Mario Ajello
Il mondo salvato dai ragazzini, come anche da titolo del romanzo di Elsa Morante, va benissimo. Ma quando, per manipolare i giovani, s’inseriscono gli adulti, va assai meno bene. In una manifestazione bella, partecipata e spiritosa – «Ma se sciojete ‘l ghiaccio, come lo famo er mojito?», «L’Oceano Pacifico si chiama così perché nun je devi rompe er c…» e poi: «Make love not Co2», «We have not planet B», «World Great Again» e la Generazione Thunberg parla molto inglese – capita d’imbattersi più volte in scene così. Un gruppetto di quattordicenni del liceo Righi lungo via Cavour impugna le bandiere rosse dei Cobas. Come mai questi vessilli? «Boh, ce l’ha date un tizio», rispondono gli inconsapevoli portabandiere del sindacato più a sinistra che c’è. E alla testa del corteo sfila infatti il leader dei Cobas, Piero Bernocchi, storico esponente dell’Autonomia Operaia dagli anni di piombo e ora quasi settantenne vestito come un teenager a cui manca soltanto la borraccia di Greta appesa al collo, e i ragazzini naturalmente non sanno chi sia, ma lui e gli altri si sono presi da intrusi una parte della manifestazione. Come vecchie tossine in una nuova battaglia ecologica a cui vogliono pateticamente fare da servizio d’ordine d’antan. E intanto si chiedono i duri dei Cobas, mentre ragazzini e ragazzine zompettano festanti gridando «facciamo l’amore, non facciamo la plastica»: «Ma Bernocchi i capelli se li tinge o è un nero corvino ogm?». Ma a debita distanza dai “vecchi arnesi” e dagli universitari che hanno partorito uno slogan ideologico ma non male («L’ambientalismo senza lotta al capitalismo è giardinaggio»), ecco tante mamme e tanti papà che sfilano in piazza per proteggere la prole e per condividere con loro l’emozione del green dream: «Che commozione, che tenerezza vederli così piccoli e così impegnati i nostri figlioli…». I PICCINI All’angolo con via Lanza, una ventina di bimbi delle elementari Guicciardini tengono insieme alle maestre lo striscione: «Non gettare la sigaretta dammi retta».Ma attenzione, sta arrivando un vecchietto dell’Anpi con al collo il fazzoletto della Brigata Maiella e tutto contento l’anziano neo-resistente al carbon fossile offre una dritta: «Guardi, laggiù abbiamo anche il nostro striscione dell’associazione partigiani». Dietro al quale ci sono alcuni vegliardi su cui ironizzano gli studenti del Mamiani: «E questi da dove arrivano? Dalla casa di riposo?». Simpatici. Come tutti gli altri. Compresi i due ragazzini dell’istituto Vallauri di Velletri che – in mezzo a migliaia di coetanei che a buon diritto gridano «We trust in Greta» e si sentono partecipi del destino del mondo – tengono uno striscione rosso fuoco e molto combat dei «Giovani comunisti/e» con su scritto: «Demercificare la natura». E’ anti-capitalista lei? «Boh, so’ liceale. Mi hanno chiesto di tenere ‘sto striscione ma mica lo capisco…». E il suo compagno dall’altra parte del lenzuolo? «Boh, quello va in seconda B, dove non si fa una mazza». Alle loro spalle ci sono quelli che gli hanno dato lo striscione e vendono Lotta Comunista. Ma nessuno se la compra. I giovani sono più avanti dei vecchi e più imprevedibili e divertenti. C’è una tizia travestita da «madre natura» (così c’è scritta nella t-shirt) che gira sorridendo con un termometro in bocca. E’ bloccato a quaranta gradi e ogni volta che la ragazza lo tira fuori e lo sventola dice: «Ammazza che febbre alta che c’ho!». Una tipa occhialuta del Socrate – «A secchionaaaa…», le dicono le amiche – sfodera il suo cartello: «Più greco meno spreco». Le saltano intorno un po’ di alternativi No Tav, ma lei se ne infischia. Le pischelle accompagnate dai genitori ogni tanto si ribellano all’autorità materna: «A ma, me stai attaccata come ‘na zecca. E scollati!». Di sicuro non riescono a scollarsi anche se quella dovrebbe essere una memoria dei genitori dei genitori, dal mito delle stagioni più eroiche e credono di vedere in questa bella marcia il solito «nuovo ‘68». Chissà se lo vede anche Maurizio Landini, a sua volta in corteo con cappellino rosso in testa, ma qui non lo conosce quasi nessuno né come leader né come influencer e a tutti basta Greta. Anche al piccolo, avrà 9 anni, che avvolto in una bandiera svedese è portato per mano dal papà, il quale con l’altra mano sta sorseggiando dell’acqua da una bottiglietta di plastica e il bimbo lo fulmina come se avesse peccato gravemente: «Ma papiii….». LO SHOPPING Ma al netto delle pantere grigie nel loro eterno ‘68 e di quale professoressa democratica che pensa di fare la rivoluzione con l’imprimatur del ministro («Fioramonti? Ma chi se lo fila…», dicono i ragazzi), questa grande folla di piccoli e medi che esce finalmente dai social e scopre la piazza non digitale rappresenta un segnale incoraggiante. Se sarà capace di andare oltre gli slogan altisonanti e un po’ vuoti («C’avete rotto i polmoni!») e di approdare a una vera conoscenza scientifica delle cose. Intanto qualcuno, non sbagliando, a scuola ci è andato anche ieri. Mentre molti altri hanno invaso i parchi romani, per godersi al sole questo strano sciopero con la giustificazione dei presidi e la benedizione del ministro. A frotte, gli studenti che dovrebbero marciare per Greta s’infilano nei negozi di Via del Corso e dintorni. Eccone una decina, entrano in un megastore che vende scarpe da ginnastica. Ma voi non siete plastic free? «No, siamo di Roma Sud».