Stop del Quirinale al governo istituzionale mentre il Pd apre alla trattativa con i Cinque Stelle ed elenca cinque condizioni per iniziare a discutere. Mattarella: tempi rapidi, esecutivo politico o voto.
Che governo sarà. Mediazione possibile sulla prima donna a Palazzo Chigi. L’identikit somiglia a quello della giudice costituzionale Marta Cartabia. Tramonta il Conte bis. Dalla Bce si fa sapere che Draghi è onorato, ma indisponibile. Tommaso Labate sul Corriere a pagina 3.More
«Non ci impicchiamo al nome di Giuseppe Conte e possiamo lavorare a individuare un presidente del Consiglio “terzo”, fuori dai due partiti». A far decollare la trattativa tra Pd e M5S basta un segnale. E quel segnale raggiunge il quartier generale dei democratici qualche ora dopo la fine della Direzione del partito, che all’unanimità ha approvato la relazione di Nicola Zingaretti in cui si chiede — tra le altre cose — «discontinuità» rispetto al governo precedente. Mentre decine di peones passano il pomeriggio incollati alla tv ad aspettare una risposta del M5S alla proposta di governo di legislatura — che conicrismi dell’ufficialità arriverà soltanto nella giornata di oggi — quell’«ok», partito dalla cerchia ristretta di Luigi Di Maio, ha già raggiunto gli uomini più vicini al segretario Pd. Il fatto che il M5S sia disposto a sacrificare la sua pedina istituzionalmente più rilevante, agli occhi dei vertici del Pd, viene ritenuto un fatto nuovo. E importante. A cui bisogna dare una risposta, per uscire dallo stallo e presentarsi all’appuntamento con il presidente della Repubblica di oggi con una tela che ha già iniziato ad essere tessuta. La risposta arriva subito dopo il tramonto, quando gli ambasciatori del Nazareno lasciano intendere agli interlocutori pentastellati che «a questo punto, i nostri veti sulla presenza di Di Maio nel futuro governo», ove mai nascesse, «non ci sono più». Certo, il vicepremier uscente non potrebbe ambire ai galloni di vicepremier, forse nemmeno a quelli di un ministero di primissima fascia, tutte cose che comunque sarebbero oggetto della trattativa finale. Ma sull’ingresso nell’esecutivo, no; ostracismi di vario tipo non ne subentrerebbero. A tarda sera, quindi, i due fronti un piccolo passo in avanti l’hanno fatto. Eafari spenti. Il «nome» più atteso d’Italia potrebbe essere «terzo» rispetto ai due partiti. Da Francoforte, nel pomeriggio, fonti autorevoli della Bce hanno già fatto sapere che, seppure onorato dell’interessamento espresso da esponenti politici di più parti, Mario Draghi è indisponibile. Tolto l’asso di cuori, dal mazzo viene fuori una carta coperta, già oggetto del dialogo incrociato tra gli ambasciatori. «Il vero elemento di discontinuità, in grado di arrestare sul nascere la smania dei furbetti che potrebbero far nascere il governo per poi togliergli la fiducia a piacimento, sarebbe accordarsi su una donna presidente del Consiglio», riassume uno degli autorevoli «mister X» che fa la spola per tutto il giorno tra la Camera, il Senatoegli uffici in uso ai gruppi di Pd e M5S. La suggestione, prima che sia notte, avrebbe raggiunto sia Di Maio che Zingaretti. Una donna, insomma. La prima donna a Palazzo Chigi della storia d’Italia. Fuori dalle casacche di partitoesenza una storia politica di parte, un identikit che quindi non assomiglia ai profili di Emma Bonino o di Laura Boldrini, tanto per capirci. Un identikit che assomiglia e molto a quello di Marta Cartabia, classe 1963, giudice costituzionale. L’indicazione toglie dal panico il gruppo che guida il M5S. Un gruppo di senatori riunitosi attorno a Paola Taverna aveva iniziatoacaldeggiare elezioni anticipate. «Meglio andare adesso al voto che finirci dopo per mano di Renzi, no? Soprattutto se possiamo sfruttare la popolarità di Conte come candidato premier». Conte, interpellato, aveva già opposto il suo niet. Della serie, «non sono disponibile a candidarmi alle elezioni, se ci saranno». Il premier dimissionario, non è un mistero per nessuno, s’è defilato nella speranza che all’ultimo giro di giostra il suo nome possa di nuovo spuntare fuori. Nonostante il veto di Zingaretti. Già, Zingaretti. Dalle parti del segretario del Pd insistono su una maggioranza «il più ampia possibile» proprio per blindarsi aritmeticamente — soprattutto al Senato — dalla golden share dei renziani. E ottengono, nella massima riservatezza di un dialogo sottotraccia condotto con l’ala di Forza Italia che risponde agli impulsi di Gianni Letta, un risultato non da poco. I berlusconiani staranno all’opposizione, questo è ovvio. Ma un gruppo di «responsabili» che potrebbero diventare sensibili alle sirene di Arcore, qualora al governo nascituro servisse un soccorso, quel soccorso numerico sono pronti a offrirlo. Sempre che il governo nasca davvero.
Renzi vuole il governo, Zingaretti cerca un alleato per fermare tutto: Di Maio. La parola magica del segretario del Pd è “discontinuità”. Ma come si evita un esecutivo fotocopia del disastroso Conte? L’opzione Severino premier. Si fa sicuro, ma anche no. Sul Foglio in prima.
La prima mossa 5S: Conte bis e al Pd il commissario Ue. Ma il no dem al premier in carica è netto (renziani esclusi). La delegazione grillina oggi al Colle per aprire il dialogo sul programma. Ma c’è ancora chi spinge per la pace con la Lega. Repubbblica a pagina 2.
Pd-Cinquestelle, si tratta. I “piccoli”: «Noi ci siamo». Consultazioni al via, LeU e Autonomie pronti a entrare in un nuovo governo. I Misti: no al voto. Con l’appoggio dei gruppi minori numeri “blindati” alle Camere. La maggioranza potrebbe contare su almeno 355 voti a Montecitorio e 178 eletti a Palazzo Madama. Messaggero a pagina 2.
Il retroscena. Zingaretti e Casaleggio, la telefonata che ha aperto la trattativa: proviamoci. Il contatto a Ferragosto ha segnato il disgelo ma gli ostacoli restano molti. Il nodo del premier: tutti i dem convinti che sia necessario puntare su un nome terzo. Goffredo De Marchis su Repubblica a pagina 3.More
Si sono sentiti il giorno di Ferragosto. Nicola Zingaretti ha trovato un messaggio nella segreteria telefonica. «Sono Davide Casaleggio. So che mi sta cercando». Il segretario del Pd ha richiamato e si sono parlati. Partendo dagli auguri rompighiaccio, vista la data. Ma è un passaggio chiave della crisi. Segna il disgelo tra chi muove i fili del Movimento 5 stelle e il potenziale alleato del nuovo governo. Forse Casaleggio non aveva mai sentito o visto prima un dirigente del Partito democratico. Cosa si sono detti Zingaretti lo ha raccontato a pochissimi e non è entrato nei dettagli. Si è capito comunque che la chiamata può rappresentare un momento di svolta perché è un pezzo del dialogo tra le anime più prudenti nella trattativa. Né il leader del Pd né il figlio del fondatore del M5s escludono l’ipotesi del ritorno alle urne mentre intorno a loro ci sono quelli che farebbero l’accordo domani mattina, senza tante storie (Matteo Renzi, Dario Franceschini, Beppe Grillo, Roberto Fico). Casaleggio è andato oltre facendo intendere che in caso di voto anticipato il Movimento si affiderà alla guida di Giuseppe Conte. Il punto vero però è l’ipotesi dell’intesa per l’esecutivo rossogiallo. Zingaretti, nella telefonata, ha spiegato che avrebbe stilato un programma di pochi punti fondamentali. «Io rimango contrario ad accordicchi, a cose di corto respiro». Casaleggio ha risposto chiedendo una sola garanzia: «Il nuovo esecutivo, se nasce, non deve umiliare Luigi Di Maio». Come dire, l’ex vicepremier deve far parte di nuovo della squadra di ministri. Una possibilità che non si concilia con la richiesta di discontinuità promossa dal Pd. Ma per i leader si farà un’eccezione, se serve. Con una certezza. «Io non entro nel governo, questo è sicuro», è la condizione irrinunciabile di Zingaretti. Nessun pressing lo convincerà del contrario. Il nodo che tormenta ora il Partito democratico non è il toto-ministri, ma il toto-premier. L’altro paletto piantato da Zingaretti è il no al Conte bis. «Non possiamo fare le riserve della Lega, loro escono noi entriamo. Non è serio, è solo un ribaltone». Quando stasera la delegazione dem salirà al Colle non farà i nomi di possibili presidenti del Consiglio. La prima mossa tocca ai grillini, partito di maggioranza relativa con il 32 per cento di rappresentanti in Parlamento. Lo stop al ritorno di Conte è condiviso dall’intero Pd sebbene con sfumature diverse. Franceschini considera il bis difficilissimo, poco fair ma non da escludere a priori. Dipende come va la crisi. Se ci si impantana si può fare un sacrificio estremo. Il vicesegretario Andrea Orlando è per il no. Ma la convinzione generale è che serva un nome terzo, una figura di prestigio accettabile da entrambe le parti. Circola il nome dell’ex ministro Enrico Giovannini, quello di Raffaele Cantone. Ma sono solo voci. Adesso però Zingaretti ha il mandato pieno a trattare. Pronto a provarci davvero. La direzione di ieri ha approvato all’unanimità il suo documento, con i renziani tra i più calorosi nell’applausometro. Si è ripreso il ruolo centrale nella trattativa, quello che finora aveva recitato pubblicamente Renzi. C’è, nell’ordine del giorno finale, il programma del Pd per andare a vedere le carte grilline. Cinque punti: appartenenza leale all’Unione europea profondamente rinnovata; pieno riconoscimento della democrazia rappresentativa; investimenti sulla sostenibilità ambientale; svolta nella politica migratoria basata su solidarietà, legalità e sicurezza; attenzione all’equità sociale; bloccare l’aumento dell’Iva. «Se queste condizioni saranno rispettate siamo disponibili a dar vita a un governo di svolta per la legislatura». È il via libera alla trattativa, è targato Zingaretti che ha scritto i punti martedì sera con Paolo Gentiloni, Orlando e Paola De Micheli. Non mancano i paletti contro alcune bandiere del M5s: la democrazia direttavien archiviata e c’è la puntualizzazione su come si sta nelle istituzioni europee. Ma anche grazie alla telefonata con Casaleggio, il segretario sa che il testo dei dem sarà accolto bene sulla sponda M5S. Con una differenza. «Il contratto — precisa il presidente della Regione Lazio nel discorso in direzione — è stato un errore. Lo dico non per spirito polemico ma per evitare di commettere di nuovo uno sbaglio». Deve cambiare tutto rispetto al patto gialloverde. Anche i ministri, a cominciare da quelli dem dei precedenti governi. Si ragionerà sui nomi, su eventuali ripescaggi. Per Zingaretti è troppo presto, anche se Renzi, al quale tutti chiedono garanzie sulla tenuta della linea, mette già in campo i fedelissimi Ettore Rosato e Luigi Marattin.
Salvini non s’arrende. “Governo con M5S”. E avvisa Berlusconi: “Chi fa accordi col Pd non li fa con noi”. Oggi la Lega al Colle: esecutivo a tempo su riforme e manovra o voto subito. Borghi rilancia: via dall’euro. Tommaso Ciriaco su Repubblica a pagina 6.More
Un ex premier per un ex premier: ecco la pazza idea coltivata dai vertici del Movimento per provare a sbloccare la crisi. Il piano, suggestivo ma dall’altissimo coefficiente di difficoltà, può riassumersi in due parole: scambio giallorosso. Prevede di mantenere la poltrona di presidente del Consiglio con Giuseppe Conte e di destinare quella di Commissario europeo a Paolo Gentiloni. Un ex premier per un ex premier, appunto. In modo da far nascere un esecutivo e siglare un patto di legislatura tra i 5S e il Pd. Questo progetto, considerato ragionevole anche dai renziani, è però osteggiato da Nicola Zingaretti. E non è un dettaglio. Di più: il veto del segretario dem sul presidente del Consiglio uscente è incrollabile, almeno per il momento. Per il leader del Pd, infatti, la mediazione deve partire da due punti fermi e non negoziabili: «Non diremo sì a un Conte bis e non entrerò al governo. Sul resto, possiamo ragionare». Il “resto” comprende anche la possibilità che Di Maio diventi ministro. E la casella del Commissario europeo che spetta all’Italia, un incarico che con il passare delle ore assume un peso decisivo nel risiko della crisi. In questa chiave, è impossibile tenere fuori a priori candidati del calibro di Paolo Gentiloni ed Enrico Letta, a patto di immaginare un ruolo all’altezza. Ed è proprio l’obiettivo dei pontieri del Movimento: fissare dei paletti in grado di “tentare” Gentiloni e il Pd. Il primo: il portafoglio affidato all’Italia sarebbe di alto profilo. Si ipotizza una casella rilevante come quella del Commercio, oppure la Concorrenza, che garantisce al Paese che la detiene un potere negoziale altissimo. Quasi impossibile, invece, strappare gli Affari economici, a causa dei conti pubblici italiani sempre in bilico. Il secondo punto fermo riguarda invece il contesto più generale: la missione di un ex presidente del Consiglio a Bruxelles andrebbe inquadrata in un’operazione di “ri-europeizzazione” di Roma, dopo quattordici mesi di attacchi populisti all’Unione. In questa chiave, i grillini pensano di avere incassato un credito risultando decisivi assieme al Pd per l’elezione di Ursula von der Leyen, e quindi sognano un dem a Bruxelles per garantire quella flessibilità che i gialloverdi hanno inseguito come una chimera. “Un premier per un premier”, insomma, se non fosse che Zingaretti non intende smuoversi dal suo veto e considera irrinunciabile quella discontinuità richiesta anche ieri durante la direzione del Pd. Non sarà facile raggiungere un compromesso, perché anche nel Movimento iniziano a scorgersi le prime crepe. L’ala filoleghista, assai minoritaria ma che conta su Alessandro Di Battista e Stefano Buffagni, è comunque decisa a farsi sentire. Pressa Di Maio, gli chiede di lasciare aperto uno spiraglio per una ricucitura che, al momento, appare più che improbabile. Il problema è che voci sempre meno isolate iniziano a mettere in discussione anche la figura di Conte. Bastava ascoltare ieri alcuni grillini di peso in Transatlantico: c’è chi gli rimprovera eccessiva arrendevolezza con Salvini nei quattordici mesi di governo, e chi invece gli imputa una strategia volta a scalzare Di Maio. Un ulteriore freno a un bis. Proprio Di Maio soffre in questa fase pene politiche di non poco conto. Sa che un patto con il Pd rischia di consegnarlo alle retrovie del governo, di spingerlo forse addirittura fuori dall’esecutivo, costringendolo a riporre nel cassetto il suo sogno: la Farnesina o, in seconda battuta, il Viminale. Ciononostante, ha bisogno di evitare il voto. Per questo oggi al Colle porterà i temi cari al Movimento – dal salario minimo all’acqua pubblica, il taglio dei parlamentari, la riforma della giustizia e del conflitto d’interessi – e chiederà di trattare un nuovo esecutivo partendo proprio dai contenuti. Non con tutti, però: con il Pd. Un modo per cogliere la mano tesa da Zingaretti, assecondare i cinque punti programmatici dem e accogliere l’invito del Colle a fare in fretta. È ovvio che il grillino chiederà qualche giorno per avviare la mediazione. E che lo stesso farà Zingaretti, senza escludere un secondo giro di consultazioni all’inizio della prossima settimana. Poi arriverà il tempo delle decisioni. Delle prove di governo. E dei nomi. Anche di quelli degli ex premier.
Sassoli premier sulla Verità. Avanza il mostro giallorosso con Conte, Tria o una donna. La marmellata Pd-M5s-Leu ha i numeri in Parlamento. I veri nodi: il nome del premier e la presenza dei leader. Ma Fico spera nel veto del Pd per conquistare Palazzo Chigi. Il presidente della Camera si gioca la partita della vita. Se i dem affossano il Conte-bis, corre per la premiership. Giornale a pagina 3.
I Dem sfidano i Cinquestelle: Sassoli dall’Ue a Palazzo Chigi e Letta jr alla Commissione. Oggi Zingaretti farà il nome dell’ex mezzobusto come premier. E chiederà di sostenere l’anti renziano a Bruxelles. Verità a pagina 4.
Le previsioni di Arturo Parisi. “Per adesso l’accordo è difficilissimo. C’è il pericolo che gli elettori dei due partiti si sentano traditi dalla politica e si rifugino nell’astensionismo. I tempi del confronto dem-grillini sono importanti quanto i contenuti. Non c’è bisogno di cessioni o concessioni Adesso serve una convergenza”. Francesco Grignetti intervista Arturo Parisi sulla Stampa a pagina 5.More
Professor Arturo Parisi, che pensa della possibilità di un accordo tra M5S e Pd?
«Non difficile, difficilissimo. Al momento lo direi al massimo non impossibile. E tuttavia non provarci equivarrebbe a riconoscere a Salvini non solo la prima parola ma anche l’ultima. Che il tentativo riesca o fallisca quello che conta è il come. Cioè a dire alla luce del sole, senza saltare nessun passaggio e dedicando ad ognuno il tempo che merita. Solo così si può immaginare di riuscire a spiegare perché quello che fu ritenuto impossibile l’anno scorso è diventato d’un colpo possibile ora. La scoperta improvvisa del pericolo che Salvini rappresenta per entrambe le forze non è sufficiente. Se la crisi fosse stata aperta da Conte e dai 5S, in risposta alla sfida che Salvini ha aperto alla democrazia di tutti, con la richiesta dei “pieni poteri”, e non invece dal suo tradimento verso il patto di parte con Premier e grillini, di certo l’accordo che ora cerchiamo sarebbe meno lontano».
Il problema è fissare un programma di governo, fatto di tante cose concrete, dove i sì e i no pesano.
