un nuovo governo per la legge elettorale. Ho avuto contatti coi capigruppo Cinque Stelle e Forza Italia. Le istituzioni devono venire prima dei capricci di Salvini”
(Repubblica p.8). More
A Senatore Piero Grasso (Leu), come le è venuta in mente l’idea del suo lodo, cioè delle opposizioni che lasciano l’Aula del Senato al momento del voto sulla mozione di sfiducia contro il governo Conte? «Perché conosco bene il Senatoele sue regole, scritte e non scritte. Per fortuna questo governo è giunto al termine, però non capisco perché l’opposizione dovrebbe fare il lavoro sporco per conto di chi chiede pieni poteri e, senza dimettersi, vuole anche gestire dal Viminale le prossime elezioni. La seconda motivazione è creare le condizioni per non avere problemi con la legge di Bilancio». Quindi anche lei è per il governo istituzionale, come Matteo Renzi? «Mi pare prematuro. Facciamo un passo dopo l’altro, senza rischiare boomerang». E allora quali sono gli altri passi del lodo Grasso? «Se non ci sarà una votazione il presidente Giuseppe Conte dovrà, alterminedel suo intervento, salire al Quirinale per rimettere ilmandato, e sancire la fine della maggioranza con la Lega». E perché dovrebbe farlo? «Perché questo governo non deve portarci alle elezioni. Il presidente Mattarella, nella sua piena autonomia, potrebbe rinviare Conte alle Camere, dare un incarico se dovesse emergere una nuova maggioranza o nominare un “governo elettorale”, magari guidato da Tria, chepotrebbenonavere la fiduciama resterebbe incarica per gli affari correnti: gestirebbe il voto e avrebbe anche il dovere di preparare una legge di Bilancio al minimo, in caso entro la fine dell’anno non si formi un nuovo governo». Mi scusi, ma non è solo un modo per prendere tempo? «No, è un modo per mettere in sicurezza le istituzioni, la correttezza del voto eiconti pubblici. Se ad esempio Conte desse le dimissioni il19 agosto e il nuovo governo si insediasse il 23, si andrebbe al voto ai primi di novembre. Parliamo di pochi giorni in più rispetto alle richieste della Lega». Salvini dice che non vuole sentire parlare di accrocchi. «Nessun accrocchio, ma a tracciare la rotta è il Parlamento e le decisionifinali spettano al presidente della Repubblica, non a Salvini. Se poi vincerà le elezioni farà la manovra, ma se le urne dovessero rivelare sorprese, cosa possibile, sarà fondamentale avere un governo di garanzia già in carica perfare una manovra che eviti l’aumento dell’Iva». Ha avuto modo di parlare del suo lodo conirappresentanti degli altri partiti? «Sì, certo. Ho parlato con i capigruppo al Senato di M5S e Forza Italia, Patuanelli e Bernini. E anche con il segretario del Pd, Zingaretti. Ma mi sono limitatoaillustrare la mia proposta, non pretendevo certo una risposta su due piedi». Ma per il Pd ha contattato anche Matteo Renzi, visto che nel partito sembrano esserci due linee? «Penso ci sentiremo». Forza Italia accetterà? «Salvini ha firmato un contratto con loro poi ha governato coi Cinque Stelle. Ha firmato un contratto coi Cinque Stelle e lo ha stracciato quando gli ha fatto comodo. So che stanno cercando un nuovo patto con Salvini: auguri!». E con il premier Conte, invece, ha parlato? «No, sono rimasto nel mio ambito, che è quello parlamentare. Ma spero rifletta su questa proposta. È per il bene del Paese, e lascia aperte tutte le possibilità». Lorenzo Salvia sul Corriere a pagina 5.
Consigli non richiesti. Dall’ex toga agli ex dc di lungo corso i pontieri pronti a tutto per non votare. Da Rotondi a Mastella fioccano i consigli per far lievitare una nuova maggioranza (Messaggero p.5). Dai forzisti ai radicali il partito trasversale dei “responsabili”. Anzaldi: si è mai visto un ministro a torso nudo che ci dà ordini? Fornaro: non voglio che l’Italia diventi come la Turchia di Erdogan (Repubblica p.9).
