Open Arms: Conte ordina, Salvini obbedisce. «Ma la colpa sarà soltanto sua». Il ministro cede e scarica lo sbarco sul premier: «Precedente pericoloso, si prenderà la responsabilità». Intanto per il governo spunta l’ipotesi Draghi scrive Alberto Gentili sul Messaggero. Ma lo dice solo un anonimo alto esponete del Pd. Tanta economia. Tante notizie dal mondo. E tante letture.
La notizia del giorno secondo me. Non è il giovane francese scomparso nel Cilento. Ma che l’Italia sia senza localizzazione delle chiamate d’emergenza. Scrive il Corriere: Sarebbe stato possibile localizzare con relativa facilità e precisione il telefonino e, quindi, il punto in cui è caduto Simon Gautier se in Italia funzionasse già, come in altri Paesi europei, il sistema tecnologico Advanced Mobile Location (AML) che invia automaticamente un sms al 112 con le coordinate Gps dello smartphone dal quale parte una richiesta d’aiuto. Creato in Gran Bretagna nel 2014, l’AML dovrebbe essere già attivo in Italia «che ha ricevuto denaro pubblico europeo per una prima fase di test nel 2016/2017. Tutti i telefoni hanno di serie questa tecnologia, che funziona senza internet, ma occorre una piattaforma che riceva i dati Gps e li inoltri ai servizi di soccorso». Costa una decina di migliaia di euro. Senza è possibile individuare solo l’ultima cella, che però copre un’area troppo estesa.
Nodo al fazzoletto per il nascente nuovo governo o per la riedizione del gialloverde: sapete come spendere i primi diecimila euro della Finanziaria.
Open Arms. Conte: «Sbarcate i minori di Open Arms». Il ministro: «Obbedisco, ma è un precedente pericoloso». L’ultima mossa del ministro per togliere alibi al premier. Salvini cede sui migranti per disarmare Conte in vista del duello di martedì al Senato. More
Si sente più forte Conte proprio nel momento – e questo può sembrare un paradosso – del tramonto del suo governo. E c’è una perfidia, e l’esibizione plateale della metamorfosi che lo ha riguardato, era il vice dei suoi vice e adesso l’Europa lo ha adottato e Salvini si è sgonfiato, nello schiaffo che tira a Matteo sulla Open Arms. E Matteo quasi gli porge l’altra guancia. Come mai? E’ diventato buono, anzi buonista, rinnegando l’identità politico-culturale sui migranti che non si può certo far rientrare tra i tanti errori che il ministro ha compiuto e che finora non si è rivelata svantaggiosa per l’Italia? Nessuna abiura del rigore securitario. E’ solo che «gli altri provocano ma noi – dice Salvini ai suoi – dobbiamo evitare provocazioni. E cercare di ricucire». O meglio: la mossa di Salvini, che per una volta non fa il duro, mira a togliere argomenti a Conte in vista del duello di martedì al Senato.
MAI DIRE MAI Dunque si è preso lo schiaffo di Conte il Capitano e lo ha fatto come ultima dimostrazione di come ci tenga a proseguire – come se la crisi non l’avesse innescata lui – l’esperienza del governo attuale, magari rimpastato. Lo fa per tattica Salvini a prendersi lo schiaffo e a dire «mio malgrado» obbedisco all’ordine di sbarco dei minori dalla nave. Non vuole dare alibi a Conte, anche se la virulenza con cui il premier uscente martedì parlerà in Senato contro Salvini è la riprova che ogni possibile mediazione è saltata. Ma «mai dire mai» è il mood di Salvini in queste ore, e così si spiega lo schiaffo che accetta sulla Open Arms. Pronto naturalmente a ridiventare lo sceriffo implacabile – e gradito in questo agli italiani che in stragrande maggioranza secondo i sondaggi sono per i porti chiusi – appena questo governo non ci sarà più e ci sarà da combattere il nuovo esecutivo rosso-giallo. Che sull’immigrazione sarà più orientato all’umanitarismo dem («Precedente pericoloso» definisce questa vicenda infatti Salvini, considerandola l’antipasto dell’Italia in giallo-rosso) piuttosto che alla linea M5S finora in linea con quella del Carroccio ma che poi subirà una torsione di 180 gradi in direzione sinistra. A riprova che nella neo-politica principi e contenuti sono ribaltabili con scioltezza e a la carte. E il «tradimento» filo-dem dei grillini sui migranti sarà dalla prossima settimana – c’è da giurarci – uno dei cavalli di battaglia di Salvini.
LA NOSTALGIA La “bontà” tattica e strumentale del Capitano che evita il braccio di ferro, in vista del dibattito in Senato, può valere insomma come una sorta di avance salvinista per non far precipitare tutto ciò che in verità è già precipitato. Ma in questa vicenda Open Arms c’è anche la riprova della metamorfosi di Conte. Che è come se dicesse a Salvini: «I pieni poteri di cui ha parlato, ora li prendo io!». E lo sfoggio della forza sta nel fatto che Conte va a colpire Salvini proprio sul tema dei migranti, quello qualificante per il salvinismo. Il premier in uscita si sente le spalle ben coperte dall’Europa, dove forse sarà il commissario italiano (e che beffa per il Capitano che aveva prenotato invano quel posto per uno dei suoi) e soprattutto può muoversi, in questo schiaffo dell’Open Arms, nel solco inattaccabile tracciato dal presidente Mattarella a suo tempo a proposito della Diciotti. Il premier uscente e il presidente della Repubblica non si sono sentiti ieri e Mattarella è voluto restare fuori da questo ennesimo caso. Ma Conte, più baldanzoso che mai, ha guardato ieri al precedente della Diciotti, quando fu il Capo dello Stato che chiese al governo di risolvere al più presto e in maniera umanitaria quella questione. Ecco, si è sentito in sintonia con il Colle e con l’Europa l’«avvocato del popolo». Lo stesso che però, lui e M5S, difese Salvini indagato sulla Diciotti e l’intero compagine giallo-verde fece scudo intorno al vicepremier di cui «abbiamo condiviso le scelte». Ma sembrano tempi archeologici quelli. Adesso lo scenario è cambiato, gli equilibri di potere anche, ma resta il tema dei migranti e su quello, al netto della momentanea ritirata di queste ore, Salvini da ex ministro dell’Interno è deciso a battere «ancora più di prima». Ma senza il Viminale è un’altra cosa, perciò per Matteo è cominciato il momento del rimpianto ma anche di una nuova lotta.
Mario Ajello sul Messaggero a pagina 3.
Il premier e il vice mai così lontani. Quei segnali al Pd. La mossa del presidente del Consiglio sul caso Ong prologo della rottura tra i due attesa per martedì. Le lettere scritte a distanza di pochi giorni per sbloccare la vicenda sono la sconfessione di un anno di politica sull’immigrazione. More
«Non c’è nessuna possibilità di pace. Con Salvini ho rotto definitivamente». La plastica dimostrazione che non esistono margini di ricucitura tra Lega e 5 stelle, di sicuro non attraverso Giuseppe Conte, l’avremo martedì in Senato quando il premier punterà il dito contro il leader della Lega citando riunioni mancate, vertici disertati, appuntamenti internazionali saltati. Una requisitoria in piena regola anche se a farla sarà un avvocato abituato alle arringhe. Le lettere sui migranti della Open Arms, prima quella di Ferragosto poi quella di ieri, sono solo un assaggio della rivincita che Conte si vuole prendere nei confronti del suo vice. In quelle missive è stata demolita la politica sull’immigrazione dell’ultimo anno con una presa di distanza netta. Il resto arriverà martedì. La corrispondenza sui profughi al largo di Lampedusa va dunque letta come il prologo di uno scontro pubblico. Ma anche come un segnale alla parte politica pronta a sostituire il Carroccio nella maggioranza: il Pd. La trattativa è già molto avanzata, con i nomi dei ministri sul tavolo. Ma i dem per favorire la nascita di un nuovo esecutivo potrebbero ingoiare anche un Conte bis? Sembra quasi impossibile. La partita però è tutta da giocare e il premier vuole stare in campo anziché in panchina. Secondo Matteo Renzi, tifoso della soluzione istituzionale, il Conte bis è uno scoglio insormontabile.