«Che l’accordo debba essere serio, onestamente lo dicono quasi tutti. Ci mancherebbe pure il contrario. Ma se le scelte concrete sui temi che contano sono quelle che decidono è perché sono quelle che consentono di mettere a confronto la profonda diversità nelle ispirazioni di partenza. Come dimenticare che, se non fosse stato per Salvini, i 5S si riconoscerebbero accomunati ancora con lui in quella ispirazione che chiamiamo populismo. E mai avremmo sentito dalla bocca del Presidente Avvocato del Popolo la denuncia dei fatti e degli atteggiamenti che da troppo tempo erano sotto gli occhi di tutti».
Parlando di cose concrete, come far convivere la decrescita felice e una nuova stagione di investimenti? Qualcuno dovrà cedere.
«Non è di cessioni o concessioni quello di cui abbiamo bisogno, ma di una convergenza che tenga almeno per il tempo dato. Ecco perché i tempi e i modi del confronto contano non meno delle cose. Non vorrei che qualcuno si attendesse che in pochi giorni si potesse produrre un accordo migliore di quello che l’anno scorso ha chiesto ai 5S e alla Lega tre mesi. Non dico del percorso che in Germania aveva impegnato tra il settembre 2017 e il marzo 2018 democristiani e socialisti per dar vita al quarto governo Merkel».
E l’immigrazione? Zingaretti invita alla gestione dei flussi. Il M5S fino a ieri, sempre più a fatica in verità, ha appoggiato la linea di Salvini.
«Che si tratti della immigrazione o dell’assalto alla Unione Europea onestamente dobbiamo riconoscere che le posizioni dei partner del governo ora caduto si sono andate nel tempo allontanando. Se anche grazie ai cedimenti dei 5S la Lega si è sempre più radicalizzata, i 5S si sono in qualche modo moderati. Senza di questo l’accordo del quale parliamo non potrebbe essere neppure ipotizzato. E tuttavia senza la rottura di Salvini le due forze avrebbero continuato sulla strada seguita fino allora».
Lei una volta disse che è meglio perdere piuttosto che perdersi. Ecco, non teme che i due popoli, quello grillino e quello della sinistra, così accaniti tra loro, escano disorientati e ci sia un rifiuto ulteriore della politica?
«E’ la mia preoccupazione principale. Che in questo girotondo vorticoso, una volta “cascato il mondo” e “cascata la terra”, i rappresentanti in Parlamento finiscano “tutti giù per terra”. E i cittadini sconcertati si appartino nel cinismo o nell’astensionismo. Perderemmo e ci perderemmo tutti».
Perché chiamare Orsola l’incontro rosso-giallo, e non Ursula?
«Perché sono cose diverse. Prodi è stato chiarissimo. Ursula ha avuto l’obiettivo della difesa della costruzione europea dall’assalto sovranista. Ma un patto per il governo italiano prevede altri temi, dall’organizzazione della economia alle disuguaglianze e ai diritti sociali, non comuni a tutte le forze che in Europa si sono ritrovate nella elezione della Presidente della Commissione».
Mastella critica Salvini. “Ha agito malissimo ed è stato castigato per la sua disinvoltura. Sfiducia ma senza dimettersi. Da Salvini scene mai viste come patate e banane insieme. Zingaretti non può dire no a un governo perché non si fida di Renzi: così il Pd potrebbe esplodere. Stampa a pagina 5.
Mattarella 1. Stop del Quirinale al governo istituzionale. Le scelte di Mattarella per un esecutivo che non sia (soltanto) antielezioni. L’unica strada sarebbe quella di un governo politico, che si formi senza esploratori. Napolitano gli ha espresso le preoccupazioni sulle scelte economiche. Marzio Breda sul Corriere a pagina 2.More
Qualcosa comincia a muoversi, nel percorso tutto in salita per dare all’Italia un nuovo governo dopo che quello gialloverde si è dissolto in Senato l’altra sera. Ma siamo ancora agli inizi. La rincorsa di tweet, comunicati e interviste degli esponenti dei partiti che tentano di allearsi offre per il momento a Sergio Mattarella soltanto segnali di buona volontà. Per lui conterà davvero ciò che quelle forze politiche diranno oggi, presentandosi al Quirinale. Con una discriminante destinata ad avere un peso decisivo per il capo dello Stato: questo che si vorrebbe far nascere non dovrà essere unicamente un esecutivo «contro le elezioni», ma un’entità istituzionalmente salda, con una maggioranza numerica chiara e con un programma di forte respiro politico, tale da durare un’intera legislatura. È dunque in bilico tra speranza e scetticismo, e per forza di cose molto prudente, l’approccio del capo dello Stato ai primi scambi negoziali tra Pd, Leu e 5 Stelle, che si dichiarano impegnati a evitare — insieme — lo scioglimento delle Camere. La prima giornata di consultazioni non ha portato novità di rilievo. Si è aperta con il colloquio telefonico tra Mattarella e Giorgio Napolitano, fuori Roma, durante il quale il presidente emerito ha espresso sostegno per la linea scelta, girandogli però qualche osservazione preoccupata e dubbiosa sulla difficoltà che si riesca ad armonizzare fino in fondo le diverse visioni in campo economico (con inevitabili riflessi sulla prossima manovra) dei partiti candidati a formare la futuribile coalizione. Non avrebbero evocato, i due, il precedente del governo Monti, «inventato» il 16 novembre 2011 da Napolitano per superare il drammatico allarme finanziario che aveva portato lo spread a superare quota 560, oltre ad annichilire il gabinetto Berlusconi IV. Un caso troppo lontano dall’attualità, inverosimile solo parlarne. Tuttavia quell’esecutivo aveva forse in mente l’interlocutore (non ne è trapelato il nome) che ieri ha chiesto a Mattarella se, come extrema ratio, sia possibile un esecutivo istituzionale, scelto e insediato da lui stesso. Il presidente non gli ha neanche consentito di completare la domanda, pronunciando un secco no e aggiungendo che quel no troverà modo di ripeterlo pubblicamente, nei prossimi giorni. Insomma: non resta che un governo politico, che si dovrebbe materializzare da sé senza far scendere in campo «esploratori» di sorta, o il voto. E la praticabilità della prima alternativa sarà verificata con la sfilata delle formazioni maggiori, oggi. Il Partito democratico ha ormai messo le sue carte sul tavolo, con il mandato a trattare (purché in una logica di «discontinuità» rispetto all’esperienza gialloverde) che ha affidato all’unanimità a Nicola Zingaretti. Mentre i pontieri del Pd e dei 5 Stelle sono rimasti al lavoro per l’intera notte cercando di costruire convergenze, il capo dello Stato ha comunque già fatto capire il proprio metodo e i propri intendimenti a chi è sfilato ieri nel suo studio: lui non si schiera tra quanti vogliono nuove elezioni e quanti vogliono invece un nuovo esecutivo. Il suo compito, ha ripetuto, è quello di registrare la volontà del Parlamento. E di farlo presto, stavolta, per due motivi: 1) perché in un’eventuale emergenza d’agosto bisogna che ci sia un governo in carica, con unità di vedute e di intenti; 2) perché più tempo passa, più diventa concreto il rischio che si vada all’esercizio provvisorio di bilancio, con conseguenze sui risparmi degli italiani. Qui sta il nodo politico imposto da questa crisi e che lega le mani a Mattarella. Il quale, nell’ipotesi di un fallimento delle trattative in corso, spedirebbe tutti alle urne con un governo di garanzia elettorale. Se gli domanderanno qualche giorno di tempo in più, lo darà. Ma qualche giorno, non di più.
Mattarella 2. “Entro lunedì un nome o si va a votare”. Il presidente vuole impegni chiari per un governo di legislatura: risposte subito, nessun incarico esplorativo. Escluso un esecutivo del presidente: “I partiti si assumano la responsabilità”. Stampa a pagina 4.
Mattarella 3. “Senza accordo c’è solo il voto”. Primo giorno di consultazioni, il presidente della Repubblica invita i partiti a “fare presto” per evitare l’esercizio provvisorio. In caso di ritorno alle urne nascerà un esecutivo elettorale al posto dell’attuale. Non ci saranno mandati esplorativi Servono nome del premier e programma entro la prossima settimana. Repubblica a pagina 7.
Macron e la crisi. Sulla crisi interviene il presidente francese Macron: “L’Italia merita dirigenti all’altezza”. Il presidente francese sostiene Mattarella. “Stare con l’estrema destra non funziona mai. Di Maio è il grande perdente. La lezione che ci viene dall’Italia è una sola: pensare che allearsi con l’estrema destra sia un modo di reinventare la politica non funziona”. Repubblica a pagina 13.
Commissario Ue. Congelata la nomina del commissario Ue, la Lega protesta. Intreccio con la formazione del nuovo governo: un candidato Pd (Enrico Letta in pole) faciliterebbe l’intesa con M5S, ma c’è anche l’ipotesi Conte. Scadenza del 26 agosto non perentoria. Sassoli in campo con Von der Leyen per concordare qualche giorno in più. Il precedente della slovena Bartusek che da premier si candidò e fu bocciata. Sole a pagina 4.
Ipotesi Letta. “Io commissario Ue per l’Italia? Sono concentrato su altri temi”. È il massimo che i giornalisti sono riusciti a strappare a Enrico Letta che sono in molti ad accreditare per l’incarico che spetta al governo italiano indicare a Bruxelles. Oltreché per un ruolo nel nuovo esecutivo. L’ex presidente del Consiglio, oggi presidente dell’Istituto Delors in Francia, non sembra disinteressarsi alla scena politica nazionale da cui è lontano da qualche anno. “L’Italia ha bisogno dell’Europa e l’Europa ha bisogno dell’Italia. Una Ue senza un’Italia protagonista non è Europa e l’Europa è più debole senza una presenza attiva dell’Italia”, ha detto ieri al Meeting di Rimini. Fatto a pagina 3.
Ipotesi Conte. Ue, cresce l’ipotesi Conte. Merkel lo chiama. Per l’Italia ritorna possibile la Concorrenza. Von der Leyen apprezza l’avvocato in chiave anti-Salvini. Anche Bruxelles nella partita rosso-gialla. Le ipotesi di Letta e Moavero. Da sabato il premier uscente al G7 di Biarritz. Messaggero a pagina 3.
A CASA DEL PD.
Obiettivo. Primo obiettivo di Zingaretti è cancellare il «contratto». Il segretario soddisfatto del sì unanime in direzione. Trattativa possibile, ma con una personalità nuova. Corriere a pagina 5.
Zingaretti al Messaggero. «Nessun veto su Di Maio. Renzi? Passa la mia linea». Il leader del Pd: «Ok a Luigi ministro. M5S accetti i nostri punti o salta tutto. I grillini non si fidano di Matteo ma la sua scissione è un’eventualità. Io premier? Ho già altro da fare, sono governatore del Lazio e segretario Dem. Non ci deve essere un contratto sui programmi, si è già visto che questo strumento non funziona». Simone Canettieri sul Messaggero a pagina 4. More
Vuole tenersi leggero. Forse per sfuggire alle trame di Renzi o a quelle dei grillini. E così Nicola Zingaretti, dopo aver incassato l’unanimità in direzione sui suoi 5 punti, si concede un’insalata all’ultimo piano della Rinascente. Per poi ficcarsi al Nazareno. Un tragitto di poche centinaia di metri a piedi. Abbastanza sufficienti per provare a capire come si muoverà il Pd oggi al Quirinale.
Segretario Zingaretti, con questi cinque punti proposti al M5S sta togliendo gli alibi ai grilini o a Matteo Renzi?
«Non si tratta di togliere alibi a nessuno. Il M5S accetta questi punti o fa saltare il banco e se ne prende la responsabilità. Ma almeno così è chiaro che da parte nostra, come Pd, non c’è alcun tipo di subalternità».
Di Maio però sembra non cedere sul Conte-bis: ci sono margini di trattativa?
«Zero. Conte non va bene: non si può dire che gli altri, ovvero Salvini, hanno sbagliato, e riprendere a governare come se nulla fosse cambiando solo alleato».
Quale figura immagina: serve un civil servant?
«Sta dicendo un uomo di Stato, un alto servitore delle istituzioni?»
Sì.
«Questa può essere una soluzione, una di quelle sul tavolo, ma bisogna fare un passo per volta e ascoltare, soprattutto, il Capo dello Stato».
Ma non potrebbe essere lei il premier di questo governo di legislatura?
«Faccio il presidente della Regione Lazio e il segretario del Pd e credo siano già due impegni molto gravosi e intendo continuare a fare questo».
Se sarà, sarà comunque un matrimonio complicato tra voi e il M5S. Non servirebbe un contratto?
«Per carità. Il contratto di governo non funziona: lo abbiamo visto in questa triste pagina gialloverde. Non si può pensare che ci siano due vicepremier che si curano i rispettivi orticelli e che poi litigano su tutto. Cinque punti chiari sono la soluzione. Con la manovra al primo posto».
Lei chiede forte «rinnovamento» ai grillini nei temi e anche nei nomi. Sta sbarrando la porta a Di Maio nell’esecutivo?
«No, anzi. Non ho alcun veto su Di Maio nel governo. Ma non si potrà far scendere in campo la stessa squadra che ha perso già una partita. Comunque è veramente molto presto per parlare di nomi. Per il resto mi fermo qui. In questa fase, in cui tutto è ancora precario, occorre fare un passo per volta».
Ma non la preoccupa in questa trattativa il ruolo di Matteo Renzi? La scissione nel Pd è un elemento che potrebbe complicare il quadro?
«Qui non ci sono camere segrete. La scissione di Renzi è un’eventualità che nemmeno il diretto interessato nasconde, vedremo. Ma io sono il segretario del partito e devo tenere tutti dentro la stesso schema di gioco. E ci stiamo riuscendo bene».
Ma la prima apertura al M5S è arrivata da Renzi, non da lei.
«Allora mettiamo in ordine i fatti. La proposta di Renzi, cioè quella di un governo istituzionale di breve durata, non ha ricevuto alcun tipo di reazione nel M5S».
E perché secondo lei?
«Perché, credo, che i grillini non si fidino di lui. Sfido a trovare una dichiarazione di un esponente politico che gli abbia detto di sì».
E la giudica allora una mossa di puro protagonismo?
«Non so se sia stato una mossa di puro protagonismo, quella di Renzi. Il dato politico è un altro: nessuno ha risposto alla sua sollecitazione. Mentre con il M5S, dopo la direzione di oggi, adesso c’è un ragionamento aperto grazie alla nostra proposta forte e cristallina. Che mette i grillini davanti a una scelta di campo. Ma che soprattutto, allo stesso tempo, dice che il Pd è pronto a spendersi per il Paese, senza aver paura di tornare al voto. Senza un governo forte e con obiettivi evidenti per noi ci sono solo le urne».
Ma quante sono le probabilità che l’intesa arrivi in porto? Si sente di sbilanciarsi. E più per il sì o per il no?
«Innanzitutto, aspetteremo come è ovvio le decisioni del presidente della Repubblica e quello che avrà da dirci. Ma il partito è unito su una proposta forte. Per il resto, non mi sento di sbilanciarmi in alcun modo. E’ tutto molto prematuro. A proposito cosa ha detto Di Maio dei nostri cinque punti? Ha parlato? Ci sono dichiarazioni del M5S?»
No, al momento silenzio di tomba. O d’oro (Sono le 14.30, ma le bocche dei grillini rimarranno cucite per tutta la giornata). Al di là delle smentite di prassi, quante volte al giorno si sente con Di Maio al telefono? Zingaretti, ride, i suoi occhi si fanno piccoli.
«Diciamo che sento molto spesso il mio portavoce al telefono».
Si apre il cancello posteriore del Nazareno, il segretario dem entra nel cortile. Si tocca le tasche dei pantaloni per cercare il telefono. Chissà chi lo avrà cercato nel frattempo: Dario o Luigi?
Nuovo premier. E svolta europeista. I paletti del Pd per l’intesa con il M5S. Il segretario Zingaretti: “No accordicchi, serve un esecutivo di cambiamento o meglio il voto. Per me la partita inizia ora: dobbiamo attendere la risposta degli interlocutori che finora non c’è stata”. Gentiloni: La direzione del nostro partito? Bene, direi. Un buon documento, un ottimo documento. Delrio: L’agenda ora conta più dei nomi. Il Pd ha abbastanza chiaro che a trattare sarà il segretario Zingaretti. Stampa a pagina 2.
Contro Zingaretti. Il segretario alza il tiro col M5S. Ma il Pd lo lascia subito solo. Zingaretti prova a dettare le condizioni per l’accordo. La direzione approva all’unanimità, ma intorno sono già tutti pronti a firmare la tregua con Di Maio & C. Il veto sul premier e la caccia ai numeri: Delrio e Marcucci però non la pensano così. Fatto a pagina 3.
No al Conte bis. Il no al Conte bis, la paura di una scissione, i timori di un sabotaggio del nuovo esecutivo: i due partiti si fronteggiano La diaspora dei dem dietro l’unanimità in direzione Il leader: “Se si fa il governo merito mio, non di Renzi”. Stampa a pagina 2.