Pericolo spread. Padoan: “Il pericolo è lo spread a 350 punti come qualche mese fa”. Non possiamo dire “ai conti pubblici ci pensino loro”, troppi rischi per l’economia del Paese. E sui mercati è già allarme (Repubblica p.9). More
«Il dibattito di queste ore sulla creazione o meno di un nuovo governo dà per scontato che la situazione economica si possa gestire e che la manovra che si sta avvicinando non sarà lacrime e sangue. Ma né la prima, né la seconda cosa sono scontate: l’Italia è oggi il paese più fragile dell’Ue e un esecutivo “salviniano” aggraverebbe molto la situazione; proprio l’arrivo di Salvini al governo produrrebbe poi una manovra lacrime e sangue». Pier Carlo Padoan, da ministro dell’Economia dei governi Renzi e Gentiloni, ha vissuto tempi difficili. Ma ora, dice, teme, conseguenze drammatiche. Che cosa le fa paura di una manovra “salviniana”? «Partiamo da una premessa: la gestione della finanza pubblica italiana è in una situazione di galleggiamento. Fino alla settimana scorsa mi aspettavo una legge di Bilancio che prevedesse una difesa minimale degli impegni presi con l’Europa. Un’ipotesi non allegra, ma nemmeno tragica, che comunque avrebbe dovuto trovare 40 miliardi circa, compresi i 23 per evitare l’aumento dell’Iva. Adesso invece si prefigura uno scenario di sfondamento. Salvini, che sia sincero o no, con la sua irresponsabilità premeditata sta promettendo cose insostenibili. Stiamo tornando al quadro politico ed economico di qualche mese fa quando lo spread sfiorò i 350 punti». Ma in concreto che cosa succederebbe? «Un governo Salvini potrebbe tradurre in azioni drastiche le riduzioni di tasse promesse, l’eliminazione dell’aumento dell’Iva e chi più ne ha più ne metta, ovviamente senza alcuna copertura e quindi portando il deficit ben oltre il 2% del Pil e facendo salire sensibilmente il debito. Sarebbe l’ennesima inversione a U, più pericolosa che mai vista la nostra debolezza». Vede pericoli anche per la nostra permanenza in Europa? «Una manovra di questo genere ci metterebbe di sicuro su una strada che esce dall’Europa. Il semplice fatto che i temi antieuropei cavalcati dalla Lega tornino in auge viene preso sul ridere da alcuni commentatori, ma molto seriamente dai mercati. Non è un caso se venerdì lo spread è salito di colpo a quota 240». Finora però Salvini, come i grillini, ha abbaiato molto sullo sfondamento dei conti pubblici, ma poi non ha morso tanto. Forse anche per merito di Tria… «Io parto dal presupposto che questa volta Salvini, per ragioni evidenti e anche meno evidenti, abbia voglia di andare al voto e di attuare le misure economiche che predica. Togliamo di mezzo l’illusione che andare al voto migliori i margini dell’economia. Anzi, è il contrario». Dunque l’allarme di Renzi, secondo cui è meglio fare alleanze con i Cinque Stelle, è condivisibile «È condivisibile l’appello a un’azione ampia che si ponga a baluardo della stabilità e della sostenibilità. Ma anche nel Pd su questo tema è indispensabile trovare unità: le forze democratiche devono porsi il problema di sostenere sulle loro spalle la responsabilità del Paese». Eppure molti esponenti del Pd preferirebbero che la manovra per il 2020 la facesse chi sta oggi al governo, come appunto Salvini. «Poteva essere una posizione condivisibile se il governo fosse andato avanti; ma adesso dire “la manovra se la facciano loro” significa non solo consegnare il Paese a Salvini, ma anche a un Salvini senza freni sul piano economico. Questo mi preoccupa molto». Francesco Manacorda su Repubblica a pagina 9.
Strategie in Parlamento. Forza Italia fa pesare i suoi voti in Aula. Sul tavolo il patto (e i collegi) in vista delle urne. Le voci di telefonate di Boschi e Renzi agli azzurri (Corriere p.7). Renziani, 5 Stelle e l’incognita azzurra. I numeri dei partiti contro le urne subito. La strategia dell’ex segretario che controlla ancora la gran parte dei gruppi pd (Corriere p.7). Partiti-banderuola sul taglio dei deputati il ddl passa solo coi voti del governissimo. Domani Fico proverà a mettere all’ordine del giorno l’ultimo via libera prima di settembre. Strada in salita. I gruppi hanno votato in modo differente di volta in volta. Lega, Fi, Fdi adesso contrari. Decisiva la posizione dei dem (Messaggero p.3).
Commenti e interviste. La via giusta: è il momento di stare ai fatti. Luciano Fontana sul Corriere.
Gli interessi particolari. Aldo Cazzullo sul Corriere.
Le scommesse dei sette big. Antonio Polito sul Corriere.
Soluzioni urgenti per il Paese, non tornaconti senza strategia. Mario Ajello sul Messaggero.
La strana alleanza e l’uomo solo al comando. Carlo Verdelli su Repubblica.
Il vincitore annunciato. Ilvo Diamanti su Repubblica.
Elezioni e No. La posta in gioco. Stefano Folli su Repubblica.
I pieni poteri generano seri pericoli. Vladimiro Zagrebelsky sulla Stampa.
Il ribaltone che strega la politica. Marcello Sorgi sulla Stampa.
“Il 95% d’Italia è gialloverde. La crisi è un vero enigma”. Intervista a Barbara Palombelli sul Fatto.
Perché la crisi del governo certifica il fallimento di due chiari modelli di populismo. Claudio Cerasa sul Foglio.
Alleanza armata (anti)democratica contro Matteo. Vittorio Feltri su Libero.
È tornato Matteo Renzi. E vuole l’ammucchiata. Maurizio Belpietro sulla Verità.
«Sarà Dihba a risparmiarci l’inciucione con i renziani». Intervista a Pietrangelo Buttafuoco sulla Verità.