Come si fa a votare la fiducia al presidente del Consiglio «che ha firmato i decreti sicurezza»? Dicono al Nazareno: si chiamerebbe, a ragion veduta, trasformismo. Ma qualche sacrificio il Partito democratico dovrà pur farlo, tanto più che ormai sta aprendo porte e finestre all’intesa con Luigi Di Maio. Romano Prodi dirà nelle prossime ore che solo un esecutivo con i grillini può salvare il Paese. Paolo Gentiloni, che era sulla linea di Carlo Calenda del “voto subito”, sta cedendo e viene descritto ora come «non più ostile» alla nuova maggioranza. La verità è che Conte, grazie alle mosse degli ultimi mesi, sarebbe il candidato perfetto a guidare un governo Pd-M5s. Le lettere a Salvini dimostrano la sua sensibilità ormai più vicina alla sinistra che all’ala sovranista. Ma sarebbe un’operazione temeraria. «Pensiamo che il premier non ce lo chiederà nemmeno», osservano nel Pd.
C’è invece la volontà di non umiliarlo anzi di premiarlo perché con la sua resistenza ha favorito l’ipotesi di un’alternativa al patto gialloverde. Può fare il ministro degli Esteri del nuovo esecutivo o, meglio ancora visto che è un suo desiderio, il commissario europeo. I tempi ci sono a dispetto della scadenza del 26 agosto che non è perentoria, è un’indicazione di massima. Ursula Von der Leyen presenterà la sua squadra alla plenaria dell’Europarlamento il 15 settembre. Per quella data potrebbe essere già nato il governo giallorosso. Conte diventerebbe la scelta principale per la commissione.
Il premier è tentato, martedì, di dire «tutta la verità» sui 14 mesi trascorsi accanto a Salvini. Significa accusarlo di assenze, storture istituzionali, sgarbi, della latitanza dal suo ufficio al Viminale. Vedremo se andrà fino in fondo. I 5 stelle fanno notare il successo social del premier, la crescita del suo consenso popolare già certificato dai sondaggi. Sono 319 mila i like alla durissima lettera di Ferragosto sui migranti pubblicata su Facebook. I post più recenti di Salvini, finora incontrastato mattatore della rete, viaggiano sui 50 mila like, non di più. Una battuta di arresto per la Bestia, la macchina propagandistica i cui fili sono mossi dal burattinaio Luca Morisi. Questi numeri stanno convincendo il premier a essere «il più trasparente possibile» nel passaggio parlamentare. E a rifiutare ogni tipo di dialogo con la Lega. Dialogo che ormai, anche nell’entourage di Di Maio (il quale potrebbe rimanere ministro anche con un altro esecutivo), considerano difficile. Tutto dev’essere ancora consumato quindi ma tutto è in movimento per preparare il terreno al ribaltone.
La base dei 5 stelle si sta convincendo dell’impossibilità di un ritorno coi leghisti. Nel Pd solo Calenda è rimasto fermo sulla linea di una sfida elettorale a Salvini. Gli altri pensano a come gestire il dopo, addirittura immaginando un’alleanza politica con il M5s in grado di salvare molte regioni prossime al voto: Umbria, Emilia e Calabria. Come si capisce il filo che lega Pd e grillini sta diventando sempre più robusto. La prima mossa toccherà al M5s quando, dopo le dimissioni di Conte, inizieranno le consultazioni al Quirinale.
Molti dicono «ci penserà Mattarella». È vero l’esatto contrario: devono pensarci le forze politiche e presentare al Colle una solida maggioranza parlamentare. Secondo il capo dello Stato sarà ancora più solida se a guidarla sarà una figura politica o istituzionale (garanzia di durata e di stabilità) e non un tecnico (Cantone). Il primo passaggio spetta ai 5 stelle, partito di maggioranza relativa in Parlamento. Saranno loro a dover dichiarare chiusa l’esperienza di governo con la Lega e a suggellare l’abbraccio col Pd.
Goffredo De Marchis su Repubblica a pagina 3.
Salvini: “Decisione di ordine emozionale”. L’Ue: “Prima lo sbarco, poi la distribuzione tra Paesi”. Su mandato dei pubblici ministeri, disposta un’ispezione a bordo della nave dove restano in 107, con l’equipaggio della Ong spagnola. Le voci tra la folla dei curiosi sul molo: “Non siamo razzisti, ma nazionalisti”. La polizia chiede al Viminale le carte sul mancato sbarco. Ipotesi di sequestro della nave. È stato acquisito anche il documento con cui la guardia costiera chiedeva di procedere all’attracco. Dubbi sullo stato di salute a bordo. Il medico di Lampedusa: «Quelli che abbiamo visitato stavano bene».
Il Ministro della Difesa Elisabetta Trenta intervistata dalla Stampa: “Ci sono due neonati con problemi respiratori”. E sulla situazione politica: “La Lega ha tradito una volta. Non dobbiamo più fidarci. Ho subito attacchi incredibili sui social. Partiranno tantissime querele, dobbiamo lottare”. More
È arrivata da pochi minuti la notizia dello sbarco, nel porto di Lampedusa, dei 27 minori presenti sulla nave Open Arms dopo sedici giorni in mare. «Finalmente», dice la ministra della Difesa, Elisabetta Trenta. E sarebbe difficile sintetizzare meglio l’attuale distanza da Matteo Salvini e dalla «politica dei porti chiusi e dei muri che non funziona, serve semmai più Europa», dice infatti Trenta, ma anche da chi crede che si possa tenere in piedi questo governo, perché «chi ha tradito una volta lo farà ancora. E a questo punto, la porta della Lega io non la riaprirei». A bordo della Ong rimangono però ancora 107 migranti. Lo sbarco dei minori è stato il primo passo verso una risoluzione della vicenda? «Non ne posso ancora avere contezza, ma dopo tanti giorni in mare la situazione a bordo è certamente negativa. Eccoperchémisonoattivatapersonalmente per risolvere la questionedeiminoriabordo». Salvini parla di «presunti minori». «Tra di loro ci sono due neonati di nove mesi, uno dei qualiconproblemi respiratori. Dal 13 agosto, ad ogni modo, ci siamo coordinati con il presidente Conte, il ministro Toninelli,e abbiamocoinvolto anche Salvini ma lui non ha mai risposto ai nostri messaggi. Avevo persino chiesto alCapodistatomaggioredella Difesa se ci fosse una nave vicina che potesse intervenire e prendere a bordo i minori; poi è arrivata la sentenza del Tar che ha sospeso il decreto sicurezza bis e non ce n’èstatopiù bisogno». Lei si è anche rifiutata di firmare il divieto di ingresso nelle acque italiane che voleva Salvini. Solo una questione di «umanità»? «Ho deciso di non controfirmare il decreto anche perché l’hoconsideratounattoelusivodelladecisionediungiudice, senza che fossero intervenute delle novità sostanziali. Ho ritenuto più forti le ragionidella sospensivadel Tar». Ma è d’accordo con i contenuti del decreto sicurezza bis? «Condivido l’idea che le migrazionivadanogestiteecontrollate.E l’hofirmato, anche se credo non sia sufficiente. Lafermezzasuiconfini,lapoliticadeiportichiusiedeimuri, non funziona di fronte a un fenomeno come quello migratorio.Serveunmaggiore coinvolgimento dell’Europa e un intervento massiccio per stabilizzare economicamente e politicamente alcuneregionidell’Africa». Per le sue posizioni è stata messa recentemente alla gogna da Salvini e dalla galassia social leghista. Come ha reagito? «Hosubitoattacchiincredibili sui social. E voglio dirlo chiaramente:partirannotantissime querele. Abbiamo strumenti per poterci difendere e dobbiamo lottare contro questi strumenti di manipolazione dell’opinione pubblica,utilizzati spessoperdestabilizzareunesecutivo». In questo caso, sarebbe un pezzo del governo che ne destabilizza un altro. Non le sembra assurdo? «Dopo il tradimento di Salvini, le giudico medaglie. Se luimiidentificacomeilnemico da abbattere, vuol dire che sto lavorando bene. Eppure, proprio ieri rileggevo dei vecchi messaggi