Boschi. «Darò una mano. Nel governo con i grillini? Anche no, grazie…» dice al Corriere a pagina 5 e poi intervistata da Repubblica: “Il governo con i 5S durerà fino al 2023. Se Renzi non fosse intervenuto saremmo già sotto elezioni. Anche chi lo odia dovrebbe ammetterlo. La mia foto in bikini in risposta a Salvini? Gli uomini possono mostrarsi seminudi e le donne no?” Giovanna Casadio intervista Maria Elena Boschi su Repubblica a pagina 4.More
«Anche chi odia Matteo Renzi dovrebbe riconoscere che la sua mossa ha rovinato i piani a Salvini». Maria Elena Boschi, deputata dem ed ex ministra delle riforme, pensa che il Pd dovrebbe apprezzare l’iniziativa dell’ex premier nei confronti dei 5Stelle. Ed esclude di entrare in un possibile governo rossogiallo: «No, grazie. Non farò il ministro ostaggio. Chi lo farebbe?». Boschi, Salvini è sempre un rischio o è fuori dai giochi? «Salvini ha sbagliato tutto quello che poteva sbagliare. Ha aperto una crisi di governo nella settimana di ferragosto per poi ritirare addirittura la mozione di sfiducia a Conte una settimana dopo. Voleva andare al voto e ora fa di tutto per non mollare la poltrona. Sicuramente non ha più l’aura di invincibilità che aveva fino a qualche giorno fa e anche dentro il suo partito cominciano a dubitare della sua lucidità politica. Certo la sua spregiudicatezza politica lo porta a fare e dire tutto e il contrario di tutto senza vergogna. Ma ora è in un angolo grazie a Matteo Renzi». In che senso, grazie a Renzi? «Se non ci fosse stato l’intervento di Renzi oggi saremmo con Salvini in campagna elettorale sulla spiaggia a parlare di immigrazione. Anche chi odia Renzi dovrebbe riconoscerlo». Ma un governo di responsabili con i 5Stelle non rischia invece di fare crescere i consensi per il leader leghista? «No, se il governo farà cose buone per gli italiani a cominciare dall’evitare l’aumento dell’Iva al 25%. E comunque non penso che andare al voto subito sia una garanzia di successo per il Pd». Lei è uno dei bersagli preferiti di Salvini. «Lo considero un punto di merito, sicuramente non ha gradito la mia proposta di presentare una mozione di sfiducia nei suoi confronti per lo scandalo dei rubli russi. Più Salvini attacca me, Renzi e in generale il nostro gruppo, più certifica che stiamo facendo la cosa giusta: siamo stati capaci di rovinargli i piani». Avere risposto con un selfie in bikini, all’insulto del ministro dell’Interno di essere una mummia, è stata una mossa di cui si pente? La hanno accusata di prestarsi al sessismo. «Per niente, lo rifarei. Fatemi capire: un uomo può fare foto seminude e una donna non può fare foto in costume? Questo mi pare sessismo. Peraltro mi hanno fotografato per anni in bikini sulle spiagge. Non mi pare una grande novità vedermi in costume». Farebbe il ministro di un governo 5Stelle-Pd? «No. Ho già chiarito che posso dare una mano sui contenuti se può essere utile. Voterò la fiducia anche se con fatica, se nascerà il governo. Ma fare il ministro con i 5Stelle, no grazie». Però per molti dem sarebbe l’unica assicurazione contro il sospetto che poi voi renziani ve ne sganciate. «Mi piacerebbe che fosse riconosciuto a Renzi e ai renziani di avere fatto una cosa per il bene comune non per l’interesse privato. Basta con i retroscena e i retro pensieri, guardiamo alla realtà. Il nostro appoggio ci sarà finché l’ipotetico governo farà cose utili per gli italiani, non farò il ministro ostaggio. Chi lo farebbe?». Cosa ci si deve aspettare dalla Leopolda? Un primo passo verso la scissione di Renzi, del resto annunciata e poi congelata? «No. A parte che non abbiamo mai annunciato scissioni, casomai l’abbiamo subita, la Leopolda è l’occasione per fare proposte utili al paese, molte sono diventate leggi come le unioni civili o la fatturazione elettronica». Le condizioni poste da Zingaretti per il patto con i grillini la convincono? Voterebbe il taglio dei parlamentari su cui il segretario glissa? «Zingaretti ha il sostegno unanime di tutti. Nessuna polemica. Tutti avanti insieme. Sul taglio dei parlamentari, ne discuteremo». Quale durata prevede per un governo rossogiallo, se nascerà? «Se devo fare una previsione dico che si va alla scadenza naturale. Sicuramente all’elezione del presidente della Repubblica, ma secondo me fino al marzo 2023». Il nodo premier: esclude un Conte bis? Un nome o una rosa di nomi che le piacerebbero? «Adesso che la crisi è aperta dobbiamo aspettare le indicazioni che verranno dal capo dello Stato visto che è una sua prerogativa». Le urne sono per Zingaretti la prima opzione, mentre per Renzi no. E per lei? «Le urne sono l’ultima opzione per gli italiani: rischiamo un salasso per le famiglie e la recessione per il paese. Quanto alla paura di Renzi di andare a votare, ho apprezzato che abbia sfidato Salvini a correre nel collegio di Firenze o di Milano. La strada maestra è evitare l’aumento dell’Iva. Nel 2014, dopo il 41% del Pd alle europee, abbiamo rinunciato a chiedere elezioni che sarebbero servite a noi, ma non al paese. Abituiamoci al fatto che si vota ogni cinque anni, non a ogni cambio di sondaggio».
Modello Lazio. “Il governo si può fare”. Parla Smeriglio, braccio destro di Zingaretti e teorico del modello Lazio: dove Pd e grillini sono quasi fratelli. Davide Allegranti intervista Massimiliano Smeriglio sul Foglio in prima.More
Massimiliano Smeriglio, europarlamentare, vicinissimo a Nicola Zingaretti, di cui è stato vicepresidente in Regione, è da tempo un teorico e un pratico (nel Lazio) del dialogo fra Pd e M5s. “Con – divido profondamente l’esito della direzione del Pd di oggi (ieri, ndr). La strada è molto stretta e le condizioni sono complicate”, dice Smeriglio al Foglio, “ma la via maestra è quella di un governo di legislatura, forte e politicamente qualificato. Bisogna superare la farsa dei contratti, che normalmente regolano i rapporti tra privati, mentre qui stiamo parlando del paese”. Dunque, dice Smeriglio, “dobbiamo provare a trovare un programma condiviso, pur tenendo conto delle differenze che esistono tra sinistra e M5s. Il tentativo va fatto a partire dalle cose che ha detto Zingaretti su Europa, tenuta repubblicana, sulle questioni climatiche, sul modello di sviluppo, sul welfare, sui diritti individuali delle persone e verificare se esistono le condizioni per costruire un governo di legislatura. Da tempi non sospetti predico nel deserto il disgelo tra queste due forze, per favorire una forma di normalizzazione del M5s, che poi nei fatti è avvenuta”. Il percorso, tuttavia, osserva Smeriglio, “è a ostacoli. A oggi l’opzione delle elezioni anticipate rimane sul tavolo. Ma il Pd vuole tentare la strada in salita e ambiziosa del governo di legislatura”. Il tema è “come noi arginiamo e sottraiamo consenso popolare alle tesi razziste e nazionaliste di Salvini che, pur essendo un personaggio poco credibile e grottesco, è però il terminale italiano di un movimento mondiale che predica forme di governo post democratiche. Quelle di Salvini sono istanze mondiali che hanno una loro solidità e che hanno egemonizzato una parte consistente del popolo. Magari con l’aiuto di qualche rublo. Noi dobbiamo ripartire da qui. Quindi niente schemini tecnocratici, un errore che la sinistra ha già commesso in altre fasi storiche del paese. Dobbiamo verificare con coraggio se esiste un’opzione politica alternativa a quella razziale del capro espiatorio, della ferocia e della paura rappresentate da Matteo Salvini”. Eventuali elezioni a ottobre “le faremmo col coltello tra i denti, ma sarebbero in contemporanea alla Brexit e alle elezioni in Polonia, dove potrebbero vincere gli ultranazionalisti. La crisi democratica potrebbe non riguardare solo il nostro paese ma l’intera Unione. C’è dunque molto in ballo, non è solo una vicenda provinciale. Per noi il nemico da battere è Matteo Salvini, cioè colui che in questi mesi ha avvelenato i pozzi e tentato di cambiare il dna del nostro paese, rendendolo un luogo feroce e disumano”. Naturalmente, sottolinea Smeriglio, non bisogna dimenticare le responsabilità dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte. “A noi va bene il processo postumo a Salvini ma non basta. Perché anche il M5s deve fare i conti con un’esperienza di governo assolutamente negativa, di cui sono stati protagonisti. Non raccontiamoci favole, il M5s era presente e aveva incarichi di prestigio. Quindi servono piena discontinuità programmatica e figure che possano rappresentare un nuovo modello per il paese. Quindi faccio fatica a immaginare che possano farne parte persone che hanno già avuto un ruolo nel governo che ha aperto la porta a Salvini, lo ha legittimato e fatto crescere”. Si riferisce a Di Maio? “A chiunque abbia avuto un ruolo in questo fallimento. Si vada avanti con altri”. Ma questo eventuale nuovo governo fra Pd e Cinque stelle dovrebbe mantenere il reddito di cittadinanza? “Su questi temi le mie posizioni sono più simili al M5s che a quelle della mia area. Io credo nel reddito cittadinanza, il basic income esiste in 24 paesi Ue su 27, qui però è stato fatto un disastro, lo hanno trasformato in un meccanismo clientelare e parassitario. Penso sia giusto investire nell’empowerment delle persone e noi in piccolo nella Regione Lazio abbiamo fatto un reddito di cittadinanza per gli studenti universitari. Quindi il reddito e il salario minimo sono due misure su cui si può discutere insieme. Magari subito dopo aver detto parole chiare sulla vergogna della guerra alle ong e ai poveri cristi presi in ostaggio, come nel caso della Open Arms”.
Grillini no grazie. M5s? Preferirei di no: “Diffido di questa conversione grillina. Sono gli stessi antidemocratici di sempre. Non vorrei aver lottato contro Salvini per ritrovarmi con Rousseau”. Intervista a Emma Bonino. “Governare col M5S? Tutte le maggioranze sono legittime, ma non tutte sono accettabili”. Carmelo Capone intervista Emma Bonino sul Foglio in prima.More
E’ insomma è vero, come ha detto Giuseppe Conte servendosi del Manzoni, che “chi il coraggio non ce l’ha non se lo può dare”, ma chi lo ritrova alla fine, somiglia agli eroi della sesta giornata, quella specie di cui scriveva Leonardo Sciascia e molto diffusa in Italia, “persone dedite all’eroi – smo che non costa nulla”. Dice quindi Emma Bonino: “Scopro anche io una deferenza subitanea nei confronti di Mattarella e più si gonfia questa deferenza e più mi appare sospetta. Direi interessata”. E c’è anche la deferenza del Pd, nei confronti di Roberto Fico, (“impressiona la sua imparzialità”), quella verso Conte (“bene il suo discorso”) che si dimette ma che spera di rimettersi dopo aver mostrato i muscoli che non sapeva di avere. “Chi ha avuto ruoli e si è messo nei pasticci ha il dovere di tirarsi fuori da nuovi e possibili governi”. Il Pd ha il dovere di trattare con il M5s? “Io credo che la trattativa sarà difficilissima. E non solo per il Pd. Il M5s dovrebbe disfare tutto il suo programma, rimettere al centro il ruolo del parlamento e dell’Eu – ropa. Naturalmente cancellare immediatamente il decreto sicurezza primo e secondo che ha votato con convinzione. Così come dovrebbe rinunciare al taglio dei parlamentari”. E insomma c’è tutta l’enciclopedia radicale nella voce della Bonino, la sola capace, in Senato, di fare imbarazzare Conte, gentiluomo ma pur sempre complice, e oggi l’unica ad avere memoria del vaffa. “E’ vero che in Parlamento tutte le maggioranze sono legittime, ma questo non significa che tutte siano accettabili”. E’ compatibile l’idea di democrazia del M5s con quella del Pd? “A differenza di tanti, io diffido da questa conversione sulla via di Damasco del M5s. Non dimentico il tonno, le sardine, il parlamento che dicevano di voler superare. E ancora, la democrazia del sorteggio: ‘I parlamentari? Perché non li tiriamo a sorte’ consigliava Beppe Grillo. Improvvisamente sono passate in secondo piano tutte le loro stupidaggini, le castronerie – non mi riferisco alle gaffe geografiche, quelle le posso anche giustificare – pronunciate dal M5s. Non mi preoccupa questo florilegio che però andrebbe riproposto, ma l’assoluta mancanza di rispetto delle regole democratiche da parte di questo Movimento”. E però, non hanno ancora chiesto pieni poteri come ha fatto Salvini “E’ vero. Sono la prima a spaventarmi e denunciare il lessico crudele utilizzato fino a oggi dal ministro dell’Interno. Sono la prima a ritenere che con la sua lingua, Salvini abbia sdoganato l’odio razziale, ma è sufficiente? Basta questo per fare finta di non vedere l’idea che ha della giustizia il M5s?”. E davvero lo dice con tutto lo spavento e il raccapriccio di chi le ha viste tutte e non può tollerarne altre, ma lo spavento successivo sarebbe quello di transitare dalla democrazia autoritaria del Papeete Beach a quella diretta, ma da Davide Casaleggio. “Non vorrei trovarmi ad aver lottato contro Salvini per poi ritrovarmi a lottare con la piattaforma Rousseau. Io non vorrei imbarcarmi”. Non sono cambiati i parlamentari del M5s? “L’esperienza o ti ammazza o ti fa crescere. Non andrò sull’Aventino, non mi opporrò perinde ac cadaver, ma spero soltanto che il prossimo non sia un governo necessario ma che sia un governo decoroso”. Sarà di certo un governo che dovrà presentare la legge di bilancio all’Europa. “E finalmente, dato che è in nome dei conti che si dovrà formare, può essere l’occasio – ne per spiegare una volta per tutte che non è materia da radical chic. Vede, io non sono pessimista e neppure ottimista. Ma sono determinata”. Pieni poteri? “Determinata a recuperare un po’ di stato di diritto”.
I cinque punti del Pd.
«L’impegno e l’appartenenza leale all’Ue. Non l’Europa di Visegrad — sottolinea il segretario Zingaretti— ma quella del lavoro, dei diritti e dei doveri, delle libertà». Il M5S aveva assunto posizioni critiche nei confronti di Bruxelles.
Il punto sulla centralità del Parlamento serve al Pd per ribadire che il luogo del confronto è l’Aula dove i parlamentari agiscono «senza vincolo di mandato». Il M5S ha invece regole stringenti per i suoi «portavoce», pena l’espulsione.
È il punto su cui probabilmente ci sono le maggiori affinità tra le due forze politiche. Già l’ex segretario Renzi puntava sulla green economy e il M5S ha sempre espresso sensibilità ambientale. Ma resta il nodo grandi opere.
«Rispetto delle convenzioni internazionali e l’impegno per affermare un pieno e diverso protagonismo dell’Europa in questi temi». Zingaretti richiama i valori dell’accoglienza contro i decreti sicurezza votati dal M5S.
«La legge di bilancio è il punto di partenza», ha preso atto Zingaretti. Il Pd ha bocciato il reddito di cittadinanza e insiste sugli investimenti. Il M5S punta alla legge sul salario minimo. Entrambi vogliono la riduzione del cuneo fiscale
A CASA RENZI.
A scuola. Sulle colline del lucchese, l’ex segretario Pd, lontano dalla capitale, avvia la scuola politica per 200 under 30. Stampa a pagina 3.
L’ex premier apre la sua scuola politica in Toscana: con la mia proposta ho superato il solco tra Pd e M5S. Renzi nel suo fortino. «Io starò fuori, ora tocca a Nicola». Corriere a pagina 6.
Le Frattocchie renziane con 224 ragazzi ma senza social. Fatto a pagina 3.
Al Ciocco la scuola politica dell’ex premier. E Renzi fa votare i ragazzi: “Sì all’intesa coi grillini”. Repubblica a pagina 4
Renzi dice sì a Conte: “Io farò lo sminatore”. Non si può far saltare tutto per un nome. Questo governo deve nascere e durare: servono due anni per uccidere la Bestia. Marco Lillo sul Fatto a pagina 3. More
Matteo Renzi, pur di far nascere il governo M5S-Pd, è disposto a trasformarsi da “rottamatore” in “sminatore”. Nel giorno in cui Nicola Zingaretti mette il veto sul ritorno di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, l’ex presidente del Consiglio ancora una volta rischia di rubargli la scena. E prima che Zingaretti giri per sempre la chiave per serrare la strada del ritorno dell’avvocato, mette un piede nella porta che si sta per chiudere: “Non ho nessuna preclusione verso il Conte bis”, è quello che ha confidato ieri l’ex premier ai suoi. Al Fatto risulta che il ragionamento fatto da Renzi ai suoi (diametralmente opposto a quello ascoltato dagli stessi interlocutori la settimana scorsa) sia questo: “Non ci possiamo permettere di far saltare questa delicatissima operazione politica per i nomi. Ormai è tutto noto: il Paese sa del nostro tentativo di formare una nuova maggioranza con il M5S. Sarebbe da idioti farne una questione di poltrone. Salvini ci distruggerebbe nelle urne. Siamo a metà del guado, non possiamo fermarci. Questo governo deve nascere e durare almeno due anni”. Renzi ai suoi ha spiegato così il ruolo che vuole disegnarsi: “Gli altri sminestrano, noi sminiamo”. Renzi vuole il Giglio magico fuori dai ministeri e preferisce togliere questo e altri ostacoli sulla via del governo giallo-rosso. La metamorfosi è anomala e repentina come questa crisi. Appena cinque giorni fa, Renzi era un fiero sostenitore del veto a Conte. Ieri così spiegava la sua inversione a U: “Resto dell’idea che il M5S avrebbe dovuto proporre un premier diverso per una maggioranza diversa, però ho apprezzato il suo discorso e se la conferma di Conte diventa il problema sul quale salta tutto, sono disposto a votarlo”. LA PRIMA SCELTA a Palazzo Chigi, per lui, sarebbe Raffaele Cantone, ma crede che sbagli chiunque si irrigidisca sul nome. Sia chi mantiene il veto nel Pd sia chi, come alcuni M5S, dice “o Conte o morte”. Un atteggiamento, secondo Renzi, figlio dell’euforia eccessiva seguita alla corrida di martedì al Senato. “Io e Conte abbiamo fatto nero Salvini –ha detto Renzi ai suoi –ma attenzione: non è finito. Sarebbe un’illusione scambiare il Senato per l’Italia. Lo abbiamo umiliato ma nella piazza è un altro film. Per uccidere ‘la Bestia’ ci vogliono due anni”. L’ex premier teme che il Pd e il M5S non abbiano compreso il livello della sfida: “Dobbiamo avere un uomo forte al ministero dell’Interno”, ha detto Renzi ai suoi, ricordando la capacità comunicativa e operativa dell’attuale capo della Polizia, Franco Gabrielli. La ‘trimurti’, come la chiama Renzi, che dovrebbe reggere l’urto dell’onda di ritorno del sovranismo cacciato dal Viminale, è composta da Raffaele Cantone (ministro, se non premier), Nicola Gratteri alla Giustizia e Gabrielli appunto al Viminale, al posto di Salvini. E il premier? Renzi vuole così tanto il governo da essere di manica larga: “Si parla dell’ex ministro Paola Severino o di altri professori universitari con esperienza di governo. Mi va bene tutto. Sono disponibile – ha spiegato senza ironia Renzi – ad accettare anche un professore che ha detto no al mio referendum, purché si faccia questo governo”. Su Roberto Fico, molto gradito all’ala che fa capo a Franceschini, Renzi non chiude del tutto ma dubita dell’autorevolezza internazionale. Comunque una cosa è chiara. Il governo se sarà, sarà politico. Nessun appoggio esterno: “Ci vogliono persone in grado di andare in Europa a trattare. Abbiamo bisogno di una Finanziaria espansiva nel 2021”. Il ministro dell’Economia? Renzi, come il M5S, boccia Tria, che è gradito al Quirinale. Molto meglio un politico del Pd. Non un renziano ma un uomo di Nicola Zingaretti. L’europarlamentare Roberto Gualtieri potrebbe essere l’uomo giusto. Per Renzi.