Ribaltoni. Tutte le congiure di palazzo che hanno mandato in frantumi le alleanze dei partiti. Bossi, D’Alema e Mastella i registi degli ultimi clamorosi terremoti parlamentari. Parabola dei ribaltoni. Vita e morte dei governi tra inciuci e tradimenti. More
S arà o non sarà il più spettacolare ribaltone della storia patria? Tanto per cominciare, per definire quel che sta covando, bisogna ricorrere ad una parola squisitamente italiana. Ribaltone è un’espressione che assieme a trasformismo, esiste soltanto nel dizionario domestico: due termini molto saltuariamente usati all’estero ma rigorosamente nella formulazione italiana. Tipo spaghetti. O pizza. Se in queste ore il Movimento Cinque stelle si interroga, se accedere alle sirene del ribaltamento della precedente alleanza di governo, i precedenti ai quali attingere sono svariati, alcuni recenti e altri lontani. E coinvolgono personaggi diversissimi tra loro: il padano Umberto Bossi e il sannita Clemente Mastella, un cattolico devoto a Santa Romana Chiesa come Rocco Buttiglione e un ex missino come Romano Misserville, che per molti anni fu devoto alla memoria del duce. I tempi del Risorgimento Per non parlare di padri della patria risorgimentale. Il babbo di tutti i trasformisti si chiamava Agostino Depretis, in gioventù era stato mazziniano e repubblicano ma in maturità era diventato il primo presidente del Consiglio progressista del Regno d’Italia. In un discorso, divenuto celebre pronunciato a Stradella l’8 ottobre 1876, disse la fatidica frase: «Se qualcheduno vuole entrare nelle nostre file, se vuole accettare il mio modesto programma, se vuole trasformarsi e diventare progressista, come posso io respingerlo?». L’indomani i giornali definirono quello di Depretis il «discorso dell’attaccapanni», alludendo al fatto che idealmente tutti potevano appendere il proprio cappello dove indicato dal leader della Sinistra. Ma passeranno ben sei anni perché Depretis potesse valicare gli schieramenti tradizionali, dando vita a una nuova maggioranza «centrista», con l’appoggio di una parte cospicua della vecchia destra. La Seconda Repubblica I ribaltoni veri e propri sono una prerogativa, non della “malfamata” Prima Repubblica ma della Seconda. Il regista del primo e più complicato ribaltone della storia nazionale è Massimo D’Alema, allora segretario del Pds, uno dei due figli legittimi del Pci. Correva l’anno 1994, a palazzo Chigi regnava Silvio Berlusconi con l’appoggio determinante di Umberto Bossi e d’agosto si incontrarono a Gallipoli il leader del Pds e quello del Ppi Rocco Buttiglione. In un pranzo a base di ostriche vengono gettate le reti per superare il governo Berlusconi. Anche se l’operazione più spericolata fu successiva: lo sganciamento di Umberto Bossi dal Cavaliere. Tra i due c’erano divergenze su tutto: giustizia, pensioni e tanto altro. Insomma, una rottura politica. Ma la vera sorpresa non fu quella: la Lega sotto banco aveva trattato il voto favorevole (assieme a D’Alema e Buttiglione) per il governo che sostituirà il Berlusconi-1. A guidarlo, a partire dal gennaio 1995, sarà Lamberto Dini. Con i voti determinanti dell’ex maggiore alleato di Berlusconi. Non si era mai vista una roba del genere: la parola ribaltone nasce in quei giorni. Certo, non è un termine che evoca cieli azzurri e lindi, ma sin da allora il “ribaltonismo”, chissà perché, viene inscritto nel dna nazionale e infatti trascorrono passano soltanto tre anni e siamo al replay. Anche stavolta con la sapiente regia di Massimo D’Alema, ma grazie all’accordo di due ex colonne della Dc. L’ex Capo dello Stato Francesco Cossiga. E Clemente Mastella, già capo-ufficio stampa del segretario democristiano De Mita. In questo caso correva l’anno 1998: il presidente del Consiglio Romano Prodi – appena sfiduciato da Rifondazione comunista – si dichiarava indisponibile a restare al suo posto grazie al voto decisivo dei transfughi in arrivo dal centrodestra. Massimo D’Alema, leader dei Ds, è di diverso avviso e a quel punto, si perfeziona il secondo ribaltone. Mastella rende possibile un passaggio storico: lui, eletto col centro-destra ed ex ministro del governo Berlusconi, mette a disposizione i voti decisivi per far nascere il primo governo guidato da un ex comunista nella storia della Repubblica. E in quel governo entra un altro deputato del centrodestra, l’ex missino Romano Misserville. Sottosegretario alla Difesa, si dimetterà qualche mese più tardi, dopo essersi definito ex fascista senza pentimenti. Il tradimento al regime Ma proprio la caduta del fascismo fu segnata dal più importante ribaltamento dentro lo stesso campo della storia nazionale. Guai a chiamarlo ribaltone, ma certo Pietro Badoglio, Maresciallo d’Italia e tessera onoraria del Partito nazionale fascista, era uno dei pilastri del regime mussoliniano, quando il 25 luglio accetta l’incarico di formare il primo governo dopo la destituzione del Duce. E ora? Stavolta è chiamato al ribaltone non un alleato del partito più forte (come la Lega di Bossi nel 1995) o dei “fuoriusciti” dallo schieramento avverso (Mastella 1998) ma i Cinque stelle, cioè il partito cardine del governo uscito dalle urne del 2018. Fabio Martini sulla Stampa a pagina 7.