che gli avevo inviato. Il tono era collaborativo, amichevole. Gli dicevo di essere convinta come lui che ci dovesse essere una regolamentazione dei flussimigratori». E adesso è tutto finito? «Vedocheognistradaè ancora aperta. Le confesso che la prima reazione è stata di grande tristezza. Ci sono ancora così tanti dossier aperti sui quali stavo lavorando, soprattutto per il personale della Difesa, e che temevo di dover abbandonare incompiuti. Ma tanta gente ci sta dicendo di andare avanti». Il punto è con chi. Lei tornerebbe con la Lega? «Io penso che chi ha tradito una volta, tradirà di nuovo. E che quella della Lega sia una porta che non vada riaperta». D’accordo, resta solo il Pd. «Non saprei. In questo momento serve silenzio e tempo per trovare una soluzione. Ho assoluta fiducia nel Presidente Mattarella e nella capacità di negoziazione del premier Conte». Senza Lega cambierebbe la politica migratoria? «Qualsiasi governo arriverà, dovrà puntare i piedi e al tempo stesso collaborare con l’Europa. Non si può aprire a tutti, come era prima. Dall’altra parte, però, se decidiamo di aprire in un certo modo, dobbiamo avere la capacità di comunicarlo e di non creare attriti tra le fasce più deboli della popolazione». Intanto Angela Merkel ha annunciato di voler riaprire la missione europea Sophia per il pattugliamento del Mediterraneo e di voler mettere alla guida la Germania. L’Italia resta a guardare? «Sarebbe un errore enorme perdere l’unica missione europea, finora a guida italiana, che ci permette di giocare un ruolo centrale nel Mediterraneo. Se la Germania o la Francia o un altro paese europeo ne si metterà al comando, lasceremo il controllo di un’area strategica per il nostro Paese. Credo sia ancora possibile riprendere il timone di Sophia. Ne sto parlando con Conte e lui è assolutamente d’accordo con me».
Elisabetta Trenta intervistata da Federico Capurso sulla Stampa a pagina 3.
Ipotesi Draghi. I 5Stelle: «Palazzo Chigi a Conte». No del Pd, spunta l’ipotesi Draghi
Alberto Gentili sul Messaggero a pagina 5. More
Il Movimento gioca la carta con il Pd. Meglio, con quella coalizione larga aperta a Leu, +Europa e persino a qualche fuoriscito da FI che renderebbe meno imbarazzante – sia ai dem che ai grillini – l’eventuale alleanza per un governo di legislatura. L’ampio fronte dem, guidato da Matteo Renzi e Dario Franceschini e benedetto da Enrico Letta e dai padri nobili Romano Prodi e Walter Veltroni, non ha alcuna voglia di fare un governo con Conte presidente del Consiglio. «Per mettere su un esecutivo forte e di legislatura, serve una marcata discontinuità e questa non può avvenire con la sostituzione in corsa dei ministri leghisti con i nostri», spiega un altissimo esponente del Pd vicino a Renzi. E aggiunge: «I 5Stelle devono capire che bisogna andare su un premier autorevole e terzo. Pensiamo a Raffaele Cantone, che piace anche ai grillini. Oppure a Mario Draghi, molto apprezzato da Mattarella. Se il presidente della Bce, che scade tra due mesi, potrebbe accettare di buttarsi in questo caos? E’ probabile, visto che dopo aver fatto il premier, nel 2022 potrebbe essere eletto capo dello Stato». Suggestioni. Tanto più perché i grillini molto difficilmente potrebbero dire sì al presidente uscente della Banca centrale Ue, considerato la massima espressione dell’establishment europeo. Perché, a giudizio di un altro esponente dem, «l’avvento di Draghi potrebbe ricordare a una parte dell’opinione pubblica l’esperienza Monti, dimenticando che da presidente della Bce Draghi ha salvato il Paese».
Editoriali.
Sabino Cassese
La confusione e la realtà: alla richiesta di sciogliere le Camere si oppongono ragioni costituzionali. Quali che siano le conclusioni della crisi politica in corso, è importante capire che l’accaduto non è privo di conseguenze sulla vita delle nostre istituzioni.
Romano Prodi
Bisognerebbe creare una coalizione filoeuropea. “Orsola”,
Eugenio Scalfari
Bisogna introdurre misure che rispondano a un criterio di maggiore uguaglianza e quindi di libertà. Renzi parla molto, ha rilanciato la sua collaborazione con Zingaretti, ma di certo vuole continuare a comandare.
Stefano Folli
Sentiremo Conte martedì in Parlamento, vedremo se farà un discorso di rottura con la Lega, come certi indizi farebbero pensare. E capiremo se l’arrocco di Salvini, che non parla più di elezioni anticipate e si tiene stretto il Viminale, è solo un estremo riflesso difensivo ovvero l’inizio di una diversa strategia.
Andrea Manzella
Fallito l’attacco all’Unione, basato su una immaginaria “solidarietà sovranista”, il ministro leghista ha pensato di utilizzare i “dividendi” della sconfitta inseguendo un altro suo sogno, questa volta a casa.
Marco Travaglio
Il governo giallo-verde, salvo sorprese, morirà il 20 agosto con il discorso del premier che dichiarerà conclusa l’esperienza del Salvimaio con un utile promemoria sulle responsabilità del Cazzaro Verde.
Vittorio Feltri
L’editoriale è la risposta a un lettore che sostiene come il vero traditore non sia Salvini ma Di Maio e i grillini. Feltri non è d’accordo. Perchè così Salvini rischia di finire in un angolo.
Maurizio Belpietro
Salvini, non aveva alternativa. Rimanere in silenzio di fronte al congelamento della Flat tax, dell'autonomia e delle grandi opere, significava essere cotto a fuoco lento. Finirà male? Non lo sappiamo. Comunque vada, Salvini ha fatto bene a uscire dal pantano. Meglio un'opposizione con dignità, che un governo senza vergogna.
Editoriali. Due congressi e un conclave per costruire un esecutivo, Romano Prodi sul Messaggero in prima. Bisognerebbe creare una coalizione filoeuropea. “Orsola”, cioè la versione italiana dell’accordo raggiunto per l’elezione della nuova presidente della Commissione europea. Un accordo duraturo nella prospettiva dell’intera legislatura. Perché questo sia credibile è innanzitutto necessario che contenga, in modo preciso e analitico, i provvedimenti e i numeri della prossima legge finanziaria con l’adozione di politiche dedicate in modo organico a due fondamentali obiettivi: la riorganizzazione degli strumenti necessari per la ripresa economica e la messa in atto di una politica socialmente avanzata. More
La frattura politica fra i due partiti che ancora hanno la responsabilità dell’attuale governo sembra allargarsi ogni giorno, obbligandoci a riflettere con maggiore urgenza sui possibili esiti dell’attuale crisi. La prima osservazione riguarda il fatto che anche se il ritorno alle urne non è di per se stesso una patologia, deve essere considerato “un’ultima ratio”, essendo il Parlamento chiamato a durare per l’intera legislatura. È vero che, con il prevalere dei governi di coalizione, le crisi sono sempre più frequenti in tutti i Paesi, ma la fine prematura della legislatura è il riconoscimento di un fallimento, una ferita inferta alla vita democratica. Bisogna quindi fare il possibile per evitare tale evento. Questo sforzo deve essere ripetuto anche nell’attuale situazione del Paese: naturalmente in modo trasparente, nel rispetto delle forme istituzionali previste e non ad ogni costo. Bisogna perciò partire dalle ragioni che hanno portato al declino del governo attuale e preparare le basi di una maggioranza costruita attorno a un progetto di lunga durata, sottoscritto in modo preciso da tutti i componenti della coalizione. È un compito difficilissimo ma non impossibile. Un esercizio di questo tipo, come ho già più volte messo in rilievo nei giorni scorsi, è stato messo in atto in Germania.
