Marco Imarisio

L’unica parola che andrebbe sempre abolita è «ricatto». Magari insieme ad alcune pratiche politiche, come l’acquiescenza, la logica della propria convenienza e sopravvivenza anteposta a tutto, anche alla Costituzione. «Siamo sicuri che il governo non modificherà questa legge» dice il presidente Arno Kompatscher a proposito del provvedimento che ha cancellato i termini «Alto Adige» e «altoatesino» da un testo ufficiale della Provincia autonoma. I toni si sono fatti meno perentori dopo che il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia ha detto che la legge verrà impugnata dopo la sua pubblicazione. Ma la sostanza non cambia. La profezia e la perentorietà del governatore della provincia di Bolzano erano dettata da una motivazione poco nobile, ma solida. I tre senatori della sua Südtiroler Volkspartei hanno un certo peso nell’appoggio a una maggioranza dai numeri traballanti in quel ramo del nostro Parlamento. Ma chi è senza peccato scagli il primo vocabolario. Che dire della Lega, il partito del prima gli italiani? A Bolzano fa parte della maggioranza che ieri ha approvato quel provvedimento, e ha due assessori in giunta, tra i quali il vicepresidente. Dopo le elezioni del 2018, che per la prima volta negavano l’autosufficienza alla Svp, l’occasione di prendere il potere era così ghiotta da rendere tutto sommato digeribili le notevoli differenze tra Svp e Lega, e meno indispensabile quella tutela degli interessi patrii tanto cara a Matteo Salvini. Una storia già sentita, dalle parti di Roma. E il fatto che i quattro consiglieri leghisti abbiano fatto il bel gesto dell’astensione, 0 del voto contro, in attesa del report ufficiale dell’aula le versioni divergono, non cambia molto. Ultima viene proprio la Svp, l’autonomia moderata, che ha fatto propria una mozione della minoranza proveniente dai Freiheitlichen, che moderati invece non sono, in quanto espressione dell’area secessionista. Non è una prima volta. Kompatscher ha un bel dire che in realtà la denominazione Alto Adige non è stata davvero abolita. In questa legislatura, e in quelle passate, ci sono già state alcune limature all’italianità del linguaggio, passate inosservate o registrate al massimo alla voce «folclore locale». Quest’ultima e più evidente restrizione non è solo un incidente di percorso, ma rappresenta anche un altro tentativo di compiacere le pulsioni che provengono dalla pancia di quella società, contando sul proprio peso nel Parlamento italiano. Lo sbianchettamento di quelle due parole, che non dovranno più essere usate dal giorno successivo alla pubblicazione nel Bollettino ufficiale della Regione, non ha conseguenze solo linguistiche, al netto dell’effetto cacofonico che potranno generare frasi di nuovo conio come «quest’anno andiamo in vacanza nella provincia autonoma di Bolzano e Sud Tirolo». Non è neppure una questione di patriottismo o di muscolosità sovranista. Lo dimostrano le reazione contrarie di persone di diversa provenienza come Carlo Cottarelli o Maria Elena Boschi, che parlano entrambe di precedente pericoloso. Come sa bene anche l’Svp, l’articolo 116 della Costituzione dello Stato al quale appartiene questa provincia parla espressamente di «Trentino-Alto Adige». Cancellare quelle parole significa compiere, magari senza neppure volerlo fino in fondo, uno strappo dal valore simbolico elevato. Le parole sono importanti, sempre. Negarle, o peggio rinnegarle, per questo continuo e maldestro tentativo di solleticare la pancia dell’irredentismo sudtirolese non è solo un errore. È anche una prova di stupidità storica.