Renzi e il partito. Primarie, liti e addii quella storia difficile tra Renzi e il partito (Repubblica p.4) More
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Zingaretti stai sereno. Ci risiamo. Ci sono dei momenti, questo non è il primo, in cui Matteo Renzi non resiste a rimanere nelle retrovie. È una sindrome, Enrico Letta ne sa qualcosa. Ieri gli uomini del segretario garantivano che l’ex sindaco di Firenze non aveva in alcun modo avvisato i vertici del partito dell’imminente inversione a U sul rapporto con i 5 stelle. E che dunque la domenica mattina Nicola Zingaretti ha letto i giornali e si è trovato di fronte al fatto compiuto. Non una semplice giravolta dunque (come le tante che queste ore offrono agli sbigottiti elettori italiani) ma un attacco politico implicito alla segreteria. Non si sa se i gruppi parlamentari di “Azione civile” che i renziani fanno sapere in queste ore di voler costituire nasceranno davvero e se, come paventano le altre correnti dem, saranno l’embrione di un nuovo partito. Certo l’esperienza dice che, qualsiasi cosa accada, i renziani non saranno quasi mai ciò che diranno di essere. La prima mossa è spesso un’intervista. Il 9 luglio 2013 l’allora sindaco di Firenze aveva annunciato, in un colloquio con Repubblica, la sua intenzione di candidarsi alla segreteria del partito. Non che l’allora numero uno guidasse il Pd da molto tempo: Guglielmo Epifani era stato eletto 60 giorni prima. Ma non si poteva più aspettare. Bisognava organizzare le primarie e dare un nuovo leader al Pd. L’8 dicembre con la festa dell’Immacolata Renzi conquista la segreteria. Commettono un grave errore coloro che pensano che la sua corsa frenetica si fermi qui. Entra subito in rotta di collisione con Gianni Cuperlo, presidente del partito, che infatti lascia polemicamente l’incarico un mese dopo, il 14 gennaio del 2014. Passa un altro mese e, oplà, nel mirino finisce il presidente del Consiglio Enrico Letta, che aveva ereditato il pesante fardello lasciato un anno prima da Pierluigi Bersani dopo la non vittoria delle politiche del 2013. Continua a fare una certa tenerezza il ricordo dell’incontro in streaming tra Bersani e 5 Stelle nel vano tentativo di costruire un’alleanza di governo. Quando si dice i corsi e i ricorsi della storia. Renzi diventa presidente del consiglio con una votazione della direzione del partito a metà febbraio del 2014. E comincia la nota cavalcata con il 41 per cento alle Europee di maggio, la vittoria nelle regionali di quell’anno. Insomma il vento in poppa. Per i critici dentro il partito sono tempi duri. Dopo Cuperlo lasciano Civati e Stefano Fassina («Fassina chi?»). Ma chi se ne preoccupa. Il popolo applaude e non bada a queste sottigliezze. Ci sono degli incidenti di percorso certo. Come le comunali del 2016 quando i grillini si trovano servite su un piatto d’argento le poltrone di sindaco di Torino e di Roma. Nella capitale grazie alla scelta suicida dei dem di attaccare il proprio sindaco, Ignazio Marino. A Torino grazie all’errore di considerare la città un posto sicuro e Fassino un candidato invincibile. Ma chi raccontava queste cose a Matteo Renzi? Pochi dentro il partito, per la verità. L’ubris finirà con il referendum del dicembre 2016: «Se perdo me ne vado». A votargli contro sono quasi tutti coloro che lui aveva maltrattato nella parabola ascendente. Primi fra tutti i sindacati: «Sono fermi al passato. Nel cellulare cercano la fessura per il gettone telefonico». «L’abbiamo trovata», commenterà ferocemente dopo il risultato del referendum un dirigente della Cgil. Ma anche dopo la batosta Renzi, in realtà, non se ne va. Lascia la presidenza al rassicurante Gentiloni, una prosecuzione di Letta con altri mezzi, e se ne sta a curare la segreteria del partito. Ma non riesce a fare unità. Anzi. A febbraio del 2017 si dimette da segretario mentre i bersaniani lasciano il Pd. Renzi si ricandida alle nuove primarie e le vince. Ma sembra ormai una vittoria di Pirro. Si trova a guidare un partito sfibrato dalle guerre intestine e annichilito dalle sconfitte. Ci vorrà la batosta delle politiche del 2018 per spingerlo a lasciare la segreteria. Oggi la lunga incursione dell’ex sindaco di Firenze nel Pd sembra alla vigilia di una nuova svolta: l’uscita dal partito. Ma, nonostante le caratteristiche del personaggio, se quella uscita si verificasse sarebbe probabilmente un errore personalizzarla troppo. Quell’uscita dimostrerebbe che forse è fallita l’idea originaria con cui il partito era nato: tenere unite le culture politiche del Novecento italiano sperando che potessero produrre una politica nuova. In realtà l’amalgama tra sinistra e moderati non è mai completamente riuscito. Anzi. È stata una delle ragioni della litigiosità: per evitare di scontrarsi sulle idee si è preferito combattersi in correnti. E nemmeno lo choc del renzismo è riuscito a curare la malattia di una forza politica che, al contrario di ciò che teorizzava il suo primo segretario, Walter Veltroni, è sembrata spesso un partito a vocazione minoritaria. Paolo Griseri su Repubblica a pagina 4.