È vero che il confronto fra democristiani e socialisti muoveva da passate esperienze comuni, ma le differenze fra loro erano state raramente così radicali come nell’ultima campagna elettorale. Eppure è stato formato un governo che, anche nelle difficoltà dell’attuale congiuntura, riesce ad avere una condivisa linea di condotta. Ciò è stato possibile grazie a una lunga trattativa, nella quale sono stati definiti non solo gli orientamenti politici ma anche le priorità delle decisioni e i numeri degli impegni finanziari necessari per metterle in atto. Un accordo completo, rigoroso ed analitico. Si dirà che l’Italia non è la Germania, ma la necessità di un tentativo di questo tipo è maggiore a Roma che a Berlino perché non solo noi, ma tutti i nostri amici stranieri, si stanno chiedendo cosa faremo in futuro. Poiché le tensioni nel governo per ora in carica sono divenute ingestibili solo dopo la divisione fra Lega e 5Stelle sul voto europeo, è chiaro che l’accordo deve prima di tutto fondarsi sul reinserimento dell’Italia come membro attivo dell’Unione europea. Forse bisognerebbe battezzare questa necessaria coalizione filo europea “Orsola”, cioè la versione italiana del nome della nuova presidente della Commissione europea. Non so se si possa chiamare una coalizione con un gentile nome femminile ma credo che, in questo caso, il gesto avrebbe un preciso significato politico. In secondo luogo deve essere un accordo duraturo: non per un tempo limitatoma nella prospettiva dell’intera legislatura. Perché questo sia credibile è innanzitutto necessario che contenga, in modo preciso e analitico, i provvedimenti e i numeri della prossima legge finanziaria. Quindi l’impegno deve essere per il lungo periodo e la garanzia che quest’impegno venga rispettato può arrivare solo dall’approvazione dettagliata, rigorosa e perfino pedante, delle misure da prendere già a partire dalla prossima Legge finanziaria che, secondo Salvini, avrebbe dovuto segnare la rottura con i nostri partner europei. In terzo luogo le condizioni del Paese obbligano all’adozione di politiche dedicate inmodo organico a due fondamentali obiettivi: la riorganizzazione degli strumenti necessari per la ripresa economica e lamessa in atto di una politica socialmente avanzata. Al perseguimento dei diritti civili bisogna infatti accompagnare, con più vigore di quanto avvenuto in passato, uno sforzo per il rafforzamento dei diritti sociali, partendo dalla lotta alle disuguaglianze, dalla difesa del welfare e da una nuova attenzione per la scuola e la sanità, messe pericolosamente a rischio dalla politica degli ultimi anni. Gli italiani non sono angosciati solo dalle migrazioni (in entrata e in uscita) e il problema deve essere riesaminato insieme ai partner europei sia per l’aspetto dell’accoglienza sia per quello dell’inserimento. Tutti noi abbiamo anche una crescente paura di essere sempremeno garantiti nel campo della scuola e in quello della sanità. Tutte queste paure sommate assieme stanno disgregando l’Italia. Non sarà certo facile trovare l’unità necessaria per definire questo programma fra partiti che si sono tra di loro azzuffati per l’intera durata del governo e che hanno perfino un diverso concetto del ruolo delle istituzioni nella vita del Paese. La definizione di una linea comune al loro interno deve quindi accompagnare (e forse precedere) l’accordo di governo. In genere, in questi casi, si deve pensare a qualcosa che possa perlomeno potersi paragonare a un congresso di partito. Non ho laminima idea di come possa svolgersi un congresso dei 5Stelle perché sono cresciuto con la convinzione che per confrontarsi sia necessario almeno guardarsi in faccia, ma ho un’idea ben chiara sulla necessità di aprire un dibattito nell’ambito del Partito Democratico così che la posizione prevalente possa portare avanti inmodo credibile e fermo le decisioni prese, senza che esse vengano continuamente messe in discussione anche ponendo sul tavolo ipotesi di scissione. Un dibattito ancora più necessario per preparare una posizione unitaria sul grande problema delle autonomie che non possono essere lasciate all’iniziativa di alcune Regioni ma che debbono coinvolgere “prima gli italiani” e necessariamente “tutti gli italiani” come veri protagonisti. Mi sto accorgendo infatti che questa incomprensibile crisi, insieme a tutte le preoccupazioni e le paure che suscita, sta risvegliando in tutto il Paese un’attenzione alla politica che sembrava ormai appartenere al passato.
Romano Prodi sul Messaggero in prima.
Gli accordi che sono possibili,
Sabino Cassese sul Corriere in prima. La confusione e la realtà: alla richiesta di sciogliere le Camere si oppongono ragioni costituzionali. Quali che siano le conclusioni della crisi politica in corso, è importante capire che l’accaduto non è privo di conseguenze sulla vita delle nostre istituzioni.