A CASA CINQUESTELLE.
Si al dialogo. Il M5S dice sì al dialogo con i dem e Di Maio frena su Fico premier. Il leader alla ricerca di un nome da offrire al Pd. Ma la base resta divisa su un esecutivo con Zingaretti. Barillari: no a un’intesa col Pd. L’idea di allearsi con loro fa inviperire molti attivisti. Carlo Sibilia: è chiaro che i rapporti con la Lega non si sciolgono dall’oggi al domani. Fattori: «C’è voglia di proseguire. Luigi si concentri sul ruolo di capo politico. Non è indispensabile il bis del premier».
Corriere a pagina 7.
I nomi. La questione dei nomi blocca i Cinque Stelle: nessuna risposta per ora ai democratici. Il leader del Nazareno: ok al capo politico grillino ministro. No invece a Di Battista. Di Maio insiste su Conte e mette il veto su Fico: in cambio Gentiloni all’Ue. I parlamentari 5 Stelle contrari all’ipotesi di far votare l’intesa sulla piattaforma web. Stampa a pagina 3.
“Noi ci siamo”: Di Maio oggi dà il primo via al Quirinale. Il capo del Movimento incontra i capigruppo delle commissioni per preparare la campagna elettorale. Ma è per l’accordo con i dem. Fatto a pagina 4.
Tentazione Viminale per il leader di M5S Grillo: la base capirà. Dopo le consultazioni Di Maio riunirà i gruppi per avere un mandato pieno. Ma i dubbi restano. Mail di Rousseau ai parlamentari: le urne sono possibili. Messaggero a pagina 7.
Paola Taverna: “I 5 punti del Pd? Vaghi, non dicono nulla: ora parola a Colle e iscritti”. Fatto a pagina 4.
A CASA LEGA.
Urne lontane. Salvini vede le urne lontane e cerca la rivincita alle Regionali. Il leader ai suoi: l’accordo c’era da settimane, forse mesi. E spiega: con le loro percentuali alle elezioni rideremo. Corriere a pagina 8.
Ultimo appello ai grillini. Salvini, ultimo appello: porte aperte ai grillini. Ma è allarme sondaggi. Il leader prova a puntare su un governo di transizione per la legge di bilancio. E avverte FI: «Se va col Pd addio centrodestra». I suoi: molti M5S ci chiamano. Messaggero a pagina 8.
Abbiamo la manovra pronta. Salvini ai deputati: “Andate in giro e spiegate ai militanti le nostre ragioni”. E sulla scelta dei tempi: “Evitiamo i consiglieri del giorno dopo”. Giorgetti: “Voto o governo Pd-grillini? 50 e 50”. Annuncia di avere una manovra già pronta da 50 miliardi di euro, ma sotto il 3% di deficit-Pil. Annuncia di avere una manovra già pronta da 50 miliardi di euro, ma sotto il 3% di deficit-Pil. Stampa a pagina 6.
Le mosse del Carroccio. «Che diranno gli Usa di un governo Pd-5S?». E Matteo si prepara all’opposizione dura. Oggi salirà al Colle coi due capigruppo: «Mattarella escluderà governini». Giornale a pagina 8.
La Bestia. Così la «Bestia» prepara la nuova offensiva. La macchina della propaganda leghista contro l’asse tra il Pd e il Movimento. Corriere a pagina 8.More
«Libera la bestia che c’è in te»: l’invito ai lettori de Ilpopulista.it, sito internet vicino a Matteo Salvini, suona come una dichiarazione di guerra nel bel mezzo della crisi di governo. La macchina della propaganda del Carroccio, che sembrava imballata nella snervante attesa dell’epilogo del governo Conte, ha ripreso subito velocità. Sotto la regia di Luca Morisi, spin doctor del Capitano e ideatore delle strategie del consenso, è ripartita la campagna rivolta alla pancia degli elettori. Dalla ministra Trenta a Prodi, dalla Merkel all’asse M5S-Pd: ieri Salvini su Twitter ha attaccato tutti a testa a bassa. E lo staff della comunicazione, finora in carico al ministero per quasi 300 mila euro l’anno (ma a breve pagato dai gruppi parlamentari del Carroccio), ha attivato il tam tam della Rete. Morisi stesso è sceso in campo con il profilo personale, pubblicando una foto di Conte con un effige di Padre Pio: «Quello che oggi criticava Salvini per l’esposizione di simboli religiosi. Lo riconoscete???» ha cinguettato su Twitter il super comunicatore da 65 mila euro all’anno più la consulenza per la società di cui è azionista. «E siamo solo all’inizio, racconteremo agli italiani la verità sui social» trapela dal Viminale. La parola chiave della nuova campagna è #inciucio, con riferimento alla possibile alleanza Pd-M5S, che accompagna l’hashtag principe del credo salviniano: #portichiusi, un evergreen. La strategia è chiara: Matteo Salvini e Luca Morisi sferrano l’attacco sul web, supporter e troll rilanciano creando l’onda che non teme di infrangersi sulla scogliera del politicamente corrette. Come suggerisce ilpopulista.it, «sii audace, istintivo e fuoricontrollo».
Critiche. Sui social di Matteo ora parlano i leghisti delusi. Sui profili del “Capitano” le critiche arrivano anche dai suoi elettori: “Stai sbagliando”. Fatto a pagina 6.More
N on sono molti, non sono molto evidenti ma ci sono. I delusi della Lega hanno messo fuori la loro testolina social e nei commenti ai post del loro “C a pi ta no ”, nei giorni scorsi, hanno iniziato a esporre dubbi sulle mosse di Salvini. Le reazioni sono arrivate mentre, nell’ordine, il leader del Carroccio sfoderava cartucce ormai vecchie e ritrite: dal colloquio tra Giuseppe Conte e Angela Merkel a un meme-confronto tra le politiche di accoglienza del ministro Elisabetta Trenta e quelle di Laura Boldrini. Nulla di nuovo, dunque. ANCHE I NUMERI sono i soliti, decine di migliaia di commenti, di “mi piace” e condivisioni (come naturale su una pagina Facebook da oltre 3 milioni di fan), moltissimi i messaggi di soste- (quello degli italiani ) non ti interessi lo abbiamo capito”, scrive una utente che, da una verifica sul suo profilo, sembra simpatizzare da tempo per la Lega. “Tardi ma lo abbiamo capito!”. In molti le si oppongono, le consigliano di andare su altre pagine più affini. “A me dei 5 stelle non interessa – risponde –, io ho votato Salvini e ho creduto nella sua fermezza (come un mantra ha ripetuto che il governo avrebbe resistito fino all’ultimo giorno del mandato e invece…). Proprio perché sapeva che diamine sarebbe successo dopo, giammai avrebbe dovuto far cadere questo governo. Ora sono cavoli amarissimi!”. NON È LA SOLA. “Per me hai sbagliato strategia, dovevi arrivare a fine legislatura”, scrive un altro. “Spero vinca Salvini, ma purtroppo credo che non tornera (refuso dell’utente, ndr) mai piu in un governo. Ha fatto una cazzata di proporzioni bibliche”, c’è chi risponde. Scrive Barbara: “Sa l vi ni , mi dispiace solo di averti difeso in alcune occasioni e aver creduto in te. Ora ti mando a quel paese”. E ancora: “Avevi la mia stima, ma con le cose di Dio non si scherza. Lei ha seminato solo oddio (refuso dell’utente, ndr) ora in Italia c’è solo il terrore”. Pietro, prima dell’in te rvento in Senato, scriveva preoccupato: “Matteo però pensa bene a cio (refuso dell’utente, ndr) che fai noi non sapremo mai i veri motivi che ti hanno portato a questa scelta, siamo tutti con te comunque vada, ma pensaci bene perchenstai (refuso dell’utente, nd r) consegnando il paese alle sinistre più becere e antiitaliane… chissà perché poi tutto questo… mah hai è andata… però da questa cosa ci aspettano tempi duri di patimento…”. L’eco di Elisabetta è simile: “Ho paura!!! Molta paura di quello che può succedere. Salvini credo in te ma non capisco bene perché adesso far cadere il governo. Lo so i Cinque stelle non sono il massimo, ma stavi facendo cose che nessuno ha mai fatto. Sei sicuro dei sondaggi? Sei sicuro che andremo a votare? Mahhh!!!”.
Il successo di Conte. «I like per Conte sui social? Di sinistra, mi sembra Fini». Lo stratega web della Lega: Matteo ha perso contatti ma risale. Messaggero a pagina 8. More
«I o genietto? Sono sopravvalutato, dai». Luca Morisi è il domatore della Bestia, la macchina della propaganda social di Matteo Salvini, il Capitano (soprannome coniato proprio da questo mantovano di 46 anni, laureato in Filosofia). «È vero: Matteo nei giorni della crisi ha perso sui social, ma ora stiamo risalendo», ammette Morisi di passaggio alla Camera. Anticipando la domanda successiva. «Conte – continua – ha fatto un incredibile exploit su Facebook e Instagram negli ultimi giorni perché prende i like di quella di sinistra». Ricorda un po’ il Gianfranco Fini che fronteggiò Berlusconi? «In parte sì, ma ha sempre volato alto e soprattutto non ha un profilo politico: piace alle casalinghe». Intorno alla Bestia girano miti, veleni e forse fatti verosimili. Per esempio quanto costa? «Non è vero che la Bestia per andare avanti abbia bisogno di chissà quanti soldi e né che usiamo i bot russi (falsi profili sui social network che fungono da moltiplicatori per Salvini e orientano l’opinione pubblica-ndr). Morisi ha la faccia da bambino e lo sguardo un po’ luciferino, da genietto del male come lo chiamano nel Carroccio. «La verità è che Matteo Renzi è ossessionato dalla Bestia. Fondi russi per alimentarla? Ma figuriamoci, ma quando mai. Queste sono ossessioni». Ora per Salvini inizia la traversata nel deserto: sarà dura la propaganda sui social senza la rampa di lancio del Viminale? «Macché, non abbiamo paura di andare all’opposizione. Ricordo che abbiamo preso la Lega quando era al 3%, figuriamoci se ci spaventa uscire dal governo». Intanto, il Capitano ha appena terminato un’intervista al Tg2, Morisi lo segue nei corridoi. Salvini getta lo sguardo sul Transatlantico vuoto con l’Aula chiusa: «Scusate ragazzi, ma dove si esce?».
Parla Morisi. Il colloquio con l’uomo del digitale di Salvini. Morisi: “Sì, con la crisi abbiamo perso like e Conte ne ha presi tanti”. La crescita sui social del premier è stata incredibile. La Bestia? Non costa molto, siamo gli stessi da quando eravamo al 3%. Repubblica a pagina 7. More
La Bestia sanguina. E il domatore è scosso. «Beh – sospira Luca Morisi – non svelo un segreto se dico che sui social in questa crisi Conte è cresciuto tantissimo. Ha avuto un exploit in-cre-di-bi-le». Eccolo, il genietto che gestisce le piattaforme Facebook, Twitter e Instagram di Salvini. Che lo condiziona più di Giancarlo Giorgetti. Eccolo nella saletta stampa di Montecitorio, ombra del leader che parla alle telecamere il giorno dopo il pestaggio politico al Senato. Come si dice, nella buona e nella cattiva sorte. La battaglia in Senato ha chiuso una parabola infernale lunga dodici giorni. Per la prima volta da anni, Salvini ha perso contatti sui social, like, follower. Ed è come se gli avessero tolto l’aria. «È vero – non si sottrae Morisi – nei giorni della crisi siamo calati. Però da ieri siamo tornati a crescere, abbiamo questi dati. Sì, Conte cresce da giorni. Perché prende i like di quelli di sinistra, tantissimi like». Perché parla ai mondi lontani da Salvini, dice il guru che dissemina post lungo la rete. «Piace a sinistra. Come Fini con Berlusconi? Mah, in parte. Però Conte ha un profilo più alto. Ha sempre scelto argomenti in cui si mostrava “esterno”. Una faccia nuova, non contaminata dalla politica». Lo ascoltasse Rocco Casalino, che è un po’ il Morisi del premier dimissionario, brinderebbe di gioia. Perché Morisi e la sua Bestia sono potenti, assetati di like e senza scrupoli social: «La verità è che siete voi a descriverci così. Non è vero che il nostro sistema costa molto. Non è vero che va avanti con chissà quali soldi. Non è vero che usiamo i bot russi (dei finti account che amplificano l’audience sui social, ndr). Solo Renzi non lo capisce, è ossessionato». Sarà, ma molti pensano che questa macchina di propaganda costi tantissimo, sia benvoluta ad Est e rischia di restare senza benzina quando Salvini lascerà il Viminale. «Ma no, non c’è nulla di vero. Se la Bestia costa tanto? Siamo gli stessi di quando avevamo al 3%». Come Salvini, anche Morisi ha vissuto giorni migliori. La sconfitta è stata bruciante. La Lega si è ficcata in un bel guaio con la crisi ad agosto. E chi ha conquistato milioni di follower con la Bestia soffre, inevitabilmente. «La verità è che mi sopravvalutate…». È lui, in realtà, ad aver deciso da consulente di postare le foto del leader col mitra. Che ha costruito la battaglia contro chi bussa ai nostri porti. Che del Capitano – lo chiamano così, tra loro, anche se magari domani qualcuno lo retrocederà a Caporal maggiore –ha fatto pubblicare centinaia di foto mentre mangia sushi, carbonara, pasta al ragù, tortellini e tortelloni. A furia di giocare con gli algoritmi della macchina infernale soprannominata Bestia, il guru dei social l‘ha condotto dal 3% al 34,3% delle ultime Europee. «Ma adesso non ci spaventa nulla, neanche andare all’opposizione». Difficile che la Bestia approvi.
La base. Da Pontida a Treviso, la voce dei territori dopo il flop del governo. “Grillini inaffidabili, noi da mesi chiedevamo di staccare la spina”. Tra i sindaci delusi della Lega: “Matteo è finito nel trappolone”. Giusto tornare alle urne, ma occhio che non ci rifilino lo stesso bidone di Scalfaro nel ’94. Stampa a pagina 6.
Giorgetti. Lo sfogo di Giorgetti: «Salvini non può più fare tutto da solo». Il sottosegretario: il «one man show» non basta più, gli servono struttura e consiglieri. Giornale a pagina 8.
Insofferente. L’insofferenza di Salvini alle critiche di Giorgetti. Foglio a pagina II More
“Dei consigli del giorno dopo non me ne faccio niente”. Parola di Matteo Salvini. La frase, racconta chi c’era, è scivolata quasi inosservata, nel solito profluvio di slogan motivazionali. E però chi doveva capire, pare che per un attimo abbia in effetti strizzato gli occhi. “I consigli li accetto il giorno prima, non il giorno dopo”, ha scandito il leader della Lega davanti ai suoi deputati, riuniti a Montecitorio per una ennesima, e abbastanza inconcludente, assemblea di gruppo. E il riferimento che tutti i più accorti hanno colto era ovviamente a Giancarlo Giorgetti, che nelle ultime settimane ha espresso più volte, in modo più o meno esplicito, la sua divergenza di vedute rispetto al leader sulla gestione della crisi. E se anche quell’allusione pungente di Salvini non fosse stata abbastanza chiara, a rendere plastica la non eccelsa intesa tra il Capitano e lo stratega, il front-man e l’“eminenza ligia” del Carroccio, è bastata la scena che s’è svolta pochi minuti dopo, proprio davanti l’entrata di Montecitorio. Perché lì tutti i deputati, e anche qualche esponente di governo leghista, sono stati precettati per fare la claque, sul modello delle coreografie sdoganate dalla Casalino&Associati nei mesi scorsi. Salvini parlava coi cronisti, e tutti applaudivano. Tutti, tranne Giorgetti. Che un po’ sbuffando e un po’ mugugnando, se ne stava in disparte, all’ombra, a parlare al telefono. Finché Iva Garibaldi, l’infaticabile portavoce di Salvini, gli si è avvicinata e lo ha richiamato all’ordine. “Giancarlo, i giornalisti stanno chiedendo delle tue critiche alla strategia di Matteo. Vieni a dire che non c’è alcuna divergenza, che tu non dissenti?”. Al che Giorgetti s’è messo a ridere: “No, io dico che dissento da Salvini perché convoca le conferenze stampa sotto il sole a 40 gradi”, ha scherzato. E però l’ansia con cui gli spin doctor leghisti si sono affannati a esibire una concordia un po’ posticcia, con tanto di foto del leader e del suo vice a favore dei cronisti, ha reso paradossalmente ancora più evidente la crepa.
