Marcello Sorgi

E ra inevitabile che gli sviluppi della nuova inchiesta di Genova sui controlli di sicurezza sulla rete autostradale riaprissero la ferita, che tarda a rimarginarsi dopo oltre un anno, delle 43 vittime del crollo del ponte Morandi. E si tirassero dietro la polemica sulla “revoca” della concessione alla società Atlantia, controllata dai Benetton, che i 5 Stelle vorrebbero estromettere dalla gestione di oltre tremila chilometri di autostrade italiane, anche prima che ne venga accertata l’eventuale responsabilità penale, scelta a cui la Lega nel precedente governo e il Pd in quello attuale sono contrari.

A lla fine della trattativa sul programma che ha portato alla nascita dell’alleanza giallo-rossa e del Conte-bis, il compromesso è stato trovato sul termine “revisione”; di tutte le concessioni, e non solo di quella affidata ai Benetton. Ma dentro la “revisione”, ovviamente, ci può stare anche la “revoca”: e la prova dell’ambiguità scivolosa di questa intesa s’è avuta il primo giorno di vita del nuovo esecutivo, quando la nuova ministra delle Infrastrutture De Micheli ha detto che in base ai nuovi accordi la revoca era stata accantonata, e Di Maio ha subito replicato che non era affatto così. Ma ora che la nuova inchiesta di Genova rivela tracce di un sistema per “ammorbidire” i controlli, anche quelli di funzionari zelanti che non avevano esitato a mettere in guardia i gestori dai pericoli di nuovi incidenti causati dalla scarsa manutenzione, la politica mostra il suo lato debole. Perché non basta dire che la Società Autostrade dev’essere esautorata al più presto, prima di un’eventuale sentenza di condanna. Bisognerebbe chiedersi perché, all’atto della privatizzazione della parte maggiore della rete, fu deciso che lo stesso soggetto che si faceva carico della gestione avrebbe assicurato anche i controlli che sarebbero spettati allo Stato. Con la conseguenza che chi si era assunto il compito di garantire la circolazione dei mezzi, in un Paese in cui le merci di qualsiasi tipo viaggiano prevalentemente su gomma, si sarebbe dovuto assumere quello di fermarla o deviarla, secondo le necessità. Se però si riflette che l’Italia, e soprattutto il Nord Italia, sono territorio di transito di carichi destinati a mercati internazionali, si può capire quale delicatissimo incarico veniva delegato alla società candidata a succedere allo Stato nella gestione di una delle più malandate reti autostradali d’Europa. Basta parlare con un ingegnere addetto a questo genere di verifiche per capire quanto è difficile il responso: ci sono viadotti costruiti quando erano ancora da venire gli odierni super autotreni, i cosiddetti “trasporti eccezionali”, dal peso inimmaginabile fino a trenta, venti o perfino dieci anni fa. Cosa fare: chiudere uno o più tratti di un percorso, lasciarlo aperto alle sole automobili, limitandone il traffico commerciale? E dove mettere l’asticella del limite di sicurezza? Più alta o più bassa? La nuova inchiesta di Genova, scaturita nella stagione infuocata del dopo-crollo dalla denuncia di funzionari che consideravano inascoltati i loro allarmi, scava in questo terreno franoso. Perché è comprensibile, dopo quanto accaduto al ponte Morandi, che un funzionario in buona fede metta le mani avanti, lasciando ad altri la responsabilità di valutare il rischio. Così come è logico che al gradino superiore, chi deve valutarlo, metta in conto altro genere di valutazioni, connesse alle conseguenze – economiche e non soltanto italiane – della chiusura o dell’apertura intermittente di un tratto di autostrada ad alto scorrimento. Al di là delle polemiche sulla “revoca” e sulla “revisione” della concessione ad Atlantia, questo è il problema che Di Maio e Zingaretti dovrebbero affrontare. Uno Stato che non fa più lo Stato. Che si è ritirato dai controlli, facendo di chi gestisce il controllore di se stesso. Infrastrutture da rinnovare o rifare, per adeguarle alle mutate necessità e agli standard europei. Un compito enorme, con poco tempo a disposizione. Non è proprio il caso di sprecarne ancora in inutili battaglie di parole.