More Grande è la confusione sotto il cielo. È cominciata con la mozione di sfiducia della Lega nei confronti del governo di cui fa parte, e la sua richiesta di andare subito alle urne. È seguita con una lettera del presidente del Consiglio al suo ministro dell’Interno, criticato per gli «strappi istituzionali» e per «sleale collaborazione». Lo stesso presidente del Consiglio ha constatato che «questa nostra esperienza di governo» è «agli sgoccioli». L’altra forza di governo, per bocca dell’altro vicepresidente, ha a sua volta dichiarato «la frittata è fatta». Salvini ha detto: bisogna «rivedere» il reddito di cittadinanza. Conte ha disposto: occorre assicurare assistenza e tutela ai minori della nave Open Arms. Gli ha ribattuto Salvini: in questo modo si chiede «lo sbarco di centinaia di immigranti». Conte ha replicato «indignato per l’irresponsabilità del vicepresidente». In questo scambio di accuse, ciascuna delle due parti ha lamentato che si tratta dell’«ennesimo» conflitto. Mentre la lite continuava, ciascuna delle due forze di governo si rivolgeva all’alleato di ricambio, la Lega a Berlusconi, il M5S ai democratici, come un marito e una moglie sulle soglie di un divorzio, pronti a unirsi ognuno al proprio amante. Poi, nuovo giro di danza: la mozione di sfiducia c’è, ma non viene calendarizzata dalla conferenza dei capigruppo del Senato, cioè è come se non ci fosse. La Lega non ritira dal governo i suoi ministri. Ciò, nonostante abbia sfiduciato il governo di cui fa parte. Salvini, dimenticando quel che dice la Costituzione, f a u n passo verso il M5S, dicendosi pronto a votare la riduzione dei parlamentari prima di andare a nuove elezioni e dichiara che il suo telefono è sempre acceso. Conosceremo il seguito di questa farsa il 20 agosto, quando al Senato si discuterà sulle «comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri». Per ora sappiamo che tutti gli esiti sono possibili. Se lasciamo da parte le schermaglie (altre ce ne saranno), i problemi di fondo sono tre: perché l’uscita di Salvini ha suscitato tante reazioni? Quali sono le ragioni per non sciogliere il Parlamento? A quali condizioni si potrebbe costituire un governo non effimero? Salvini, dopo aver coltivato tante paure nel suo elettorato in continuo aumento, nel crescendo di una propaganda fatta in ogni luogo, ha finito per suscitare la paura che volesse tutto il potere per sé. Ha messo in discussione due alleanze storiche dell’Italia repubblicana, quella atlantica e quella europea, spostando l’asse dei suoi interessi e della politica verso la Russia di Vladimir Putin. Ha chiesto «pieni poteri». Si è mosso per conquistare da solo la maggioranza per guidare un governo monocolore, in un Paese che ha sempre ritenuto più rassicuranti i governi di coalizione e che ha sempre mostrato «insofferenza per il lungo potere» (sono parole di Mariano Rumor riferite agli otto anni di governo di De Gasperi). Il suo estremismo, anche verbale, ha fatto comprendere che il suo disegno era semi-plebiscitario e neobonapartista, quindi opposto al populismo coltivato dal M5S. Si è comportato da padrone anche nel suo partito (Giorgetti ha dichiarato al Corriere della sera il15 agosto: «ha messo in fila i ministri, i capigruppo, i dirigenti di partito»; poi «ha sentito una ventina di imprenditori e figure di spicco» e ha deciso la svolta; Calderoli, il 17 agosto, sempre al Corriere della sera, ha dichiarato che «Salvini decide da solo»). Infine, questo farla da padrone pare legittimato solo dai sondaggi. Le due Leghe di cui Salvini è il leader hanno avuto alle europee 9 milioni di voti, su quasi 51 milioni di elettori e su quasi 28 milioni di votanti. Quindi, Salvini parla a nome di un quinto degli elettori. Inoltre, nessuno sa come voterebbe alle elezioni politiche quel 20 per cento dell’elettorato che non ha votato alle elezioni europee e che normalmente si reca alle urne per le elezioni nazionali. In conclusione, Salvini non ha messo in conto che le sue azioni e le sue dichiarazioni avrebbero suscitato il timore del «tyrannus ab exercitio», cioè di colui che, pur investito legittimamente del potere, lo esercita poi in modo tirannico. Quel che è accaduto in un breve giro di giorni (ma si andava preparando da tempo) non è senza riflessi sulle istituzioni, a cominciare dalla principale richiesta della Lega, lo scioglimento del Parlamento. Vi si oppone una ragione costituzionale. La circostanza che si è votato poco più di un anno fa e che la Costituzione prevede rinnovi quinquennali, non ogni volta che cade un governo, né ogni volta che i sondaggi segnalano cambiamenti di umori dell’elettorato, se in Parlamento si possono trovare nuovi accordi. Tanto più che Lega e M5S si erano presentati all’elettorato in competizione e solo in Parlamento, dopo tre mesi, erano riusciti a trovare una intesa, a differenza di Forza Italia e della Lega di Bossi, che si presentavano uniti all’elettorato. Quindi, se si raggiunge un diverso accordo parlamentare, non viene tradito un «mandato» degli elettori. Seconda conclusione: non si può sciogliere il Parlamento ogni volta che i sondaggi indicano cambiamenti, se non si sperimentano le possibilità di nuovi accordi in Parlamento. Questa è la regola del parlamentarismo. Il problema che viene dopo è: quali accordi sono ora possibili? Le strade sono tre. La prima: che si ricostituisca un’intesa tra le due forze di governo, sulla base di un contratto meno labile di quello del 2018. Se questo accade, Salvini avrà ottenuto il contrario di quel che voleva, perché dovrà stare al governo ridimensionato, con minori poteri e gli stessirischirussi di prima. Dovrà capire che, se si fa parte di un condominio, non si può alzare la voce e litigare. Dovrà riconoscere la primazia del M5S, che deriva dai rapporti di forza delle elezioni del 2018. Dovrà attendere altri quattro anni, nei quali non può continuare la sua campagna elettorale. Sarà difficile che possa continuare a criminalizzare l’immigrazione e a coltivare paure. La seconda possibilità è che si costituisca un governo del M5S con l’appoggio esterno del PD. Questo comporterebbe una revisione in profondità della retorica anti-immigrazione e una attenuazione delle posizioni tradizionali del M5S sulle opere pubbliche, nonché un accordo sulla scelta del commissario europeo e del prossimo Presidente della Repubblica. La terza strada è quella che tra M5S e PD si crei un vero e proprio accordo. Alleanze multiple sono già state sperimentate. M5S e PD, insieme con Forza Italia, hanno recentemente votato a favore della presidente della Commissione europea (come, d’altra parte, Forza Italia ha votato con il M5S per i presidenti delle due Camere, nella decisione di salvare Salvini sul caso Diciotti, sulla prima legge sicurezza e su quella sulla legittima difesa). Una nuova alleanza di questo genere dovrebbe presentarsi con persone veramente nuove,ese possibile più giovani, che non abbiano frequentato finora lo spazio pubblico, dando davvero il segno che le due forze politiche sono capaci di fare un passo indietro, di non esser attaccate alle poltrone. Dovrebbe, per essere duratura, avere un programma di legislatura, ma anche la capacità di risolvere i problemi aperti (le crisi aziendali, l’aumento dell’Iva, la preparazione del bilancio 2020) e quelli già sul tappeto (la riduzione dei parlamentari, e le connesse modificazioni costituzionali ed elettorali). Dovrebbe, infine, averla capacità di spiegare bene all’elettorato le sue mosse, dotandosi di strumenti mediatici e informatici almeno pari a quelli usati finora dalla Lega. Quali che siano le conclusioni, è importante capire che l’accaduto non è privo di conseguenze sulla vita delle istituzioni. Non possiamo dire che tanto rumore sia stato per nulla.
Sabino Cassese sul Corriere in prima.
L’onda della sinistra contro un leader azzoppato,
Eugenio Scalfari su Repubblica in prima. Bisogna introdurre misure che rispondano a un criterio di maggiore uguaglianza e quindi di libertà. Renzi parla molto, ha rilanciato la sua collaborazione con Zingaretti, ma di certo vuole continuare a comandare.
More Stanno accadendo molte cose nella politica italiana di oggi, tutt’altro che gradevoli e non parlo a nome d’una sinistra democratica che cerca di difendersi dal prevalere di una destra totalitaria. Parlo piuttosto dei Barbari e ricavo questa mia visione da un bellissimo articolo di Alberto Asor Rosa uscito sul nostro giornale martedì 13 agosto e intitolato “I barbari visti da vicino”. Merita una citazione che servirà a chiarirci quello che accade sotto i nostri occhi. «L’Italia è stata sottoposta, nel suo complesso in questi ultimi decenni, a un autentico processo di “barbarizzazione”. La “barbarie” oggi è dappertutto, costumi, persuasioni etiche, forme della politica, rapporti umani, usi e abitudini della lingua. Se non s’interviene a cambiare tutto questo, il barbaro avrà comunque il sopravvento. Bisogna cambiare le cose, tutte le cose, con idee, programmi, comportamenti. Lo raccomandava già 500 anni fa, dalla sua altezza di pensiero, Niccolò Machiavelli. Possibile che non abbiamo ancora imparato questa semplice lezione?». Dunque il “barbaro”. Ricordo a questo punto un incontro che ebbi molti anni fa con Beppe Grillo, quando iniziò a predicare al popolo che lo ascoltava che cosa bisognava fare per creare una situazione nuova. «Abolire le classi dirigenti, qualunque sia la loro collocazione politica. Il popolo non vuole le caste dirigenti e quindi deve tagliare gli alberi e lasciare il prato ai suoi piedi. Quando questa operazione sarà compiuta noi faremo il nostro programma, ma fino ad allora il daffare è chiaro: tagliare gli alberi».