Cinquestelle. La mossa 5S: prima del voto su Conte il sì al taglio dei parlamentari. La strategia di Di Maio per disinnescare la crisi provocata dall’ex alleato leghista: “Fiducia in Mattarella”. I dubbi nel Movimento, dove la linea del “no alle urne” non è unanime (Repubblica p.8). Riforma dei parlamentari o sfiducia al Senato. La strategia di Di Maio per coinvolgere i dem. Pontiere con il Pd Roberto Fico, ma anche Spadafora e Lombardi. Oggi assemblea dei parlamentari (Stampa p.6). Di Maio mobilita i suoi: «Pronti a stare a Roma anche ad oltranza». Grillo deciso a fare altre mosse durante la crisi. Governo di scopo, ipotesi di una mozione dei «falchi» (Corriere p.9). L’elogio 5 Stelle a Renzi: è stato responsabile. Il senatore Di Nicola: l’azzardo leghista ha fatto emergere l’attenzione agli interessi del Paese (Corriere p.9). Intervista a Enzo Scotti, l’ex Dc più amato dai grillini: “L’unica via sono le elezioni. No alle scorciatoie con il Pd” (Qn p.3).
Centrodestra 1. «La Lega non può correre sola. Il patto con Fdi lo faccia ora. Le alleanze vanno stabilite prima del voto. All’economia italiana servirebbe una ricetta trumpiana. E con me al governo, contro le Ong si passerà al blocco navale». Intervista di Giorgia Meloni sulla Verità a pagina 7.
Centrodestra 1. Salvini tenta gli alleati: “Voglio il fronte del Sì con Berlusconi e Meloni”. Forse già domani un vertice fra i tre per discutere di politiche e regionali. “Serve una coalizione ma di tipo nuovo con liste civiche e tanti sindaci e governatori. Nel programma meno tasse, autonomia regionale, Tav e riforma della giustizia. Zingaretti è coerente, vuole sfidarmi a viso aperto. Invece Renzi è un ipocrita” (Stampa p.3). Salvini, la tentazione è il ritiro dei ministri. “Patto con Berlusconi”. Il vicepremier teme l’intesa 5S-Pd e accelera sulla sfiducia. Propone una alleanza elettorale a Forza Italia. “Alle urne il 13 ottobre, come in Polonia”. Ma Conte porterà la crisi in Parlamento (Repubblica p.6). «Vedrò Berlusconi e Meloni». Salvini rilancia l’alleanza. Il tour del ministro dell’Interno (con il rosario). In Sicilia nuove contestazioni (Corriere p.6). Antonio tajani: «Senza Forza Italia non si va alle urne. Patto politico col Carroccio prima del voto». Il vicepresidente forzista: vogliamo pari dignità, con l’indicazione chiara della ripartizione dei collegi (Messaggero p.2).
Moscopoli. Il direttore di BuzzFeed: altre novità su Savoini (Corriere p.6). Il governatore lombardo Fontana boccia M5s: «Matteo ha fatto bene. Sull’Autonomia la Lega presa in giro dai grillini». E sul voto: «Troppa incertezza può fare danni» (Giornale p.6). E il Veneto filo Zaia si rivolta contro il capo “Fa solo propaganda” (Repubblica p.6). Lanci di bottigliette insulti e disordini. Al Sud l’ira anti Lega. L’auto del vicepremier inseguita a Catania. L’incontro a Siracusa ritardato dai contestatori. Dieci ragazzi trattenuti dalla polizia: è polemica (Repubblica p.7).
Borghi. Claudio Borghi: “Resteremo sotto il 3%. Con l’aumento Iva il deficit va solo al 2,8%. La nostra manovra è già tutta pronta. Patto istituzionale? Serve alle porcherie. Votare subito si può. Monti è entrato in carica a novembre e non ha avuto problemi. Gli 80 euro? ll saldo sarà a favore dei contribuenti. Nessuno pagherà più tasse (Stampa p.2).
Migranti. Sulle navi Ong è emergenza. A bordo in 400, giù solo i malati. La Ocean Viking, nave di grossa stazza, resta in zona Sar libica e non ha neanche chiesto l’assegnazione di un porto. Ha ovviamente rifiutato l’indicazione della Libia di portare i migranti a Tripoli. La Open Arms invece ha chiesto invano il porto a Italia e Malta. Le autorità di La Valletta erano disponibili a trasbordare solo gli ultimi 39 migranti soccorsi dalla nave proprio su richiesta maltese. Ma motivi di sicurezza a bordo hanno sconsigliato il trasbordo solo degli ultimi arrivati. E Malta non ha accettato di prendere anche gli altri (Repubblica p.25). Banderas e i porti chiusi ai migranti: «Un orrore» (Corriere p.22).