Lo sfiduciato immaginario. Non ha spiegato il perché della crisi, né perché vuole il voto. Né risposto alle critiche. Il disperato discorso di Salvini in Senato smontato punto per punto da Giuseppe De Filippi. Foglio a pagina I. More
Matteo Salvini, ministro dell’Interno. Ri – farei tutto quello che ho fatto. Tutto!. Con la grande forza di essere un uomo libero; ciò vuol dire che non ho paura del giudizio degli italiani. In quest’Aula ci sono donne e uomini liberi e donne e uomini un po’ meno liberi. Chi ha paura del giudizio del popolo italiano non è una donna o un uomo libero. Già si parte male, con un’affermazione contraddittoria rispetto al suo stesso operato, sia nella nascita del governo del cambiamento, quando si fece un accordo parlamentare incoerente rispetto agli schieramenti con cui si era condotta la campagna elettorale, sia nella scelta successiva di sfiduciare il presidente del Consiglio senza fornire una chiara ragione per un atto così grave, resa poi ancora più insensasta con il ribaltamento in poche ore che ha portato alla decisione di ritirare la mozione per ragioni puramente opportuninstiche. La preferenza per il voto, espressa in modo così stentoreo, non ha un legame logico con quelle due scelte e con il rovesciamento della seconda scelta. Molto semplicemente. E’ il sale della democrazia. Mi permetta, Presidente, però di dire che mi spiace che lei mi abbia dovuto mal sopportare per un anno. E’ una novità di oggi. Non l’avevo capito, me ne dolgo. Pericoloso, autoritario, preoccupante, irresponsabile, opportunista, inefficace, incosciente: bastava il Saviano di turno a raccogliere tutta questa sequela di insulti. Non serviva il Presidente del Consiglio. Bastavano un Saviano, un Travaglio, un Renzi, non il presidente del Consiglio. Sarà anche vero che ciascuno a modo suo – Saviano, Travaglio e Renzi – non apprezzano Salvini, ma in quest’Aula è il presidente del Consiglio a rivolgergli le contestazioni sulla sua persona e sulla sua azione politica. Insomma, è comodo scegliersi gli interlocutori con la fantasia e decidere di litigare con chi fa comodo. Ma in quell’Aula Salvini era chiamato a confrontarsi con i senatori e con un presidente del Consiglio verso il quale aveva promosso una mozione di sfiducia (e quindi comprensibilmente un po’ arrabbiato). Anche perché noi abbiamo a cuore l’Ita – lia che sarà non domani mattina in base ai sondaggi o ai social, ma l’Italia del 2050. E chi gli ha chiesto di intervenire sul 2050? Ma che dibattito è? Non dovrebbe invece illustrare le ragioni della sua mozione? Dire perché non voleva più Conte e dire poi dire perché invece lo voleva ancora, avendo ritirato la mozione? Vorrei rilevare, come attestano i numeri, quale sarà la situazione del paese nel 2050, se esso non verrà guidato con coraggio e libertà. Spero che chi è in quest’Aula lo sappia, ma tengo a trasferirlo a chi è a casa, all’Italia reale, non all’Italia virtuale che spesso e volentieri ha interesse a mantenere solo la sua poltrona. Altre affermazioni senza legame con quanto sta accadendo in Aula e con quanto era accaduto sulla scena politica dall’8 agosto esclusivamente su sui iniziativa. Salvini voleva la sfiducia nel 2019, non nel 200, di cui parla da futurologo improvvisato e senza alcuna pertinenza con i temi in discussione. Al Paese reale, che lavora, che oggi è in ospedale, in azienda, in ufficio. Perché – permettete – mi – la critica più surreale di tutte è stata che non si fanno le crisi d’agosto, perché agosto per i parlamentari è sacro. Questa critica è pura invenzione salviniana, nessuno ha mai contestato la sua volontà politica di portare alla crisi di governo in agosto per ragioni legate alla centralità delle vacanze, tuttavia vediamo che il leader della Lega continua a fare riferimento a una crisi di governo della quale sembra disconoscere la paternità. Insomma non lo dice da papà, ma da passante. I parlamentari lavorano a ferragosto, come lavorano tutti gli altri italiani. Non si capisce perché agosto no; luglio sì, settembre sì, ma agosto no. Facciamo i senatori o i Ministri un mese sì e un mese no. I problemi ci sono. E’ evidente. Io, presidente del Consiglio, non parlavo male di alcuni colleghi, non mi permetto. Tuttavia, da Ministro dell’interno, per quanto pericoloso e autoritario a suo dire, porto a casa un’Italia più sicura dopo questo anno di Governo. E chi lo dice? Quali dati? Quali giudizi? E poi chi glielo ha chiesto? Io non ho fretta, ho il tempo che hanno gli uomini liberi che non hanno paura di mollare la poltrona e metterla in mano al popolo italiano. Non c’è problema. Signor Presidente, mi permetta solo una sfumatura e poi racconto a quest’Assem – blea e a chi è fuori l’Italia che abbiamo in testa e che abbiamo nel cuore, che non è un’Italia che cresce dello zero virgola, bensì un Paese che merita visione, coraggio, lealtà, sacrificio e giustizia, quella vera. Parlo di un Paese dove ci sono 60 milioni di presunti innocenti fino a prova contraria e non 60 milioni di presunti colpevoli. Questa è la differenza tra uno Stato di diritto e il ritorno alla giungla. Molto generico, ma ancora fuori tema. Lui doveva dire in Aula perché non voleva proseguire nell’azione di governo e non parlare genericamente di programmi politici, che comunque stridono con le ralizzazioni concrete della Lega in termini legislativi, sia riguardo al presunto garantismo rivendicato in Aula, sia riguardo allo stimolo della crescita. A proposito di sovranità, libertà ed Europa, citazione per citazione, torno a Cicerone: la libertà non consiste nell’avere un padrone giusto, ma nel non avere nessun padrone. Io non voglio un’Italia schiava di nessuno, non voglio la catena lunga come i cagnolini, non voglio catene. Ancora affermazioni non collegte al dibattito e neppure alla realtà dell’operare leghista e alla stessa azione di governo salviniana, delle quali si ricordano invece le frequenti e pubbliche iniziative per legare l’Italia alla Russia putiniana, configurando anche rapporti di sudditanza politica anche attraverso la recezione di finanziamenti negoziati in un noto hotel di Mosca. Siamo il paese più bello e potenzialmente più ricco del mondo Affermazione incoraggiante ma fondata su dati di fantasia, e sulla quale sarebbe comunque impensabile un confronto sensato e razionale come quello che si dovrebbe svolgere nelle Aule parlamentari, e in un dibattito di sfiducia causato dalla sua stessa mozione. E sono stufo che ogni nostro passo (parlo di governi, Regioni, Comuni, imprese o lavoratori) debba dipendere dalla firma di qualche funzionario dell’Unione europea. Qui siamo all’invenzione totale. Una sparata senza alcun fondamento e di cui non viene fornita alcuna spiegazione ulteriore. Siamo o non siamo un paese libero e sovrano? Siamo o non siamo un paese libero di difendere i suoi confini, le sue aziende, le sue spiagge? Certo che lo siamo, e chi ha detto il contrario? Salvini prosegue un dialogo con nemici immaginari e con oppositori che abitano nella sua fantasia. Questo non facilità il dibattito parlamentare né spiega perché Conte dovrebbe essere sfiduciato. Né perché si debba andare a votare. Forse Conte aveva ongiurato con potenze straniere per mettere a repentaglio le nostre spiagge? Non risulta da alcun atto allegato da Salvini. A me non è mai capitato di parlare con la cancelliera Merkel a proposito di interesse di partito, chiedendo consigli per vincere la campagna elettorale, perché Salvini ha chiuso i porti. Peccato per lui, perché la cancelliera avrebbe potuto dargli buoni consigli. In ogni caso, ricordiamo che Salvini non ha chiuso alcunché né tantomeno i porti. A me non è mai capitato. A me non è mai capitato di prendere il caffè con qualcuno con la lamentela che Salvini chiude i porti. L’ho fatto e lo rifarò, se il buon Dio e gli italiani mi ridaranno la forza di tornare al Governo. In Italia si arriva se si ha il permesso di arrivare. Punto e a capo. Se qualcuno ha nostalgia dell’immigrazione di massa e del business dell’immigrazione clandestina non può andare d’accordo con me. Come vuole, va bene. Ma il business dell’im – migrazione è definizione di sua invenzione e non ha riscontri nella realtà. Se qualcuno a tavolino, da settimane se non da mesi, pensava a un cambio di alleanza – molliamo quei rompipalle della Lega e piuttosto ingoiamoci il Pd – non aveva che da dirlo in quest’Aula. Beh, lo ha detto prima lui, però. Salvo non spiegarci perché sfiduciava e poi revocava. Non abbiamo paura. Però, a proposito di quello che ha fatto questo Governo, vi vedo a portare avanti la legge di riforma sulle banche e risarcire i risparmiatori truffati con Maria Elena Boschi. Vi vedo a riformare il Csm con Lotti e a fare la riforma del lavoro con Matteo Renzi, padre del jobs act. Vi vedo! Salvini li vede, ma lui solo ha queste visioni. Perché non ha alcuna proposta concreta di incarichi come quelli citati da attribuire alle persone da lui citate. Anche in questi casi la replica degli altri gruppi diventa impossibile rispetto a un discorso solipsistico che inventa una realtà di comodo. Io penso che in democrazia la via maestra sia, sempre e comunque, quella di chiedere il parere ai nostri datori di lavoro, che sono i cittadini italiani. Noi siamo dipendenti pubblici al servizio del popolo italiano e non dovremmo mai averne paura. Non sono dipendenti pubblici, ma sono eletti e liberi, e qui torniamo all’incoerenza del Salvini che dava vita al governo del cambiamento. L’IVA non aumenta se si vota a ottobre e c’è un Governo in carica a novembre. Lo dico a chi è a casa: in Austria si vota a fine settembre, in Polonia a metà ottobre, probabilmente anche in Spagna si voterà a ottobre, non ci sono disastri. Funziona così in democrazia. Si vota e il destino di questo Parlamento è nelle mani del popolo italiano, non di 30 senatori che, pur di non andare a casa e mollare la poltrona, voterebbero anche il Governo della fata turchina. Non venite a parlarci di IVA, di spread, di esercizio provvisorio e di recessione. Vediamo se ci sarà la voglia e la forza di andare al voto. L’Iva aumenta eccome per una norma votata e approvata da Salvini cioè la legge di Bilancio in vigore. La lista delle scadenze elettorali esterne non è pertinente. Parliamo di ciò che i numeri dicono, al di là di tutto quello che di buono ha fatto questo Governo. È innegabile e ce ne prendiamo la metà dei meriti: non tutti, ma la metà, fifty fifty, anche se leggo che qualcuno dice che hanno fatto tutto altri. Ci prendiamo la metà, cinquanta e cinquanta, dei meriti e dei demeriti. Abbiamo fatto cose buone e abbiamo commesso degli errori, perché chi fa sbaglia e solo chi non fa niente pontifica e non sbaglia mai. Chi lavora sbaglia: può essere… Io non mi rassegno all’Italia disegnata per il 2050 dall’Istat, quella dello zero virgola e delle regolette europee. Ma che c’entrano le regole europee? Che comunque Salvini al governo ha rispettato, seppure facendo la faccia truce. In occasione della manovra e dell’assunzione degli impegni per evitare la procedura di infrazione.E per evitare che non l’Europa, che anzi è uno scudo, ma i mercati ci travolgessero. Lo facciamo, però, se da Bruxelles ce lo lasciano fare, sennò la manutenzione delle scuole, la manutenzione delle strade e l’au – mento delle pensioni di invalidità possono aspettare. Non c’è alcuna indicazione contraria, né Mai potrà esserci, da Bruxelles sulle spese per strade scuole pensioni e invalidità. Rispondere a Salvini in Aula, di fronte ad affermazioni apodittiche non sarebbe stato possibile. E infatti nessuno lo ha fatto, confinando questo suo strambo intervento nell’ambito della masturbazione mentale. Perché c’è il padre padrone che ci deve dire se si può o non si può. A furia di “si può” e di “non si può”, nel 2050 l’Italia perderà 6 milioni di persone in età lavorativa tra i quindici e i sessantaquattro anni e rischia di essere uno dei pochi Paesi al mondo a sperimentare una riduzione della popolazione in età lavorativa. Va bene, l’Istat fa i suoi giusti conti. Ma che c’entra il dibattito sul povero Conte? E poi, per dirne una, Quota 100 che contributo ha dato all’aumento delle persone in età lavorativa? L’Italia perderà, perché emigreranno altrove, 4,5 milioni di italiani e in cambio importerà 10,5 milioni di immigrati. Io non mi rassegno a un paese impaurito. Mentre lo impaurisce E sempre più anziano. Mentre tenta di bloccare l’arrivo dei giovani. Che deve dipendere da quelli che sono i nuovi schiavi. Sua invenzione retorica. Con cui ha condotto mesi di polemiche per dimostrare, senza riuscirci, che le ong e la stesa guardia costiera sarebbero all’opera per importare schiavi. Che a qualcuno fanno comodo. No. Per questo serve una manovra economica coraggiosa, su cui stiamo lavorando da mesi. Non risulta alcun lavoro leggibile, né articolato in preparazione di questa manovra economica leghista, tenuta al segreto evidentemente anche al governo di cui facevano parte e allo stesso ministro Tria, che era invece al lavoro sulla vera manovra governativa. Signor presidente del Consiglio, lei ha detto che si andrà a dimettere. Noi abbiamo raccolto ancora la settimana scorsa in quest’Aula la sfida degli amici del MoVimento 5 Stelle. Ricordo Luigi Di Maio… Stavo parlando dell’Italia che vogliamo lasciare ai nostri figli, che ovviamente ha radici nella Costituzione e nelle regole parlamentari. Non ho capito però i plurimi accenni del presidente del Consiglio al presunto disvalore di uscire anche dai Palazzi per ascoltare gli italiani, dove vivono e lavorano. Secondo me è fondamentale, per un buon politico, non perdere mai la voglia di ascoltare i cittadini , di capire, di raccogliere consigli, proposte, critiche e suggerimenti. Altrimenti si rischia di parlare a se stessi. E quando mai si è parlato di questo presunto disvalore? L’emergenza di questo paese è il fatto che non nascono più bambini, per cui la Lega è pronta a sostenere una manovra economica se avrà a bilancio almeno – lo sottolineo – 50 miliardi per ridurre le tasse agli imprenditori, alle famiglie e ai lavoratori italiani, stando sotto a quanto farà la Francia. Adesso chiedono alla seconda potenza industriale – questo paese – di rispettare gli zero virgola, quando da anni Francia e Germania se ne fregano delle regole con cui stanno rovinando un popolo composto da 60 milioni di donne e uomini liberi. Possiamo investire in sanità, in diritto alla vita, in diritto al lavoro, in diritto alla felicità, come da dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America? Non mi rassegno allo zero virgola, ma capisco che il coraggio, come scriveva Manzoni, uno, se non ce l’ha, difficilmente se lo può dare; l’ascolto dei cittadini, sotto questo profilo, è quindi fondamentale, però non cadrò mai nell’errore che ho sentito da parte di qualcuno in queste settimane – senza voler dare lezioni – dell’insulto quotidiano e sistematico. Va bene, qui ripete, mettendo in mezzo l’in – nocente Manzoni, affermazioni precedenti sulla sua manovra di fantasia. Anche perché, se questo governo si è interrotto, è perché da mesi c’erano in Commissione, in Parlamento e in Consiglio dei ministri dei signor no che bloccavano tutto. E non si tratta di un attacco personale, perché non mi interessano gli attacchi personali; però, se in qualche Ministero, invece di sbloccare, si blocca, come in un porto delle nebbie, non si fa un servizio utile al Paese. Per settimane e mesi, testardamente e pazientemente, ho detto alle nostre donne e ai nostri uomini “andiamo avanti, perché ci credo e ho fiducia”: ma la risposta era no, no, no. Può essere, ma chi governa dovrebbe essere capace di superare le resistenze ministeriali. E comunque, colpa di Conte? Mi permetta di ricordare, signor presidente del Consiglio, che la settimana scorsa in quest’Aula – non seimila anni fa, ma nel 2019 – la forza maggioritaria del governo le ha votato la sfiducia, dicendo no alla Tav. Ma di cosa stiamo parlando, allora? E no qui, e no là: ovunque al mondo, se trovi del petrolio, fai festa, perché significa ricchezza e posti di lavoro; ma noi no, li blocchiamo e rimettiamo in discussione aziende che danno migliaia e migliaia di posti di lavoro, pensando di tornare indietro. Vero, è andata così. Ma è anche vero che il Parlamento aveva invece promosso la prosecuzione dei lavori. La decrescita felice non la conosco: gli italiani vogliono crescere e vogliono sviluppo, strade, autostrade, porti, aeroporti, ferrovie, scuole e ospedali che funzionano. Ci mancheranno 20.000 medici nei prossimi anni; assumiamoli. No, bisogna chiedere il parere dell’Europa per assumere 20.000 medici; oibò, ma se la gente sta male, devo assumere i medici. Quando mai si chiede il parere dell’Europa per assumere i medici? Casomai è evidente che molti medici non sono disponibili per via ella Quota 100 salviniana. Da ministro dell’Interno, so benissimo che verranno meno 40.000 donne e uomini in divisa nei prossimi anni: o stanziamo i soldi per assumere questi 40.000 donne e uomini della Polizia di Stato o completiamo il disastro portato avanti dal Partito Democratico, che ha bloccato le assunzioni e il Paese per anni. Altra affermazione senza fondamento. Ma come può pensare qualcuno di riportare al Governo Renzi, che gli italiani hanno buttato fuori dalla porta, elezione dopo elezione, dopo elezione, dopo elezione? Auguri! Ho sentito il presidente Prodi, e poi saremmo noi… Ancora i nemici immaginari. E’ questo che vorrei offrire agli italiani: un futuro di crescita, sviluppo, prosperità, benessere, famiglia e coraggio. Mi permetta poi, signor presidente del Consiglio, lei fa un torto al popolo italiano e ai cattolici italiani, quando lei pensa che votino in base a un rosario. Gli italiani, cattolici o non cattolici, votano con la testa e con il cuore e io sono orgoglioso di credere e di testimoniare con il mio lavoro il fatto che credo e non ho mai chiesto per me la protezione, ma per il popolo italiano la protezione del Cuore Immacolato di Maria la chiedo finché campo, perché questo è un Paese che merita tutto. Un crescendo di rivendicazioni di religiosità che risponde a una falsa domanda, ancora una volta da lui inventata. Io punto era ovviamente l’uso strumentale dei simboli religiosi e nell’ostentazione, estranea al confronto politico. Non me ne vergogno, anzi ne sono ultimo e umile testimone, l’ultimo degli ultimi, ma ne sono orgogliosamente l’ultimo e umile testimone. State facendo un torto al buon senso, prima ancora che alla fede del popolo italiano, anche perché non faccio la vittima, ma in quest’anno lei si è sacrificato, è vero… E sono contento di aver cominciato a lavorare con lei l’anno scorso, così come non coltiverò mai la rabbia e il rancore che in queste settimane sento da parte di qualcuno. Omnia vincit amor, l’amore vince sempre. Non ho paura, avete scelto il bersaglio, eccomi. Avete scelto il pericolo per l’Italia e per l’Europa, eccomi, pronto a sacrificarmi. Pronto, non c’è problema. Il mio Paese e il futuro degli italiani valgono più di mille poltrone, non ho paura a mollare le nostre poltrone. Non hanno paura le donne e gli uomini della Lega, non hanno paura i Ministri della Lega, gente libera che risponde solo e soltanto al popolo italiano, non alla Merkel o a Macron, solo e soltanto al popolo italiano, fiero, libero, orgoglioso, sovrano, sovrano! Con un’idea di futuro, di figli, di famiglia; di figli che hanno una mamma e un papà, aggiungo, se proprio bisogna dirla tutta. E buon lavoro col partito di Bibbiano. Grazie mille, Presidente. E poi gli autoritari saremmo noi, cosa strana. Siamo gli unici presunti fascisti che vogliono il voto, siamo gli unici dittatori che vogliono il voto. Pensate che dittatura strana che vorremmo instaurare: la dittatura del voto del popolo italiano, pensate un po’, che roba incredibile. Non mi dilungo, ma diteci molto semplicemente, al di là di questo, degli attacchi personali che mi sono dispiaciuti, per carità di Dio, a cui però sono anche disposto a soprassedere, perché mi sembrava di aver capito che se da parte del MoVimento 5 Stelle non c’era già un accordo preconfezionato col Partito Democratico… Stavo dicendo che i casi – e lo sa solo chi in questi giorni e in queste settimane è stato al telefono per trattare – sono solo due: o c’è già un accordo per andare avanti, cambiando semplicemente di settimana in settimana la giacca, cioè: “governavo con la Lega fino alla settimana scorsa e governo col PD la settimana prossima, a seconda della stagione autunno-inverno”. Se c’è già un accordo preso… Però, per essere noi pericolosi autoritari… È faticoso fare il pericoloso autoritario! Posso finire, umilmente? I casi sono due: se c’è un accordo di potere e di spartizione, già fatto, fra 5 Stelle e Partito Democratico, che sarebbe lecito, ditelo agli italiani e spiegate loro che cosa intendete fare nei prossimi tre anni. Secondo me, è irrispettoso della volontà del popolo italiano, che mi sembra chiara da due anni a questa parte. Però in politica – per carità – le abbiamo viste tutte; basta che lo diciate. Appunto, lui stesso ha visto, anzi ha visstuto, un accordo coi Cinque stelle e dunque non si capisce tutto questo tono stupito e costernazione. In ogni caso non si capisce perchP non bloccare subito, appena dice di essersene accorto, gli abboccamenti tra 5s e Pd di cui parla come cosa certa, ma senza fornire prove. Aveva un programma in comune, poteva rinsaldare l’azione di un governo in cui diceva di credere. Se non è così e invece c’è voglia di costruire e di terminare un percorso virtuoso, perché ho letto che qualcuno vuole fare il taglio dei parlamentari, bloccare l’aumento delle tasse e poi andare subito al voto, io l’ho detto la settimana scorsa e lo ripeto ancora in quest’Aula. La via maestra è quella delle elezioni, perché niente e nessuno meglio del popolo italiano potrà giudicare chi ha lavorato bene e chi ha lavorato male; questa è la via maestra. Se volete, noi ci stiamo: non abbiamo certo paura di andare avanti e di ultimare il percorso. Non siamo mica il Renzi di turno, che ha votato contro fino a ieri ed è disponibile a votare oggi a favore per mantenere la poltrona. Volete tagliare i parlamentari e poi andare a votare? Ci siamo: tagliamo i parlamentari e poi restituiamo la parola al popolo italiano. Ci siamo. Se poi uno volesse metterci una manovra economica coraggiosa per bloccare aumenti – e non solo – e ridurre le tasse a 10 milioni di italiani, ci siamo. Concludo. Giovanni Paolo II… Voi citerete Saviano ed io cito San Giovanni Paolo II. Ognuno può essere libero di citare e di rifarsi alla vita, alle opere e ai miracoli di chi meglio crede? Signor Presidente del Consiglio, signor Vice Presidente del Consiglio, lo dico a voi con la massima serenità e – ripeto – da donne e uomini liberi che non hanno paura a chiedere la conferma o meno al popolo italiano del loro buon lavoro, perché sono convinto che questa conferma ci sarebbe. San Giovanni Paolo II diceva e scriveva – e sembra scritto oggi – che la fiducia non si ottiene con le sole dichiarazioni o con la forza; la fiducia bisogna meritarla con gesti e fatti concreti. Se volete completare il percorso di riforme che abbiamo cominciato, noi ci siamo: si tagliano i parlamentari e poi si va a votare. Punto e a capo. Se invece volete governare con Renzi, Boschi e Lotti, auguri e spiegatelo agli italiani. Noi ammucchiate non ne faremo.