I Cinquestelle che sono venuti dalla predicazione di Grillo hanno appunto tentato di abolire le classi dirigenti. A guardare la situazione dieci anni dopo non si può dire che questo obiettivo sia stato realizzato: i Cinquestelle una classe dirigente l’hanno creata, è la loro, ma un programma vero e proprio non c’è. Hanno oscillato tra sinistra e destra, attirando cittadini demotivati. In certi momenti la predicazione grillina ha fatto presa ed è arrivata sopra il 30 per cento dei voti in elezioni nazionali o locali; ma erano elettori che entravano e uscivano, votavano e non votavano, guardavano a sinistra e alla fine approdavano a destra. Forse attratti dal barbaro Matteo Salvini. Ciò che sta accadendo oggi somiglia decisamente alla materia friabile dei Cinquestelle: allo stato dei fatti i loro attuali elettori vengono valutati intorno al 15 per cento, molliche di pane di quella che fino a pochi mesi fa era una grossa pagnotta. Questo è una parte di ciò che avviene ma certo è ben lontana dal tutto.
L’Italia sta attraversando una sorta di maremoto permanente in politica e questo è certamente l’aspetto più importante della situazione attuale visto che la politica muove le società. E tuttavia accanto a essa c’è la situazione economica. L’economia condiziona la politica e viceversa: sono due attività sociali fortemente intrecciate, l’una determina l’altra reciprocamente. Un’economia che va a rotoli lascia la politica priva di difese e costretta soltanto a rigenerare l’attività economica. E viceversa. Sono dunque due facce della stessa medaglia. Com’è stata la situazione italiana a partire dalla fine della guerra mondiale e la sconfitta del nostro Paese? Per capir bene l’andamento economico e finanziario, l’analisi ha come punto di concentrazione la Banca d’Italia: non siamo un’eccezione, avviene in tutti i paesi l’importanza operativa delle banche centrali. In Italia i banchieri centrali sono stati: Luigi Einaudi (che poi diventò presidente della Repubblica italiana), Donato Menichella, Guido Carli, Paolo Baffi, Carlo Azeglio Ciampi, Antonio Fazio, Mario Draghi (poi presidente della Banca centrale europea per la quale il suo mandato scadrà tra pochi mesi), Ignazio Visco. È stata una banca centrale adeguata a un paese come il nostro, in un continente come l’Europa e con una moneta comune, l’euro, adottata dai diciannove Paesi principali dell’Unione europea? Sì, è stata una banca adeguata e se vogliamo esser chiari ha costituito la spina dorsale di sostegno dell’economia nazionale. La sua politica è stata coerente: sviluppo dell’economia, sbarramento contro la deflazione, controllo adeguato dell’inflazione, investimenti in obbligazioni ed emissione valutaria. Una politica di investimenti in obbligazioni pubbliche e anche private e il tentativo di mantenere il debito pubblico in condizioni accettabili. Quest’ultimo è stato il tentativo riuscito a metà, poiché il debito pubblico è fortemente aumentato negli ultimi decenni e tuttavia con un volume ancora accettabile, specialmente se sarà contenuto e leggermente diminuito negli anni a venire. Da questo punto di vista la politica della Bce di Draghi ha avuto una funzione assai positiva. È sperabile che i suoi successori la proseguano. Una delle misure che ritengo estremamente importante è l’abolizione del cuneo fiscale. Ha avuto fino a qualche anno fa una certa utilità ma poi l’ha persa del tutto e quindi non vale la pena, come talvolta in questi anni è stato fatto, di tagliarne il 5 o il 10 o addirittura il 20 per cento, va abolito completamente e sostituito con una politica finanziaria che tenga conto dei redditi e dei patrimoni. La scala dei redditi è quella che più dimostra la struttura socio-economica del nostro Paese. Vanno sostenuti i redditi bassi, con il denaro pubblico. Man mano che dai redditi bassi si va verso il reddito medio che è quello più numeroso dei percettori, il dare e l’avere tenderanno a uguagliarsi, il reddito medio cioè campa da solo. Ma poi i redditi diventano alti e allora una parte crescente di essi viene utilizzata per il sostegno dei redditi inferiori. Questa situazione cresce con il crescere dei ricchi, sia dei redditi sia dei patrimoni ed entrambi vanno tassati in misura crescente, fino a un taglio notevole. Filosoficamente parlando, questa politica non è altro che l’introduzione del criterio dell’uguaglianza accanto a quello della libertà. Perfino la morale cattolica di papa Francesco ha il criterio dell’uguaglianza come uno dei valori principali del Dio Unico che governa il mondo.
La politica italiana ha avuto finora come attore principale Matteo Salvini, ministro dell’Interno e vicepresidente del Consiglio assieme a Luigi Di Maio dei Cinquestelle. Entrambi vicepresidenti con un presidente: Giuseppe Conte. In questi ultimi mesi Salvini ha messo a punto una politica molto determinata: vuole elezioni entro il mese di ottobre, per la Lega e i suoi alleati Meloni e Berlusconi. Risulterebbe sicuramente vincente. Di Maio? È ridotto al minimo, poco più che una mosca, ma nella valutazione di Salvini noie non ne darà, non ne ha la forza né politica né personale. Sta lì, anche loro a destra con qualche tentazione verso sinistra, ma la mosca cocchiera non serve a niente. Il progetto di Salvini ha un seguito molto importante: a elezioni vinte e a Camere sciolte, c’è posto per una nuova struttura costituzionale più autoritaria. Questo progetto dovrebbe realizzarsi nel 2022, quando l’attuale presidente della Repubblica concluderà il suo mandato. Di qui ad allora la Lega ha in mano il governo, il premier Conte potrebbe essere destinato a un incarico europeo. Di Di Maio abbiamo già detto: respira a fatica. Salvini sarebbe il premier d’un governo che il presidente della Repubblica dovrebbe tollerare poiché, nella testa salviniana, non avrebbe altra scelta. Da una settimana in qua il progetto di Salvini sta attraversando una fase di grande agitazione: Conte lo contrasta, bene o male è il presidente del Consiglio ed è lui l’interlocutore del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La mosca cocchiera dei Cinquestelle rappresenta tuttavia un intralcio ai progetti salviniani. Un altro intralcio può venire da Berlusconi, il quale detesta i sovranisti e ostenta una politica filoeuropeista. Sullo sfondo resta l’inchiesta su Moscopoli. Inoltre c’è in campo la sinistra e non è più un avversario da poco.
Da parecchio tempo la sinistra si era addormentata. Sussisteva ancora in certi luoghi ed era stata ravvivata dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il quale di fronte all’ondata di crisi economicamente sconvolgente arrivata dall’America e simile in molti aspetti a quella che ci fu nel 1929, aveva incaricato di fronteggiare quella tempesta il grande esperto dell’economia Mario Monti e la ministra Fornero come sua principale collaboratrice. Dopo nemmeno due anni, per effetto del voto, Monti fu sostituito da Enrico Letta, il quale governò un anno e continuò a tenere sotto controllo la situazione economica. A quel punto sbucò fuori Matteo Renzi il quale, molto abile in queste scalate personali, conquistò il Partito democratico e fece fuori Letta andando lui al governo. La sinistra democratica non soffrì della conquista renziana, anzi arrivò fino al 40 per cento alle Europee. Poi Renzi, che assommava le cariche di segretario del partito e presidente del Consiglio, varò la sua riforma costituzionale con l’abolizione del Senato (adibito a compiti importanti ma locali). Propose per la Camera una legge elettorale con un meccanismo che avrebbe premiato il partito vincitore, dotandolo di grande potere. Contro la riforma costituzionale ci fu la richiesta di un referendum nel quale il voto negativo stravinse. Renzi perse le staffe. Il governo fu affidato a Gentiloni. Alle elezioni del 2018 il Pd crollò al 18 per cento. Questo è il passato recente. La sinistra democratica si è risvegliata con la discesa in campo del governatore del Lazio Nicola Zingaretti il quale la sta rilanciando, sia come partito con il suo stato maggiore di notevole efficienza e anche come movimento diffuso in tutta Italia. Il partito ha oggi una stima tra il 23 e il 25 per cento (notevole). Intorno, un’area di simpatizzanti e scontenti di sinistra valutato tra il 15 e il 20 per cento. Il totale della sinistra insomma viaggia verso il 40 per cento. Non è poco e potrebbe crescere ancora di più con alleanze piccole ma non da buttar via. E Renzi? Parla molto, Renzi. Ha rilanciato la sua collaborazione con Zingaretti, ma ha anche ripetuto più volte la sua primazia per la conduzione del partito. Non contro Zingaretti ma con lui. Si dovrebbero dividere il potere? Non è chiaro. Zingaretti è disponibile ad affidare a Renzi un compito importante, ma non a condividere il potere tanto più che Renzi non è un personaggio che condivide. La sinistra potrebbe anche contare su un disgregarsi di quanto resta dei Cinquestelle. Si vedrà. «Bisogna cambiare le cose, tutte le cose, con idee, programmi, comportamenti», Machiavelli insegna, ce l’ha ricordato Asor Rosa.