Secessione. La secessione c’è già stata: tra i giovani e gli adulti. La divisione più pericolosa non è quella tra Nord e Sud, ma quella già compiuta tra le generazioni. E tra chi è rimasto in Italia e chi adesso lavora all’estero. Roberto Sommella sul Corriere (p.32). More
A lcuni osserva tori sostengon o che l’unità nazionale sia in pericolo. Scollamento sociale, divisioni politiche e il progetto di maggiori indipendenze locali rendono il nostro Paese più frantumato e vulnerabile. Ma la secessione più pericolosa non è quella tra NordeSud di cui si parla a proposito della riforma delle autonomie regionali, quanto quella che si è già compiuta tra i giovani e il resto della popolazione. Tra chi ha potuto godere di investimenti in formazione e chi no. Tra chi ha lasciato il lavoro con il sistema contributivoomistoechi andrà in pensione oltrei70 anni con pochi spiccioli assicurati. Tra chi è rimasto in Italia e chi ora lavora all’estero. Se il ministro dell’Economia Tria ha messo giustamente in rilievo il deficit che accusa lo Stato dalla fuga dei cervelli, una ricerca dell’Ocse spiega come si sia creato questo buco di bilancio: c’è una netta interconnessione tra la spesa formativa per studenteela crescita del Pil pro capite. Più spendi per la scuola e più ti sviluppi.Inquesta graduatoria l’Italia si colloca ben sotto la media mondiale, con una spesa formativa per alunno di poco più di 7.000 dollari e una ricchezza per abitante di 36.000 dollari. Davanti a noi Paesi che toccano quota 15.000 dollari per l’educazione primaria e secondaria, come la Norvegia, prima in classifica (reddito pro capite di 70.000 dollari) e molti altri che le si avvicinano quali la Svizzera (14.000 dollari spesi per studentee60.000 di redditoatesta), gli Stati Uniti (11.000 dollari e 57.000 di reddito pro capite), l’Irlanda (9.000 dollari contro 52.000), la Germania (10.000 dollari e 48.000), la Gran Bretagna (12.000 dollari contro 42.000), la Francia (9.000 dollari a testa di spesa per alunno e 40.000 di Pil pro capite). Come tutte le classifiche può anche essere pedanteepiena di numeri, ma combinata a un’altra graduatoria ad essa connessa non lascia adito a dubbi su come il nostro Paese spenda più per gli anziani che per coloroiquali dovrebbero dare un contributo decisivo al futuro. L’Istituto Cattaneo, elaborando dati Eurostat, ha messo in relazione la spesa sociale in pensioni di anzianità e reversibilità con quella sociale e la quota di popolazione con più di 65 anni. Più sono alti questi rapporti e meno guardi al futuro. In questo caso siamo penultimi in classifica, con una quota del 59% (spesa pensionistica) e del 22% (over 65 su abitanti totali), davanti solo alla Grecia ma ben dietro tutti gli altri Paesi, Germania, Francia e Gran Bretagna comprese. Non sorprende perciò che sia bloccato l’ascensore sociale. L’Italia è infatti all’ultimo posto nella graduatoria dei Paesi più avanzati tra quelli i cui cittadini di 25-64 anni rivestono una posizione sociale superiore a quella dei propri genitori. La discesa delle classi è stata inarrestabile e davanti abbiamo spagnoli, irlandesi, francesi, tedeschi, norvegesi, americani, inglesi e tutti i Paesi dell’Est Europa. Stanno tutti meglio e il motivoèsemplice: qualcuno ha investito sul motore del montacarichi, che se funzionasse ci farebbe primeggiare nel mondo. Si può quindi discutere delle motivazioni che hanno spinto Veneto, Lombardia ed EmiliaRomagna ad avviare un braccio di ferro col governo Conte per ottenere un federalismo compiuto, probabilmente a danno del Sud, dove peraltro ci sono gli studenti migliori alla maturità, ma gli stessi governatori di queste tre ricche Regioni d’Italia dovrebbero guardare un grafico, fonte Istat: il saldo migratorio con l’estero degli italiani tra i 20ei 34 anni e con un livello di istruzione medio-alto. Se ne sono andati in molti negli ultimi dieci anni proprio dai loro territori. La Lombardia è al primo posto con 25.000 addii, seguita dai 12.000 abbandoni del Venetoeappunto dall’Emilia-Romagna, con 10.000 «fughe» di cervelli. Si faticaacomprendereacosa serva avere più autonomia e spendere di più per chi resta, senza riuscireafermare l’emorragia di forze giovani dal nostro territorio. Così come non si capisceacosa serva il nazionalismo di fronte a questa emergenza. Non c’è nulla di male ad essere sovranisti, a patto che si metta davvero davanti a tutto la Patria, l’interessenazionale e la difesa del presente dei nostriragazzi. Ma se si permetteaoltre 140.000 laureati di lasciare il Paese, il sovranismo diventa masochismo e la decantata sovranità diventa sovranità limitata. E nulla potrà quando tra poco resteranno in Italia solo pensionati, badanti e lavoratori attivi tra i quaranta eisessant’anni, con un peso enorme sulle spalle: mantenere in piedi gli ottimi livelli di assistenza, senza avere però un futuro migliore del passato dei propri padri. Una miniera sociale che ci trasformerà in una splendida ma pur sempre gigantesca casa di cura quando potremmo essere molto di più. Lavorando tutti nella stessa direzione, per il bene del Paese. Roberto Sommella sul Corriere a pagina 36.