Savoini. La vacanza di Savoini. “Non parlo, per ora”. Repubblica a pagina 6.
I due Mattei. Opportunismo politico, tecniche di comunicazione e strategie di sfida ad avversari e alleati. Renzi buon narratore, Salvini ancorato agli slogan. Caparbietà, debolezze ed egocentrismo, uguali e diversi: i due Matteo allo specchio. Renzi: La sfido dove vuole, signor ministro Salvini, anche nel collegio di Bibbiano. Ma non giochi sulla pelle degli italiani perché in gioco ci sono le famiglie. Salvini continua a citarmi, ossessivo e ossessionato. Averti mandato a casa, caro omonimo, è per me un grande onore: fattene una ragione. Salvini: Sono simpatici coloro che sfidano, bullizzano e poi scappano. Per farlo devi avere un posto di confronto: le elezioni. Renzi insieme a Conte si confrontino col voto. Io sul comodino ho la foto della Boschi e non di Renzi. Non lo vota neanche la sua famiglia, ma farò tutto quello che è possibile perché lui e la Boschi non governino più. Sofia Venturi sulla Stampa a pagina 8.More
L e istituzioni democratiche vanno strette ai capipopolo, perché imbrigliano l’appello alle folle – emotivo, esaltato e esaltante – che costituisce invece la cifra dei demagoghi. Le istituzioni funzionano attraverso dialoghi, confronti, scontri. L’argomentazione, per quanto sostenuta da narrazioni e slogan, non può essere espunta dall’azione che prende forma al loro interno. E qui Matteo Salvini è caduto. Dopo aver preteso nuove elezioni come se ciò fosse nella sua disponibilità, una volta accerchiato ha reagito come un animale nella rete. Le difficoltà del “capitano” Nel lungo pomeriggio di due giorni fa, terminato con le dimissioni di Giuseppe Conte, con espressioni e parole il leader della Lega ha mostrato con tutta evidenza il suo disagio una volta calato nell’arena parlamentare. La sua replica a Conte ha evidenziato una scarsa dimestichezza con il ragionamento e l’argomentazione. Meno necessari nei talk show, dove di rado il politico di turno viene messo con le spalle al muro, l’uno e l’altra avrebbero potuto soccorrerlo di fronte al profluvio di accuse mosse contro di lui dal presidente del Consiglio. Tardive, piuttosto ipocrite, già diffusamente circolate nel dibattito pubblico, una volta pronunciate nell’aula del Senato dal capo del governo dimissionario quelle accuse hanno assunto una forza nuova, dirompente. Come risposta Salvini ha saputo soltanto tirar fuori il suo armamentario da demagogo: slogan sovrapposti, accuse di complotti orditi già da tempo dal Pd e dal M5s, evocazione dei soliti nemici, risentimento per gli «insulti» ricevuti, come un fidanzato abbandonato che all’amata rimprovera di non averlo mai amato. Un susseguirsi confuso di flash uniti solo da uno stato emotivo dominato da una rabbia a stento contenuta sovrapposta allo stordimento per i colpi ricevuti e al tentativo di mantenere viva la classica baldanza. La narrazione renziana Così Salvini con la sua pessima performance ha fatto apparire magistrale il successivo discorso di Matteo Renzi. Buon narratore, con un’esperienza politica in luoghi e partiti dove si apprendono le sottigliezze della politica, Renzi è così apparso ben più efficace, grazie anche a un eloquio più consono al ruolo. Le sue sono sembrate ragionevoli argomentazioni, condite da evocazioni – peraltro condivisibili – di quei sentimenti di umanità perduti dal governo gialloverde. «Sono sembrate» perché, in realtà, di nuovo in scena grazie agli errori del suo omonimo, il «senatore semplice di Rignano» ha fatto ricorso a un classico frame della sua narrazione. Ma non quello che ha lungamente usato in passato, ovvero quell’antipolitica soft che ha poi reso più digeribile quella hard arrivata in seguito, bensì quello degli interessi urgenti del Paese, del pericolo imminente che incombe sugli italiani. Ha dimostrato così di possedere una narrazione più ricca e articolata del ministro dell’Interno uscente e soprattutto di saperla adattare alla contingenza. Tuttavia, sempre di narrazione si tratta, quella del politico disinteressato animato solo dal bene dei cittadini. Peccato che il suo appello per un un governo di emergenza per evitare l’aumento dell’Iva e rimettere «i conti in ordine», ovvero fare una finanziaria, istituzionalmente sia del tutto infondato, poiché sia nell’uno sia nell’altro caso è possibile giungere agli stessi obiettivi anche procedendo subito a nuove elezioni. I punti in comune Così diverso da Salvini, come Salvini Renzi persegue le proprie ambizioni personali. Ancora non sa se rimarrà o meno nel Pd, nel frattempo conta sul controllo dei gruppi parlamentari eletti durante la sua segreteria e al tempo stesso prepara le sue truppe per una eventuale uscita. Ma ha bisogno di tempo. Il tempo di un governo fatto da altri, al quale fare eventualmente lo sgambetto al momento opportuno. Non sarebbe la prima volta. D’altro canto, con la sua narrazione del politico disinteressato, dai banchi del Senato Matteo Renzi, come è suo costume, ha parlato soprattutto al Paese. E infatti ripete il suo refrain in ogni dove. Lo scranno del Senato anche per lui è soprattutto una variante delle dirette Facebook. L’opportunismo politico Matteo e Matteo: una politica dominata ormai da una esasperata personalizzazione diventa inevitabilmente ostaggio delle ambizioni, dei profili di personalità, delle umane debolezze di pochi protagonisti. L’uno chiede pieni poteri, l’altro surfa su partiti e istituzioni per giocare le proprie partite. Il primo è certamente più pericoloso per la democrazia. Ma nel medio e lungo periodo la democrazia è fiaccata anche da una politica che avanza di opportunismo in opportunismo. La sfida di Salvini non si è certo esaurita in un giorno d’agosto nell’aula del Senato. Ricacciato all’opposizione indosserà nelle piazze, reali e virtuali, i suoi panni di tribuno efficace. La sfida di Renzi è soprattutto al suo partito e al suo segretario. Se riuscirà a imporre la soluzione di un governo ora, di breve durata o di lunga durata solo sulla carta – a causa sia della stessa mina vagante Renzi, sia della estrema difficoltà di interagire con una bizzarria politica come il M5s – alle prossime, e forse non troppo lontane, elezioni, Zingaretti e il Pd si troveranno a contrapporre un partito ulteriormente logorato dall’innaturale (e fallita) alleanza a un Salvini ringalluzzito dai bagni di folla e a una Lega rafforzata dalla propaganda contro l’«inciucio». Ma almeno Matteo Renzi avrà potuto finalmente costruire il suo agognato partito personale.
La solitudine dei numeri Due. La lotta per il potere e i veleni finali. L’anno vissuto in disaccordo su tutto dei due proconsoli gialloverdi (come nella Roma di Giulio Cesare). Dalle promesse «impossibili» di Di Maio ai dubbi di Salvini di aver sbagliato i tempi. Gian Antonio Stella sul Corriere a pagina 9.More
Manca solo la «Regina di Bitinia». Tolti i tweet, i post e le dirette facebook, però, lo scontro in corso fra Matteo Salvini e Luigi Di Maio ricorda l’odio insanabile che divise Gaio Giulio Cesare e Marco Calpurnio Bibulo. I due consoli che, a dispetto del nome (consules: «coloro che decidono insieme») si spaccarono nel giro d’un anno su tutte ma proprio tutte le decisioni per governare Roma. Certo, dopo essersene dette di tutti i colori, i proconsoli decaduti ieri un accordo nella scia del voto 2018 pareva l’avessero trovato. E sottoscritto. Sul potere, però. Poca stima. Zero convergenze su troppi principi. Anche nei giorni del famoso murale in via del Collegio Capranica dove il maschio alfa milanese baciava l’imberbe pomiglianese. Murale subito rimosso da zelanti pittori al servizio dei nuovi podestà. E adesso? Eccoli là, sempre più distanti. Un’ultima telefonata: «Mi hai tradito». Non un incrocio di sguardi alla cerimonia per i morti di Genova. Broncio nero senza un’occhiata martedì al Senato. E per quanto possano strillare, come ha fatto il Capitano leghista, o starsene zitti come ha preferito fino a ieri il Capo grillino, i due di colpo si ritrovano, spiazzati dagli eventi, dentro una situazione simile. La solitudine dei numeri secondi. Lo scontro per la supremazia Vice uno, vice l’altro. Ma convinti tutti e due, uniti da un patto generazionale oltre che politico, d’essere in realtà ciascuno il «vero» presidente del primo governo vicepresidenziale (copyright Fabio Bordignon) della Repubblica. E tutti e due, in momenti diversi, pronti a rivendicare la propria supremazia. Nella prima fase l’ex venditore di bibite dello stadio San Paolo, che si picca d’avere scelto personalmente, posandogli sulla spalla la spada Gioiosa, «l’avvocato del popolo Giuseppe Conte» e declama: «Sul contratto sta andando tutto bene. Naturalmente stiamo scrivendo la storia per cui un po’ di tempo ci vuole». La storia… Poi l’ex comunista padano e neosovranista, che a ogni porto chiuso cresce nei sondaggi e vince elezioni locali a ripetizione e allaga il web invitando i suoi fedeli a inviare a lui personalmente, il Capitano, le foto dei loro «bambini felini» (geniale una risposta: «Molti mici, molto onore») finché comincia a battere e ribattere su un tema: chi comanda sui porti? Lui. Altro che il ministero dei Trasporti o quello della Difesa: «Siccome io sono l’autorità nazionale garante della pubblica sicurezza, la decisione su chi entra e chi esce è mia». «I ministri dei Cinque Stelle sono brave persone, oneste e con la voglia di cambiare il Paese. Ma se i porti si chiudono o si aprono lo decido io». «Se ho ricevuto telefonate per sbloccare il nuovo sbarco? Ho tanti difetti, ma decido con la testa mia». Sempre più anche su temi estranei al Viminale. Basti ricordare il brusco richiamo salviniano sui mini-Bot, per bocca del fedelissimo Claudio Borghi, al ministro Giovanni Tria: «È giusto che un tecnico abbia le sue idee, ma la responsabilità politica è nostra: decidiamo noi». Non andò tanto diversamente, ricorda Luciano Canfora nel suo libro Giulio Cesare. Il dittatore democratico, il consolato del 59 a.C., quando furono eletti da una parte l’autore del De bello Gallico e dall’altra appunto Marco Calpurnio Bibulo. Non si sopportavano. Andarono presto alla rottura. E questa, in un clima sempre più incandescente dove i nemici di Cesare rilanciarono anche una vecchia maldicenza allusiva sui suoi rapporti con Nicomede IV di Bitinia, fu «così irreparabile e drammatica che Bibulo si barricò in casa emanando durissimi quanto impotenti editti contro il collega» mentre Cesare prese a governare da solo e, scriverà Svetonio, «a suo pieno arbitrio». Tanto che il consolato che di solito era ricordato coi nomi dei due consoli, passò come quello «di Giulio e Cesare». Il tunnel della crisi Andrà così anche questo giro? Nella scia del voto alle Europee molti avrebbero scommesso I PERSONAGGI Dalle promesse «impossibili» di Di Maio ai dubbi di Salvini di aversbagliato i tempi fino a un paio di settimane fa sulle elezioni anticipate e su un nuovo consolato unico «a pieno arbitrio». Ma lo stesso leader della Lega, tra collaboratori perplessi, non è più così sicuro. E non c’è chi non abbia visto l’altro pomeriggio, dietro le mille smorfie fatte per mascherare la collera furibonda che lo possedeva mentre Giuseppe Conte lo infilzava con lo spadino del torero, un vistoso sbandamento. Magari non il «terrore di essersi infilato in un tunnel senza uscita» descritto dai nemici: quella è propaganda. Il dubbio d’aver sbagliatoitempi, però, ora ce l’ha. Il timore d’aver sottovalutato la risposta dei parlamentari che aveva invitato giorni fa ad «alzare il culo» per accorrere a farsi licenziare, ora ce l’ha. E così quello d’averla fatta grossa, forse rintronato dalla musica sparata del Papeete Beach, nell’invocazione dei «pieni poteri». Una fanfaronata dai ricordi sinistri che da giorni cerca, quello sì disperatamente, di sopire. L’isolamento del Capitano È la solitudine, però, quella che pesa di più. Certo, una solitudine strapiena di leghisti, fedeli, ammiratori, camerati. Un grande zoccolo duro. Ma intorno? Sicuro che i famosi «moderati» siano disposti a seguirlo su percorsi sempre meno sereni e più avventurosi, come quello rilanciato ieri dell’uscita dall’euro? E sarebbe sul serio in grado, Salvini, direggere ancora per mesi e mesi una campagna elettorale durissima e costosissima (sul groppo restano quei 49 milioni di debiti…) senza più gli enormi vantaggi degli aerei blu, delle auto blu, delle moto d’acqua blu? Magari senza quelle spintarelle quotidiane che gli vengono dalle tivù? Le vanità del capo politico Vale per lui, vale per Luigi Di Maio. Che dopo avere a lungo maramaldeggiato, forte dell’investitura di Beppe Grillo, dentro il suo stesso partito sempre più percorso da inquietudini, rischia oggi di pagare care la vanità di promettere «un nuovo boom economico come quello degli anni Sessanta» e gli appelli spericolati ai piazzaroli francesi («Gilet gialli, non mollate!») e le retromarce su antiche promesse («Se mi vedete in auto blu linciatemi») e le urla di giubilo sul balcone (il balcone!) di Palazzo Chigi al grido di «oggi è cambiata l’Italia! Abbiamo portato a casa la Manovra del Popolo che per la prima volta nella storia di questo Paese cancella la povertà!» Come andrà a finire non si sa. Probabilmente neppure Sergio Mattarella, nella sua saggezza, lo sa. Certo è difficile che, per come si son messe le cose negli ultimi giorni, possano avverarsi le tonanti sicurezze salviniane: «Si rassegnino i compagni: governeremo per i prossimi trent’anni…». È già sceso a dieci. Poi si vedrà…
8 Rosario
Bassetti critica il rosario in Senato
«Ho una visione più laica della politica che per noi è fatta di contenuti evangelici». Il presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, fa riferimento a Giorgio La Pira rispondendo alle domande sul rosario baciato da Matteo Salvini in Senato nel corso del dibattito dopo l’intervento del premier Conte. «La religiosità – ha aggiunto l’arcivescovo di Perugia – si esprime in chiesa e nei luoghi della fede». —
Stampa a pagina 6
8 Canfora
Il professor Luciano Canfora commenta le citazioni dei politici: dai latini ad Habermas. “Il leghista forse non ricorda che il Cicerone che non voleva padroni poi se ne scelse uno. L’ex segretario Pd usa il Vangelo sui migranti: ma se lo ricorda che fu Minniti a chiudere i porti?”.