Una resa senza le dimissioni,
Stefano Folli su Repubblica in prima. Sentiremo Conte martedì in Parlamento, vedremo se farà un discorso di rottura con la Lega, come certi indizi farebbero pensare. E capiremo se l’arrocco di Salvini, che non parla più di elezioni anticipate e si tiene stretto il Viminale, è solo un estremo riflesso difensivo ovvero l’inizio di una diversa strategia. La situazione italiana ha evidenti risvolti internazionali. È un test sulla tenuta dei movimenti populisti.
More Era previsto e addirittura ovvio che il caso Open Arms avrebbe occupato il centro della scena nei pochi giorni che ci separano dal dibattito in Senato sulle comunicazioni del presidente del Consiglio. Le ragioni sono sia umanitarie sia politiche. Nulla infatti come la vicenda della nave spagnola ancorata a Lampedusa si presta a isolare il ministro dell’Interno e a mostrarne l’improvvisa impotenza politica nei palazzi romani. Lo sbarco dei minori è solo l’anticipo di una decisione analoga che non potrà non riguardare tutti i migranti a bordo. E non sarà un’eccezione, secondo la versione auto consolatoria che lo stesso Salvini accredita nella lettera al premier Conte.
Lettera che di fatto è già una resa da parte dell’intransigente teorico dei porti chiusi, ma senza le dimissioni che sarebbero logiche. Ora i porti si stanno aprendo per iniziativa di Conte, che sull’orlo delle dimissioni ha trovato il coraggio da tempo smarrito. Facile immaginare che dopo la Open Arms altre navi approfitteranno del mutato clima in Italia. E non si tratta solo di operazioni di soccorso. Il conflitto tra favorevoli e contrari all’immigrazione ha segnato l’ultimo anno: è stato il vero cavallo di battaglia del ministro dell’Interno, proiettandolo verso il 34 per cento delle Europee e il 37-38 dei sondaggi successivi (prima della crisi d’agosto). Peraltro l’intero dibattito pubblico ha ruotato intorno all’agenda imposta dal capo leghista, al punto che oggi la riapertura dei porti può diventare il discrimine tra due stagioni politiche. Dipende da come finirà la crisi che, bisogna rammentarlo, non è ancora conclamata. Sentiremo Conte martedì in Parlamento, vedremo se farà un discorso di rottura con la Lega, come certi indizi farebbero pensare. E capiremo se l’arrocco di Salvini, che non parla più di elezioni anticipate e si tiene stretto il Viminale, è solo un estremo riflesso difensivo ovvero l’inizio di una diversa strategia. Un analista di Bloomberg, l’agenzia finanziaria, ha scritto della complessità e dell’importanza di questo passaggio politico e ha colto un punto: “La crisi servirà a determinare se i movimenti populisti diffusi ovunque trarranno nuovo slancio oppure cominceranno a sgonfiarsi”. È un aspetto cruciale: quel che sta per accadere tra il Parlamento, il Quirinale e Palazzo Chigi non riguarda solo noi, ma presenta evidenti risvolti internazionali e coinvolge in un gioco di influenze ramificato l’America di Trump, l’Europa franco-tedesca, la Russia e in particolare la Cina. Ogni soggetto portatore di interessi, ciascuno con i suoi referenti. In questa attesa scandita più che altro dalle notizie da Lampedusa, le iniziative scarseggiano e i segnali vanno interpretati. Il segretario del Pd Zingaretti, uno dei protagonisti della partita, continua a chiedere ai suoi di tenersi pronti al voto anticipato. La sua freddezza verso l’ipotesi di una maggioranza con i 5S è trasparente; anzi, c’è la richiesta che un eventuale nuovo governo abbia “una larga base parlamentare”. Come dire che deve essere aperto anche a Forza Italia, scenario oggi del tutto improbabile. Come se Zingaretti non avesse alcun desiderio di consegnarsi ai Cinque Stelle, vedendo il rischio per il Pd. Nel suo tono privo di enfasi si avverte, nonostante tutto, l’eco delle frasi con cui il vecchio Emanuele Macaluso invita la sinistra a tenere la schiena dritta e a non avere paura delle elezioni.
C’è il Parlamento contro i pieni poteri,
Andrea Manzella su Repubblica a pagina 34. Fallito l’attacco all’Unione, basato su una immaginaria “solidarietà sovranista”, il ministro leghista ha pensato di utilizzare i “dividendi” della sconfitta inseguendo un altro suo sogno, questa volta a casa. Ha così confuso i sondaggi a lui favorevoli per futuribili elezioni come dati reali.
More La crisi italiana è cominciata a Strasburgo il 16 luglio. Quando al Parlamento europeo i deputati leghisti hanno tradito l’impegno ufficialmente assunto dal presidente del Consiglio italiano, di eleggere Ursula von der Leyen al “governo” dell’Ue. In quello stesso momento i deputati del M5S non solo rispettavano l’accordo preso dall’Italia con gli altri 26 Paesi, ma con i loro 14 voti diventavano determinanti nell’elezione della von der Leyen, avvenuta per nove voti. Quel flash di verità parlamentare rivelava però anche altro: i leghisti abbracciati agli anti-europeisti francesi della Le Pen; mentre i deputati del M5S entravano inopinatamente “nell’arco costituzionale” europeo. Svaniva pure, in quel preciso istante, la pretesa leghista di designare il membro italiano della Commissione comunitaria (come se in un qualsiasi regime parlamentare l’opposizione pretendesse di avere un proprio ministro nel governo). Era matematico che un tale sbrindellamento della maggioranza si riproducesse in casa nostra. Cioè in uno spazio “interno” strettamente connesso al sistema istituzionale europeo. Con ritardo di riflessi, il ministro Salvini si è così accorto di aver fatto votare non solo contro la von der Leyen (un’avversaria che già, da sola, lo sovrasta) ma anche contro il “proprio” presidente del Consiglio e contro il suo socio di maggioranza nel famoso “contratto di governo”. Fallito l’attacco all’Unione, basato su una immaginaria “solidarietà sovranista”, il ministro leghista ha allora pensato di utilizzare i “dividendi”della sconfitta inseguendo un altro suo sogno, questa volta a casa. Ha così confuso i sondaggi a lui favorevoli per futuribili elezioni come dati reali. Tali da rendere obsolete le attuali Camere, dopo neppure metà legislatura. “Per capitalizzare il consenso”, i suoi attuali modesti gruppi parlamentari, gonfiati dalle telefonate dei sondaggi e dalla moltiplicazione dei selfie balneari, avrebbero imposto lo “scioglimento” di quelli più numerosi. Un nuovo parlamento gli avrebbe dato infine quei, “pieni poteri” che non esistono in Costituzione: se non abolendo tutti gli altri. Il risveglio è stato brusco, come nella “fatal” Strasburgo. E, come allora, lo sgarbo istituzionale si è rivelato catastrofico. Aggravato poi da affannoso trasformismo: il potere solitario in cerca di coalizione; la offerta-truffa del taglio immediato dei parlamentari (per eleggerne subito dopo lo stesso numero). Oppure una indecorosa ritirata dopo il “colpaccio” abortito. La partita politica che si è aperta è assai complicata e sarebbe azzardato pronosticarne l’esito. Tuttavia, già vi pesano e turbano errori così grossolani commessi per ignoranza o disprezzo delle istituzioni. Inevitabile, quindi, la ribellione parlamentare: a dimostrazione che ripetute spallate contro le ragioni del parlamentarismo-contrapposte alle sirene di un decisionismo illiberale — non possono prevalere. Vige ancora, insomma, il Trattato europeo: “Il funzionamento dell’Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa”. Purché nessun dorma.