L’appello di Boccia. Appello del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ai leader: “Realismo e responsabilità nella prossima campagna elettorale. Subito la riduzione del cuneo fiscale. Non usate il deficit per le spese correnti” (Stampa p.9). More
«Attenti ad usare l’Europa come alibi per la campagna elettorale o a invocare lo sforamento del deficit per fare spesa ordinaria», avverte il presidente di Confindustria Vicenzo Boccia. Che tra voto anticipato e governo istituzionale non si schiera, ma chiede alla politica «realismo e senso di responsabilità». E poi di indicare subito il nome del nuovo commissario europeo, puntando sempre ad un portafoglio economico di peso. «Questa crisi – spiega- cade in un momento delicato per la vita economica del Paese. L’arretramento degli ordini, a partire dall’industria del Nord, è un segnale al quale occorre reagire con una politica economica coerente». Spread su, Borsa giù, Fitch che mette in guardia da possibili deviazioni dalle regole europee: torna il rischio Italia? «Lo spread s’impenna per la dimensioned’incertezzacheporta la crisi e le indicazioni di Fitch ci invitano a fare attenzione alla tenuta del debito. Il rischio Italia potrebbe tornare se ci avviassimo a una campagna elettoralecheusil’Europacomealibi e invochi lo sforamento del deficit per fare spesa ordinaria. Ilsolodichiarareunaprospettiva di questo tipo alimenta l’incertezza e la possibilità di conflittoconl’Europa». Come si può fare per evitare che la situazione precipiti? «Occorre fare appello a tutti i partiti perché si muovano con realismo e responsabilità. Non possiamo avviarci a una campagna elettorale in nome dello sforamento del deficit che non ci porterà da nessuna parte se non all’incremento del debito pubblico». Sul tavolo ci sono due ipotesi: elezioni anticipate o governo istituzionale per fare manovra e taglio dei parlamentari. Cos’è meglio per il Paese? «Noi non entriamo in queste due ipotesi ma poniamo una questione di merito come abbiamo già fatto alla nostra assembleaannuale:occorreuscire dalla tattica e dal presentismo e domandarci che Italia vogliamotra5,10,20anni.Abbiamo davanti a noi alcune scelte importanti a partire dalla scelta del nome del prossimo commissario europeo da fare subito e che a nostro avviso dovrebbe essere alla Concorrenza o al Commercio, all’IndustriaoalMercatoInterno. Ci aspetta una legge di bilancio in cui occorre disinnescare le clausole di salvaguardiaperevitarel’aumentodell’Iva e con risorse non elevate individuare priorità da affrontareconrealismo, consapevolezza e senso di responsabilità comeèancheemersodagliincontritra partisocialie governo». In caso di governo istituzionale chi lo dovrebbe guidare, una figura dal profilo economico o istituzionale? «Le domande che noi ci poniamo sono altre. Per esempio, quali fini vogliamo realizzare andando oltre le tattiche, e con quali risorse, facendo prevalere l’interesse nazionale. Vorremmo chiarire che quando aumenta lo spread e i titoli in Borsa scivolano verso il basso famiglie e imprese pagano di più per i loro mutui e i loro debiti. E aumenta per lo Stato il costo del debito. Ma c’è di più.ITfrdei lavoratorisono investiti in fondi i cui valori seguono anche gli andamenti della Borsa e dell’economia del Paese: incidono sul patrimoniodeicittadini». Se invece si votasse e vincesse la Lega teme il riemergeredei piani per l’Italexit? «Salvini ha spiegato che non ha alcuna intenzione di uscire dall’euro. Ed è bene che questo emerga con chiarezza perchéè contrarioall’interessenazionale. Ricordiamo che degli oltre450miliardidi exportdovuti alla nostra manifattura 250 sono diretti a paesi dell’Unione. Pregiudiziale, inoltre, è non sforare il deficit. Piuttosto,sarebbeutilechel’Italiadiventasse protagonista di una nuova stagione riformista in Europa promuovendo anche una serie d’infrastrutture transnazionali da finanziare coneurobond». Crisi di governo ed eventuale scioglimento delle camere arrestano l’iter di molti provvedimenti. Cosa salverebbe? «Bisognerebbe portare a termine l’attuazione di alcuni provvedimenti importanti per le imprese, a partire dai decreti ministeriali necessari per implementare le misure relative al fondo di garanzia per le Pmi ed al fondo per le imprese della filiera delle costruzioni. Provvedimenti adottati con i decreti crescita e sbloccacantieri che possono produrre effetti positivi sull’economia». Che mettere nella manovra? «Serve mettere quello che è emerso a grande maggioranza dal confronto tra governo e partisociali, associazionid’impresa e sindacati. Tra le tante priorità, tre su tutte: riduzione di tasse e contributi sui salari dei lavoratori italiani (il cosiddetto cuneo fiscale); accelerare anche in Italia sulle infrastrutture realizzabili in tempi certieconrisorsegiàdisponibili in funzione anticiclica; collegareilsalario minimo, alquale non siamo pregiudizialmente contrari, ai contratti collettivi delle organizzazioni maggiormente rappresentative per evitare lo si possa stabilire per legge considerandolo una variabile indipendente dall’economia del Paese. A questo, come Confindustria, abbiamo aggiunto altre proposte tra cui un grande piano d’inclusione giovani. Insostanza,lepartisociali ai cinque tavoli con il governo hanno posto la priorità della centralità del lavoro. Quellavororichiamatodal primo articolo della nostra Costituzione, elemento di coesione del Paese come ci hanno insegnato un grande presidente di Confindustria, Costa, e un grande sindacalista, Di Vittorio, quando nel Dopoguerra stabilirono di ricostruire prima le fabbriche e poi le case. Fabbriche e imprese, il luogo dellavoro». Paolo Baroni sulla Stampa a pagina 9.
Confocommercio. Allarme di Confcommercio: «Sale l’Iva? Italia in ginocchio». Sangalli: «Con l’aumento delle aliquote, sarà recessione». L’imposta varrà il 30% delle entrate fiscali (Giornale p.8).
Egitto e Regeni. L’appello della famiglia Regeni sull’Egitto: “Aiutateci, situazione mai così negativa”. Due anni fa il rientro dell’ambasciatore e le promesse di verità. “Collaborazione ferma, l’Italia ora dia un segnale forte”. Dalla procura del Cairo nessuna novità su Giulio. Ma gli accordi commerciali si moltiplicano (Repubblica p.17).