Fatto a pagina 3.
8 Conte
Conte adesso fa l’osservatore: «Io non sono più in gioco». Il primo ministro ai suoi: «Torno a fare il professore». L’idea di chiudere con la politica, almeno per ora. L’urgenza della manovra imporrà decisioni immediate e improrogabili. Nessuno deve preoccuparsi di darmi una sistemazione o un ruolo, né in Italia né in Europa. Sono dimissionario. Massimo Franco sul Corriere a pagina 10.
«Nessuno deve preoccuparsi di darmi una sistemazione o un ruolo, né in Italia né in Europa. Io non sono proprio in gioco. Dunque, rassicuro tutti: non sono io il problema. Sono dimissionario e quando avrò finito con gli affari correnti del governo tornerò alla mia professione…». Il giorno dopo le sue comunicazioni al Senato, che hanno aperto la crisi di governo con parole abrasive nei confronti di Matteo Salvini, Giuseppe Conte conferma a quanti gli parlano in queste ore di avere chiuso con la sua esperienza a Palazzo Chigi. E, sembrerebbe di capire, con la politica: almeno per ora. Difficile capire se il suo distacco sia indizio di somma furbizia o rassegnazione, o serenità. Rimane la sensazione che sia soddisfatto del modo in cui ha deciso di uscire di scena. E su quanto potrà succedere si sta ritagliando il ruolo di osservatore più che di protagonista. Di nuovo: almeno per ora. La soddisfazione maggiore è quella di avere evitato all’Italia per due volte una procedura di infrazione per debito eccessivo, e di avere contribuito all’elezione del nuovo presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Il suo timore era e rimane quello di una Lega decisa a contrapporsi in modo sterile alle istituzioni di Bruxelles, isolando l’Italia politicamente ed economicamente; ed esponendola alla speculazione finanziaria. Il fatto che ieri il presidente leghista della commissione bilancio, Claudio Borghi, abbia rilasciato un’intervista al settimanale tedesco Capital riproponendo l’uscita dell’Italia dalla moneta unica, suona come una conferma dei peggiori timori. La prospettiva di muoversi come se i vincoli e i patti sottoscritti potessero essere disdetti unilateralmente mostra una sottovalutazione dei rapporti di forza. Con una Germania che registra una congiuntura economica sfavorevole, l’idea di chiedere aiuto a un Vladimir Putin o all’ungherese Viktor Orban, sovranista come Salvini, e sotto schiaffo più di lui, è un’illusione velleitaria. Non è ancora chiaro come finirà la crisi formalizzata martedì sera, con le dimissioni nelle mani del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il rapporto con l’Unione europea e con la Nato, tuttavia, rimane un pilastro al quale anche il prossimo premier dovrà e non potrà che attenersi, se vuole proteggere l’interesse nazionale italiano. E sullo sfondo rimane quella che Conte continua a definire «l’incognita», alla quale ha fatto cenno esplicitamente anche nel discorso al Senato: i veri motivi che hanno spinto Salvini ad accelerare l’apertura della crisi, sorprendendo perfino alcuni leghisti che pure premevano da settimane perché rompesse con i Cinque Stelle. È un mistero che forse si capirà nel prossimo futuro, magari con il nuovo esecutivo. Anche se a Palazzo Chigi non danno per scontato che ci si riuscirà. Il fantasma di una soluzione abborracciata è sempre sullo sfondo; e dunque rimane in piedi l’opzione di un voto anticipato. Per formare un esecutivo serio, molto più di quello appena caduto, e cementato da un programma stringente e non da un «contratto» giallo-verde rivelatosi effimero e ambiguo, occorrerebbe tempo. Al contrario, l’urgenza della manovra economica imporrà decisioni rapide; e un confronto serrato con le istituzioni europee e soprattutto con i mercati finanziari che può essere sottovalutato solo in un’ottica di spesa irresponsabile: un altro lascito avvelenato che a Palazzo Chigi si attribuisce, in modo un po’ troppo autoassolutorio, soprattutto se non solo a Salvini.
9 Fi
«No al governo degli sconfitti». FI chiede il voto e riavvicina la Lega. La convinzione maturata nelle ultime ore in Forza Italia è che «il governo alla fine nascerà, Pd e M5S stanno già trattando sui ministeri», come ammette un alto esponente del partito. Restano dunque poche le mosse a disposizione di Silvio Berlusconi, arrivato ieri sera a Roma per fare il punto con i fedelissimi prima di salire al Quirinale oggi per esprimere la posizione del partito a Mattarella.
Corriere a pagina 6
Forza Italia si prepara a chiedere il voto Berlusconi spera in un segnale dal Colle
Messaggero a pagina 8
Berlusconi detta le condizioni «Voto subito, è la sola strada» Il Cavaliere oggi al Quirinale dopo il summit con i suoi «Al governo? Soltanto con tutti dentro, è improbabile»
Guiornale a apgian 9
Tajani: «Spero che non prevalga l’interesse del Palazzo» L’azzurro: «Assurda una maggioranza tra due forze che si sono insultate fino a ieri»
Giornale a pagina 9.
10 Conti spread
Tesoro e Colle Accordo con l’Ue per far slittare gli aumenti Iva Un decreto per il governo appena insediato o un’intesa in Parlamento in caso di voto anticipato
I funzionari di Bruxelles hanno già fatto sapere di non avere obiezioni
Stampa a pagina 7
La manovra rosso-gialla parte dal taglio del cuneo
`5Stelle e Pd pronti a disinnescare l’Iva ma non sono esclusi incrementi mirati
Vertice di Tria con tutti i collaboratori Boccia: rischi di recessione, ora risposte
Mesasggero a pagina 9.
I Conti. Messi in sicurezza a luglio. Per l’Iva ora servono 15 miliardi. Il prossimo governo troverà un quadro economico meno drammatico di qualche mese fa, ma non sono permessi passi falsi con il reddito degli italiani in fondo alla classifica Ocse.
Lo spread. C’è la crisi ma scende a 200. I mercati non vedono il voto. Si raffredda il rischio-Italia con l’uscita dall’esecutivo della Lega che avrebbe potuto portare il Paese a un nuovo scontro con l’Ue e anche fuori dall’euro. Determinanti comunque le mosse di Draghi
Per 20mila rider solo promesse. Decreto imprese ultima beffa.
Repubblica a pagina 10.
Una prima voce dal Nordest industrioso Vescovi di Confindustria Vicenza pone qualche seria domanda sulla crisi
Foglio a pagina 3
Voto subito? Il partito del Pil ora ha dei dubbi. Dario Di Vico sul Corriere a pagina 8.
«Il partito del Pil, almeno per ora, non vuole esporsi su voto sì/voto no. In una primissima fase Matteo Salvini, in virtù dei legami e dell’ampio consenso di cui gode presso i ceti produttivi del Nord, pensava di trovare negli industriali uno sponsor incondizionato dei propri progetti elettorali. Ma dopo le prime dichiarazioni pro-voto (corrette il giorno dopo) del veneto Matteo Zoppas e del lombardo Marco Bonometti, ora tutti sono attenti a non sbilanciarsi. La Confcommercio tiene ovviamente il punto sul tema consumi all’insegna di «fate tutto che volete ma guai se aumentate l’Iva» e ieri è uscito allo scoperto il presidente di Confindustria Vicenza, Luciano Vescovi che ha chiesto provocatoriamente ai partiti «qual è la vostra agenda? Quando iniziamo a parlare di cose importanti anziché di tematiche da spiagge?». In materia di elezioni Vescovi non ha chiesto il voto subito ma addirittura che il prossimo governo «metta mano al Rosatellum, una legge che non permette di governare».
Boccia: non importa il colore politico, il governo dia risposte all’economia.
«Non entriamo nel merito voto sì, voto no ma servono risposte su lavoro, giovani e crescita». Apprezzamento per Mattarella. «Figura autorevole per il commissario Ue». Allarme del presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia: per l’Italia «c’è un rischio stagnazione e possibile recessione, soprattutto per il rallentamento della Germania». Per Boccia «serve una manovra economica che ponga attenzione al lavoro e alla crescita».
Sole a pagina 6.
Consigli non richiesti per una manovra senza gonfiare la spesa. I partiti sono incagliati tra le boutade salviniane e le incertezze di zingaretti & co. Ecco come uscirne. Una strategia che non voglia condurre a un ulteriore aumento del disavanzo pubblico, e che invece avvii una stabilizzazione del rapporto tra debito e pil, passa da una revisione delle aliquote Iva, delle agevolazioni e delle spese fiscali introdotte dai gialloverdi, più l’abolizione degli 80 euro. Purché poi si investa.
Foglio a pagina 3
1 Politica si grazie
Politica, si grazie. Il Senato come la Nazionale Tv, in 14 milioni per Conte
Il discorso del premier parte col 33% e cresce di 10 punti di share Viale Mazzini, Salini corregge la rotta
Nelle maratone Rai1 fa il 21,1, Mentana l’11,8 da record Il Tg de La 7 fa il doppio del solito
Repubblica a pagina 8.
2 Open arms
L’inchiestaLa Procura intende verificare se l’emergenza sia frutto del rifiuto allo sbarco deciso dalle autorità italiane competenti Nave Open Arms, il pm di Agrigento “punt a” il Viminale
A bordo c’erano soltanto due bagni alla turca per 189 persone, usati anche come doccia
Fatto a pagina 10.
Lampedusa. E adesso l’emergenza è nel centro di accoglienza.
Repubblica a pagina 12.
Migranti, scambio di accuse tra forze armate e Viminale
Scontro sui controlli in mare: «Indebolite la lotta ai clandestini». «Screditate la Difesa»
Migranti, lite Salvini-Trenta sull’uso delle navi militari
“Depotenziata l’opera di contrasto al traffico di essere umani” La replica: “È lui che ha chiesto di arretrare il raggio di azione”
Repubblica a pagina 12.
«Inciuci». «Falso» Salvini-Trenta, è lite sui migranti. L’attacco delViminale e la dura replica dellaDifesa sui compiti affidati a chisvolge pattugliamenti inmare
Il leader leghista al governo di Madrid: «Si faccia carico di chi è arrivato»
Corriere a pagina 11.
«Roba da matti. Non hanno perso tempo, i nuovi ordini della Difesa sono stati formalizzati ieri. Prime prove tecniche di inciucio Pd-5 Stelle sulla pelle degli italiani, riaprendo i porti e chiudendo un occhio sulle Ong?». È Matteo Salvini, ieri su Twitter, a riaprire la campagna elettorale sui migranti attaccando la collega di governo — almeno ancora formalmente — Elisabetta Trenta, responsabile della Difesa, che secondo questa notizia fatta circolare dal Viminale col suo ministero avrebbe «modificato unilateralmente i compiti affidati a coloro che intervengono nelle operazioni di pattugliamento».
Per il ministero dell’Interno le nuove indicazioni, formalizzate martedì, per gli assetti militari in azione nel Mediterraneo centrale, «denotano un chirurgico ma significativo arretramento rispetto a quanto concordato per il contrasto dell’immigrazione clandestina». Tutto falso, fanno invece filtrare dal ministero della Difesa, chiarendo che «nessun indebolimento è stato apportato al dispositivo Mare Sicuro». Semmai, continuano sempre dal ministero, il 17 luglio — quindi quando ancora la crisi era nell’aria ma non ufficialmente aperta — la ministra Trenta ha inviato al capo di Stato maggiore della difesa Enzo Vecchiarelli una lettera in cui tra l’altro «si dispone di intensificare le attività di polizia marittima». Lettera ribaltata, nel suo significato, dal Viminale, che a questo punto fa circolare anche la risposta del 19 luglio: «Corre l’obbligo di trasmetterti la preoccupazione—scriveva il capo di Gabinetto del Viminale al suo omologo della Difesa — che l’ipotizzato incremento del pattugliamento aeromarittimo in acque internazionali possa fungere da fattore di attrazione per le partenze dalle coste libiche». Così si arriva ad agosto. Per la Difesa le novità additate da Salvini sarebbero in realtà solo modifiche assolutamente non sostanziali, solo definizioni — contenimento, contrasto, dissuasione — che non implicherebbero cambiamenti numerici delle missioni, né di uomini né di mezzi.
I migranti che hanno raggiunto Lampedusa dopo 19 giorni di attesa in mare: “Non vogliamo rinunciare ai nostri sogni”. Aarif e gli sbarcati dalla Open Arms: “Siamo scappati da bombe e torture”.
Stampa a pagina 9
Una rotta a forma di cuore. L’appello della Ocean Viking, la nave è tra Linosa e Malta da 12 giorni con 356 persone.
Stampa a pagina 9
3 Buttarelli
La privacy violata del Garante. La scomparsa di Buttarelli. Google rivela la causa della morte, che non era stata divulgata. L’interrogativo è come facessero a sapere della malattia e che ha determinato il decesso.
Corriere a pagina 19.
L’uomo che tutelava gli italiani con l’Europa
Ancora a fine giugno, la voce di Giovanni Buttarelli suonava squillante al telefono e non si sarebbe detto che la malattia fosse a poche settimane dall’avere la meglio. Accettò di buon grado di concedersi in un’intervista in cui sfidare ancora Facebook e difendere così i diritti dei cittadini degli europei. «Le regole ci sono, ma non vengono osservate», ammise, non senza precipitarsi a promettere che «l’Europa andrà avanti». L’Europa andrà avanti, si spera, ma senza di lui. Si è arreso al destino nella notte fra martedì e mercoledì. Nato a Frascati nel 1957, s’era laureato «summa cum laude» alla Sapienza di Roma nel 1984. Nel 2014 aveva assunto l’incarico di Garante Ue della protezione dei dati.
Stampa a pagina 19.
3 Gronda
L’ultimo blitz di Toninelli Bocciata la Gronda di Genova
Il governo è già oltre l’ammazzacaffè m a è vivo più che mai lo scontro tra Lega e Movimento 5 stelle sulle grandi opere. Il ministero dei Trasporti ha pubblicato sul suo sito internet le analisi costi benefici e l’analisi giuridica relative alla Gronda di Genova e i collegamenti A7-A10-A12. «La risultanza delle valutazioni suggerisce – scrivono gli uomini di Toninelli in perfetto stile burocratese – di cogliere l’opportunità di perseguire opzioni infrastrutturali più efficienti in termini trasportistici, ambientali e finanziari, che il ministero auspica possano essere approfondite e individuate attraverso un confronto con i livelli istituzionali territoriali». Il ministero ricorda poi come l’analisi costi benefici ha riguardato il progetto originario e alcune soluzioni alternative. I costi per la Gronda sono alti (4,7 miliardi) e i tempi da matusalemme (120 mesi). La Lega è partita subito alla carica. In un documento ha elencato le opere bloccate dal ministero. Tra queste il Terzo valico, la riforma dei porti, tra cui lo scalo di Pescara. —
Stampa a pagina 7
4 Medici
Meglio trovare un medico che nessuno Il Veneto chiama in corsia i non specializzati. Proteste, ma niente buon senso
Foglio a pagina 3.
4 app
L’“eredità”di Simon Gautier: boom dell’app Where are U. In pochi giorni 30 mila download per il servizio del numero unico di emergenza europeo.
Funziona anche senza connessione dati. Le coordinate vengono inviate alla centrale.
Fatto a pagina 11.
Corsaascaricarelaappchetilocalizza Oltre 18mila nuovi utenti al giorno dopo il decesso del turista francese. La chiamata al112 rivela la posizione
Corriere a pagina 17
«E se accadesse a me?», si sono chiesti molti, e anche se non sono escursionisti o camminatori solitari, devono essersi immedesimati nella storia di Simon Gautier, ferito e solo su una scogliera del Cilento, in quella mattina del 9 agosto in cui ha chiesto aiuto ma non ha saputo indicare con precisione dove si trovasse, né i soccorsi sono riusciti a localizzarlo. Ecco, si può supporre che ci sia quell’interrogativo, e quel pensiero d’angoscia, in tutte le persone che in questi giorni hanno scaricato sui propri smartphone l’applicazione Where are U. Perché con quell’app non c’è bisogno di sapere e spiegare nulla sul luogo dal quale si chiede aiuto. Latitudine, longitudine e quota vengono trasmessi in automatico alla centrale del 112.
5 Editorilai
ECONOMIA
1 Fed
Dopo anni di stimoli i banchieri centrali sono rimasti senza munizioni Il summit a Jackson Hole per cercare la ricetta della crescita La Fed si prepara a tagliare i tassi L’ultimo tentativo contro la recessione
Stampa a pagina 18.