Versace. Una maglietta scatena la Cina contro Versace (Stampa p.14). Le t-shirt con Hong Kong. Bufera a Pechino su Versace. Indicato come Stato indipendente su una maglietta insieme con Macao. L’azienda: «Un errore, non volevamo offendere la sovranità dei cinesi» (Messaggero p.13).
Giallo Epstein. La sorveglianza sparita nella notte del suicidio, il compagno di cella trasferito: una fine con troppi misteri. Il finanziere trovato impiccato in un carcere di Manhattan: perché non era sotto osservazione se il 23 luglio aveva già tentato di togliersi la vita? (Repubblica p.13). Errori, dubbi e teorie del complotto. E Trump rilancia un tweet su sospetti contro i Clinton. La super assistente la pilota, l’ex amica. Il caso resta aperto. Le vittime adesso porteranno avanti cause civili per ottenere un risarcimento (Corriere p.12). Trump sospetta: “Il finanziere aveva informazioni imbarazzanti su Bill ed è morto”. Aperte tre inchieste. Il democratico bolla le affermazioni come “ridicole e false”. Nelle carte dei magistrati le prove delle frequenti visite alla villa del finanziere. Dietro i traffici di minorenni sempre l’inglese Ghislaine Maxwell. L’ex presidente ospite sull’isola dei festini. Nelle 2024 pagine del rapporto descritti anni di abusi e feste (Stampa p.12).
Yemen, la battaglia di Aden. Offensiva dell’Arabia Saudita. I separatisti si ritirano. Va in pezzi l’intesa tra Riad e gli ex alleati degli Emirati Arabi Uniti. La crisi armata frantuma l’equilibrio fra gli Stati sunniti nel Golfo Persico (Stampa p.10). Yemen, è il Vietnam saudita. La guerra nella guerra spacca la coalizione (Repubblica p.15).
Israele. Scontri e feriti alla Spianata delle Moschee (Repubblica p.15). Sassi contro gli ebrei, interviene la polizia: 15 arabi feriti. Duri scontri. Amman: “Israele colpevole”. Una giornata di scintille durante le feste religiose di ebrei e musulmani (Stampa p.10).
Libia. Raid di Haftar su Tripoli. Violata la tregua. Con l’Italia distratta, l’Europa silente, la terza guerra civile di Libia procede in velocità verso il caos: sabato, a Bengasi, la “capitale” della Cirenaica controllata dal generale Khalifa Haftar, un’autobomba piazzata davanti a un centro commerciale ha ucciso cinque persone, tre erano funzionari delle Nazioni Unite (Repubblica p.15).
Russia. Lyubov, madrina dei cortei che entra ed esce di prigione. «Contro Putin fino al voto». Avvocata e blogger, è una delle leader dell’opposizione a Mosca. La donna lavora da 8 anni per Alexei Navalny e dal 2017 ha uno show politico sul suo canale (Corriere p.13). Il 21enne Zhukov, icona della dissidenza, è stato arrestato con l’accusa di “disordini di massa”. La sua candidatura alle elezioni non è stata ammessa. Appello degli studenti per la liberazione. Yegor, il blogger pacifista che rischia 8 anni di carcere (Stampa p.11).
Zar Putin. Vent’anni di potere della “spia democratica” che ha ingannato l’Occidente. Eltsin lo scelse come premier rassicurando gli Usa: “È aperto verso di voi”. Negli anni però si è dimostrato un leader autoritario, che ora teme la crisi. Popolarità al 60%. In calo rispetto al 2015 quando aveva raggiunto l’86%. Ma in molti scommettono che Vladimir troverà un modo per restare al potere dopo il 2024 (Stampa p.11).
Afghanistan, la guerra inutile. E i rischi del ritiro americano. Gli Usa hanno capito che una vittoria militare, fra le montagne intorno a Kabul, può essere insignificante. Il commento di Sergio Romano sul Corriere (p.13).
Brexit. Il mago della Brexit incassa fondi Ue per la sua fattoria. Scandalo a Londra per Cummings, consigliere fidato di Johnson sul divorzio dall’Europa. 250 mila euro di fondi Ue percepiti dal britannico Dominic Cummings, convinto antieuropeista, in programmi di agricoltura pianificata per la fattoria di famiglia (Corriere p. 15).
Primo single padre adottivo. «Sono il primo padre single con due bambini adottati». Ora anche l’Italia li riconosce. Giona Tuccini, 44 anni: affermato l’interesse superiore dei piccoli. In Sudafrica è consentita l’adozione da parte di un single. In tutti i casi sono previsti un apprendistato obbligatorio in un orfanotrofio e un periodo di affido. In Italia l’adozione è consentita ai single solo in casi speciali: bimbi in particolare situazione di disagio o che hanno un rapporto affettivo di lunga data con chi li adotta. Giona Tuccini, 44 anni, pisano d’origine e docente di Italianistica all’Università di Città del Capo, ha adottato due bambini in Sudafrica. Per la prima volta il Tribunale dei Minori di Roma ha trascritto la doppia adozione decisa dai giudici sudafricani in nome del «superiore interesse dei due minori» (Corriere p.23).
Diabolik, sfida sui funerali ultrà pronti a violare i divieti. I tifosi laziali: «Salutare Fabrizio è un nostro diritto, quindi ci saremo». Il questore ha detto no alle esequie pubbliche. E oggi si pronuncia il Tar. L’appello della moglie a Bergoglio: «Così è stato offeso il nostro dolore» (Messaggero p.11).