La Fed nel mirino di Trump “Il nostro problema è Powell”
Il presidente Usa incerto sulle tasse: annuncia un taglio poi torna indietro
Repubblica a pagina 28
2 alibaba
La società è già in borsa a new york. con la nuova operazione punta a raccogliere 15 miliardi di dollari Due mesi di proteste a Hong Kong Alibaba rinvia la quotazione sull’isola Il gigante cinese del commercio elettronico vuole evitare problemi politici con Pechino
Stampa a pagina 19
Alibaba si piega a Pechino slitta lo sbarco a Hong Kong L’indice azionario ai minimi da 7 mesi Le proteste frenano l’economia della città
Repubblica a pagina 22
3 fca
Fusione tra Fca e Renault. La Borsa torna a crederci. Nuove voci di accordo, boom dei titoli.
«Non c’è effetto senza causa», amava ripetere Candide ai suoi interlocutori nel celebre racconto di Voltaire. E forse il protagonista del pamphlet settecentesco sarebbe della stessa opinione anche adesso guardando all’andamento delle quotazioni di Fca, salita ieri del 3,33%, di Exor, la holding di controllo di Fca, su del 4,07%, e di Renault, che ha chiuso in rialzo del 3,73%. Performance più che doppie rispetto all’andamento medio dei listini di Parigi e di Milano, cresciuti entrambi di circa l’1,7% nella tonica seduta di ieri.
Corriere a pagina 32.
Auto, la via obbligata alle alleanze Gli investimenti spingono le fusioni
Alleanze indispensabili per raggiungere il target 15 milioni di vendite
Il nodo delle piattaforme modulari: il modello Vw e il ritardo di Fiat Chrysler
«La svolta elettrica comprimerà ancora i margini»
«La riduzione dell’incidenza del diesel era attesa, ma non con questa rapidità»
Sole a pagina 13
4 rinnovabili
Elettricità sempre più verde. Rinnovabili vicine al sorpasso. A giugno le fonti alternative, secondo le stime di Terna, in aumento a quota 48%
Investimenti per 11 miliardi e monitoraggio dei fattori di debolezza del sistema.
Sole a pagina 7
Sorpasso inglese Più colonnine elettriche che pompe di benzina
Entro il 2040 il Regno Unito vieterà la vendita di auto con motore a scoppio per favorire le vetture “verdi”
È avvenuto uno storico sorpasso, in questi giorni in Gran Bretagna, ma le auto che ne sono state protagoniste non si muovevano di un millimetro: erano tutte ferme. Le colonnine per ricaricare le vetture a elettricità hanno infatti superato i distributori di benzina: le prime hanno raggiunto quasi quota 9.200, i secondi sono invece scesi a circa 8.400. La tendenza era nell’aria da tempo, ma ha accelerato più del previsto: nel 2016 si stimava che ci sarebbero voluti quattro anni perché i punti di ricarica elettrici superassero le tradizionali stazioni di rifornimento per automobili a carburante. Invece il sorpasso è accaduto con sei mesi di anticipo.
Repubblica a pagina 29.
5 ex Ilva
ArcelorMittal chiude l’altoforno due Piano da 60 milioni per i nuovi filtri
Attesa per il decreto sull’immunità per poter proseguire gli interventi
Ieri a Taranto fuga di gas vicino all’impianto causata dalle cokerie
Sole a pagina 8.
6 libra
Faro antitrust di Bruxelles sulla criptovaluta di Facebook
Aperto dossier preliminare su Libra per la valutare una procedura formale
Sospetti di limitazione della concorrenza per informazioni e dati
Sole a pagina 14.
La Commissione europea ha lanciato un’indagine preliminare su Libra, la nuova moneta digitale di Facebook. Secondo un documento Ue, citato in una nota dell’agenzia Bloomberg, l’Antitrust sta «indagando su possibili pratiche anti-concorrenziali». Nel mirino membri e struttura della governance dell’associazione Libra, cioè il consorzio che gestisce la criptovaluta, composto da una trentina membri tra cui i colossi dei pagamenti Visa, Mastercard e PayPal, oltre a operatori telefonici come Vodafone e Iliad e, ovviamente, Facebook.
Corriere a pagina 33.
7 bund a zero
Il Bund a rendimento zero fa flop. Qualcuno vuole ancora rischiare
Foglio a pagina 3.
E anche il bund a trent’anni rende sotto zero
È di qualche settimana fa la notizia che i rendimenti sui bond sovrani tedeschi sono ormai negativi per tutte le scadenze; e ieri l’asta del trentennale è andata, prevedibilmente, male. Complice, anche, la prospettiva di una nuova tornata di quantitative easing da parte della Banca centrale europea di acquisti di titoli sovrani che riguarderanno in quota maggiore proprio la Germania.
Repubblica a pagina 28.
8 crac
Crac bancari, al via le richieste di indennizzo. Attivato il portale del Mef per le domande dei risparmiatori. Ci sono sei mesi di tempo. 35 mila euro è il valore Isee al di sotto del quale i risparmiatori avranno diritto a essere soddisfatti con priorità negli indennizzi.
Corriere a pagina 30.
9 reddito famiglie Ue
Ue, cresce il reddito delle famiglie. Ma quelle italiane restano in coda. L’Ocse: nel G7 solo il RegnoUnito fa peggio dell’Italia (+0,5%) a causa dell’Irlanda del Nord.
Corriere a pagina 30.
Il reddito reale delle famiglie ha ripreso a crescere in modo consistente nei primi mesi dell’anno, in tutto il mondo industrializzato aumenta più del Prodotto interno lordo pro capite, segno che le disponibilità delle famiglie sono maggiori di quanto non dicano i numeri del Pil, ma in Italia le cose vanno peggio che negli altri Paesi. Nel primo trimestre, secondo i dati diffusi ieri dall’Ocse, il reddito delle famiglie italiane è cresciuto dello 0,5%, dopo la brutta flessione dell’ultimo trimestre dell’anno scorso (-0,4%), a fronte di una crescita del Pil dello 0,1% (a fine 2018 era -0,1%) . Ma ancora una volta l’Italia è il fanalino di coda tra tutti i maggiori Paesi industrializzati del mondo.
10 Huawei
Sfida alla Cina. Trump inserisce Huawei Italia nella lista nera L’azienda: «È una mossa politica». Questa volta, nella «lista nera» di Donald Trump del commercio con gli Stati Uniti c’è anche l’Italia. Tra le filiali e i centri di ricerca del colosso cinese inseriti nella nuova Entity list, infatti, c’è Huawei Italia, con il Microwave R&D Center di Segrate, Milano.
Corriere a pagina 19
10 Commerzabamk
Commerzbank pronta a tagliare fino a 200 filiali. Continua il momento difficile dei grandi gruppi bancari tedeschi. Dopo che il campione nazionale, Deutsche Bank, a inizio luglio, ha approvato un drastico piano di ristrutturazione che prevede il taglio di 18 mila dipendenti (uno su cinque) entro il 2022, adesso è Commerzabank, secondo gruppo bancario del Paese con attivi per oltre 2 mila miliardi di euro, a pensare a un piano di rilancio. Secondo indiscrezioni starebbe preparando a un taglio di cento o duecento filiali.
10 Fmi
Effetto Quota 100 in dodici mesi via 35 mila prof. A settembre scatta il primo esodo degli insegnanti. A rilento invece le altre uscite nel pubblico impiego. Quota 100, già in piena azione nel privato, comincia a far sentire i suoi effetti anche nelle amministrazioni dello Stato. Anche se le uscite, che partono proprio ad agosto, sono molto inferiori alle aspettative del governo. Se in dodici mesi se ne sono andati 35 mila professori, negli altri settori l’esodo va a rilento. Messaggero a pagina 17.
10 Fmi
Fondo monetario, Georgieva più vicina. Un ostacolo in meno per la nomina della bulgara Kristalina Georgieva alla posizione di direttore generale del Fondo monetario al posto di Christine Lagarde. Il Fondo ha infatti comunicato che i 24 membri del suo consiglio esecutivo hanno raccomandato la rimozione del limite di età (65 anni) per la carica. Una proposta che sarà portata al consiglio dei governatori, che comprende rappresentanti di tutti i 189 Paesi membri. Georgieva ha compiuto 66 anni proprio la settimana scorsa.
«Più tecnologia e automazione. Il Pil può crescere anche dell’1%». McKinsey: l’impatto dell’intelligenza artificiale su lavoro, welfare, salute, scuola e ambiente. Uno studio dal titolo «Tech for good» ha tentato di valutare l’impatto della smart automation e dell’intelligenza artificiale sul welfare e sulla crescita del Pil. Analizzando 600 casi di studio, il report afferma che l’aumento potenziale del benessere, una somma di crescita economica e di altre componenti come la salute, il tempo libero e la parità di diritti, possa contribuire entro il 2030 a portare dallo 0,5% fino a un punto di Pil in più all’anno, pari a circa 13 mila miliardi di euro, sia in Europa che negli Usa.
Corriere a pagina 31.
ESTERI
1 Trump 1
Trump sul sentiero di guerra in vista del G7 di Biarritz
Minaccia dazi ai partner Ue e vuole ricostituire il G8 riammettendo la Russia
Sole a pagina 16
1 Trump 1
“Non vendono la Groenlandia” Trump via Twitter cancella la sua missione in Danimarca Schiaffo del presidente a Copenhagen. La regina: era pronto il tappeto rosso
Sono sorpresa dalla decisione di Trump di annullare la visita dopo il rifiuto di vendere, ma non c’è alcuna crisi tra noi
Rimanderò l’incontro ad un altro momento Così la premier farà risparmiare spese e sforzi a entrambi i Paesi
Il Paese dei ghiacci dovrebbe dichiarare la propria indipendenza e poi entrare negli Usa
Stampa a pagina 10
TrumpoffesononvainDanimarca Il presidenteUsa voleva comprare laGroenlandia. La premier: «Assurdo».Arriverà inveceObama
Corriere a pagina 12
2 Trump 2
Stretta americana sui migranti Trump: aboliamo lo ius soli Pronta anche la nuova norma sulla detenzione a tempo indefinito per le famiglie di stranieri che attraversano la frontiera senza un visto valido. Genitori e figli uniti, ma dietro le sbarre. Quello della cittadinanza è un vecchio bersaglio L’idea del presidente è che le donne vadano apposta in America a partorire
Repubblica a pagina 14.
washington intende mettere fine al diritto di cittadinanza per nascita Stretta sui migranti dalla Casa Bianca Ius soli addio e detenzione dei bambini
Le famiglie con minori entrate illegalmente saranno fermate a tempo indeterminato
3 Trump 3
Il senso di Trump per gli ebrei: buoni solo se lo votano
Il presidente fa arrabbiare la comunità mettendo in dubbio la sua fedeltà. La lobby ‘J Street’:“Il razzismo non ci piace”
Fatto a pagina 19.
3 Trump 3
«I bimbi in cella senza limiti di tempo» «Nessun bambino dovrebbe essere usato come una pedina per aggirare le regole», ha spiegato il ministro per la sicurezza interna di Trump Kevin McAleenan, illustrando le ragioni della nuova stretta sull’immigrazione: ribaltando un regolamento secondo il quale i nuclei con minori non possono essere fermati per oltre 20 giorni, l’amministrazione ha deciso di consentire la detenzione a tempo indeterminato delle famiglie con bambini che attraversano il confine.
Corriere a pagina 11.
4 G7
Usa pronti a invitare Putin al G7 del 2020 in America
Le porte del G7 si stanno riaprendo alla Russia. Martedì il presidente Usa Trump aveva detto che era favorevole a riammettere Mosca al vertice dei grandi della Terra, da cui secondo lui era stata esclusa perché Obama si era lasciato raggirare da Putin, quando aveva invaso la Crimea. In serata poi ne ha parlato con il collega francese Macron, che ospiterà il prossimo G7 a Biarritz a partire da sabato, e i due hanno concordato di rinvitare il Cremlino. Il capo della Casa Bianca ne parlerà agli altri Paesi membri durante l’incontro in Francia, ma la riammissione di Putin sembra ormai certa, perché nel 2020 il G7 sarà organizzato dagli Usa, che quindi come Paese ospitante avranno il diritto di invitare chi vogliono. Il capo dell’Eliseo ha detto che la chiave per riaprire la porta del vertice sarebbe una soluzione della crisi in Ucraina, ma i maligni sospettano che l’intera operazione sia una trappola ordita dallo stesso Macron per imbarazzare Trump. Putin infatti verrebbe negli Usa per il G7 proprio nell’anno delle elezioni presidenziali, rilanciando polemiche e sospetti legati al «Russiagate» e le interferenze con il voto del 2016.
Stampa a pagina 10
5 Iran
Documenti d’intelligence svelano le operazioni delle nuove cybertruppe: colpiti ministeri e hotel in Turchia, Serbia e Austria L’Iran schiera un esercito di hacker “Rubati i dati di milioni di turisti”
Stampa a pagina 11
6 Nave
Pressing americano, Atene chiude i porti alla petroliera Adrian Darya diretta in Siria. La nave era rimasta ferma a Gibilterra. La Grecia chiude i porti alla petroliera iraniana Adrian Darya che era rimasta sequestrata a Gibilterra per 5 settimane con l’accusa di trasportare greggio verso la Siria. Le autorità di Atene, che hanno affermato di aver subito pressioni dagli Usa, – che hanno mandato di sequestro della nave cisterna – hanno fatto sapere che non faciliteranno il trasporto del greggio in Siria in nessuna circostanza.
Stampa a pagina 11.
7 Yemen
I ribelli sciiti abbattono con un missile un drone Usa. I ribelli yemeniti Houthi abbattono un drone statunitense con un missile iraniano e il duello fra America e Iran si allarga ancora di più. Il tutto nel giorno che vede le milizie sciite dell’Iraq, alleate di Teheran, accusare Washington di essere dietro i raid misteriosi che da settimane colpiscono i loro depositi di armi. È una sfida che abbraccia il Golfo, il Mediterraneo, con la vicenda della petroliera, e il Mar Rosso, dove si fronteggiano militari sauditi e i guerriglieri sciiti.
Stampa a pagina 11.
8 Brexit
Brexit, trenta giorni per trattare Merkel tende la mano a Londra
Incontro a Berlino con il premier Boris Johnson. Una soluzione sul confine irlandese “è possibile”
Ho vissuto 34 anni dietro alla Cortina di ferro. So cosa significa quando i muri cadono e so che bisogna impegnarsi al massimo per la convivenza pacifica
Repubblica a pagina 15
Merkel riceve Johnson: Brexit una soluzione in trenta giorni Merkel riceve Johnson a Berlino e dice che l’accordo con la Ue non si può rivedere e che Berlino è pronta all’eventualità di un’uscita senza intesa di Londra dalla Ue. Ma apre sul backstop, il protocollo di garanzia per evitare il ritorno a una frontiera fisica fra le due Irlanda. Si era pensato che una soluzione definitiva potesse essere trovata in due anni, «ma forse si potrà trovare anche nei prossimi 30 giorni», ha detto Merkel.
Stampa a pagina 12.
Brexit, gli industriali tedeschi chiudono la porta. Secco ‘no’ a Johnson. Il premier inglese dalla cancelliera Merkel propone un nuovo accordo ma i “panzer ” lo spianano. Berlino non vuole il confine fisico fra le Irlande, ha già i suoi problemi di crescita economica.
Fatto a pagina 19
Merkel-Johnson, patto per evitare la «catastrofe» I due leader: 30 giorni perrisolvere il nodo del confine irlandese. Negato il visto Usa alla fidanzata di Boris
Corriere a pagina 14.
Londonderry, città divisa dove la Brexit fa paura «Può riaccendere le micce» In Irlanda del Nord. «Ricordiamo la guerra per salvare la pace». Il reportage sul luogo simbolo del conflitto.
Massimo Nava sul Corriere a pagina 14.
Brexit violenta In Irlanda del nord aumentano le imboscate contro la polizia in vista del ritorno dell’ “hard border”
Foglio in prima
9 Kashmir
Kashmir, la scommessa (per ora) vinta dall’India
Danilo Taino sul Corriere a pagina 15
10 Siria
Le voci inascoltate che arrivano dalla Siria di Assad. C’è poco di nuovo nelle dinamiche della terrificante operazione lanciata dalla dittatura siriana contro l’ultima enclave delle forze ribelli nella regione di Idlib. Lo si ripete da almeno cinque anni: senza l’aiuto militare russo e iraniano Assad sarebbe caduto da un pezzo. Ma, proprio grazie a tali alleati, i suoi soldati possono da tempo colpire impuniti, torturare gli oppositori, farli sparire, lanciare agenti chimici, bombardare ospedali, cliniche, campi profughi, terrorizzare col fine dichiarato di stroncare qualsiasi spirito di rivolta. Noi europei siamo distratti. Nessuno crede più all’anelito di libertà e rinnovamento democratico che, soprattutto in Siria, aveva improntato lo scoppio della «primavera araba» locale nel 2011. Lorenzo Cremonesi sul Corriere a pagina 28.
GIUSTIZIA
1 Fuerali
Applausi e saluti fascisti ai funerali dell’ultrà. È una coreografia da stadio quella che ieri ha fatto da cornice al funerale di Piscitelli, ucciso con un colpo di pistola alla testa il 7 agosto scorso nel parco degli Acquedotti, in zona Tuscolana, nella Capitale. Una coreografia che – per ragioni di ordine pubblico, in base agli accordi presi nei giorni scorsi con la famiglia in vista delle esequie – si è sviluppata all’esterno, lungo la strada e sul piazzale che conduce al Santuario, in un’area presidiata da 300 uomini delle forze dell’ordine. Proteste della famiglia. Sulla bara di Piscitelli la scritta “Irriducibili”. La vedova si scaglia contro la polizia, poi ha un malore. Tensione quando non viene rispettata la sosta di 3 minuti prima di portare via il feretro.
Stampa a pagina 13
Doveva essere una funzione privata, ma la tifoseria laziale pretende di omaggiare la salma e allontana le forze dell’ordine
Funerali Diabolik, gli ultrà comandano la cerimonia
Fatto a pagina 15
Saluti romani e cori da stadio per l’addio a Diabolik Capitale blindata e tensione ai funerali del capo ultrà laziale assassinato Trecento tifosi presenti. Le urla di moglie e figlia contro la polizia
Repubblica a pagina 16
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