Andrea Manzella su Repubblica a pagina 34.
L’ultima follia,
Marco Travaglio sul Fatto in prima. Il governo giallo-verde, salvo sorprese, morirà il 20 agosto con il discorso del premier che dichiarerà conclusa l’esperienza del Salvimaio con un utile promemoria sulle responsabilità del Cazzaro Verde. Poi si voterà su eventuali risoluzioni dei partiti. Il M5S ne presenterà una così dura con Salvini da impedirgli qualunque convergenza pelosa.
More La crisi più pazza del mondo, aperta il 7 agosto da un Salvini ubriaco di sondaggi, piazze, spiagge e mojito che chiedeva elezioni subito e pieni poteri, si concluderà martedì al Senato in un modo ancor più folle. Sempre grazie a Salvini che, con niente elezioni e vuoti poteri, s’è prodotto in una tragicomica inversione a U, disposto a tutto, anche alla mendicità, pur di tenere in piedi il governo che voleva sfiduciare e le poltrone sue e della sua truppa. Di solito i premier in Parlamento chiedono la fiducia e temono la sfiducia. Invece Conte teme la fiducia e farà di tutto per non ottenerla. Il governo giallo-verde, salvo sorprese, morirà il 20 agosto con il discorso del premier che dichiarerà conclusa l’esperienza del Salvimaio con un utile promemoria sulle responsabilità del Cazzaro Verde. Poi si voterà su eventuali risoluzioni dei partiti. Il M5S ne presenterà una così dura con Salvini da impedirgli qualunque convergenza pelosa. Nessuna mozione di sfiducia: l’unica presentata, quella leghista, non è stata neppure calendarizzata. Il Pd, se davvero vuol tentare un dialogo col M5S anzichè regalare le elezioni a Salvini, dovrebbe astenersi o uscire. Poi Conte salirà da Mattarella con l’atto di decesso del governo. Partiranno le consultazioni su eventuali maggioranze alternative. E lì, se son rose, fioriranno nell’unica direzione numericamente possibile: M5S-Pd-LeU. Intanto si aprirà la resa dei conti nella Lega, sulle mosse di un presunto leader che dieci giorni fa aveva in pugno l’Italia e ora non controlla neppure il Papeete Beach. In compenso ha riaperto le porte del governo al Pd, che se n’era autoescluso un anno fa con la demenziale strategia dei popcorn. E ha resuscitato i 5Stelle che pensava di annientare: li ha ricompattati, ricongiunti a un galvanizzato Grillo, riportati al centro della scena e muniti di quei “due forni” che ieri hanno ingigantito il suo potere contrattuale e oggi rafforzano Conte e Di Maio, corteggiati sia dalla Lega sia dal centrosinistra (e persino da FI). L’eventuale governo M5S-centrosinistra è tutto da costruire e pieno di incognite, ma bene fanno Di Maio e Zingaretti a lasciar parlare le seconde file: Salvini sarebbe capace di usare un vagito di dialogo per passare da traditore a tradito, anche se tutti sanno che a tutto pensavano i 5Stelle, fuorchè a una così rapida resipiscenza del Pd (frutto più della mossa renziana che di un moto spontaneo zingarettiano). Da mercoledì però dovranno vedersi e valutare presto i margini di un contratto stringato, stringente e vincolante. Quanto al premier, chiedano in giro chi è il leader più apprezzato in Italia e a ll ’estero. Si chiama Giuseppe Conte.
L’incubo Di Maio premier il limite invalicabile dell’idiozia,
Alessandro Sallusti sul Giornale in prima. Come si fa a immaginare di dare in mano il Paese a uno che ha preso in mano un partito in grande spolvero, i Cinque Stelle, ne ha dimezzato i consensi in meno di un anno dimostrando plasticamente e matematicamente tutta la sua incapacità e inadeguatezza, ad essere leader?
More Distinguere in queste ore il vero dal falso, le provocazioni dalle intenzioni e dai depistaggi è un esercizio inutile. Ma se fosse vero, o anche solo verosimile, che Matteo Salvini – come è stato scritto e non smentito dal leader leghista – ha pensato di offrire a Luigi Di Maio la poltrona di presidente del Consiglio al posto di Giuseppe Conte pur di ricucire lo strappo con i Cinque Stelle, beh allora vuole dire che il caldo ha davvero giocato brutti scherzi. Parliamone di Luigi Di Maio premier, cioè di uno che pochi mesi fa si affacciò al balcone proprio di Palazzo Chigi per annunciare che aveva «sconfitto la povertà» e poco dopo fece la famosa previsione di un «boom economico in arrivo per il 2019». Già questo basterebbe per dire che se l’ipotesi si avverasse avremmo un premier idiota, non nel senso offensivo ma in quello letterale del termine, che significa «persona che rivela o denota una sconcertante stupidità». Ma andiamo oltre. Come si fa a immaginare di dare in mano il Paese a uno che ha preso in mano un partito in grande spolvero, i Cinque Stelle, ne ha dimezzato i consensi in meno di un anno dimostrando plasticamente e matematicamente tutta la sua incapacità e inadeguatezza, ad essere leader? Non ci sono precedenti di perdenti di tal fatta messi consapevolmente in posti strategici. Lo avevano capito già i latini, che a proposito dei mediocri di successo coniarono la famosa locuzione: promoveatur ut amoveatur, cioè promosso sì ma rimosso e assegnato a posizioni formalmente di prestigio ma in realtà assolutamente inutili dalle quali è impossibili fare danni. Luigi Di Maio, per venire alla nostra epoca, è anche la prova dell’esattezza del principio di Peter, lo psicologo canadese che negli anni Sessanta elaborò una formula sulle dinamiche e sul limite delle capacità umane: ogni persona – in sintesi – è utile a una organizzazione fino a che non raggiunge il proprio livello di incompetenza. Ecco, quel livello Di Maio lo ha già raggiunto e superato il giorno stesso che ha deciso di lasciare il lavoro di bibitaio dello stadio di Napoli e si è messo a fare politica. Ovviamente io non so come si risolverà questa crisi e siamo pronti a tutto. Ma quando dico «tutto» non intendo proprio «tutto». E sicuramente non Di Maio premier.
Alessandro Sallusti sul Giornale in prima.
Ora rischia di finire all’angolo,
Vittorio Feltri su Libero in prima. L’editoriale è la risposta a un lettore che sostiene come il vero traditore non sia Salvini ma Di Maio e i grillini. Feltri non è d’accordo.
More Caro lettore, comprendiamo il suo malumore, ma la preghiamo di non attribuirlo a noi che mai abbiamo incitato Salvini a romperel’alleanza coni 5 Stelle ben sapendo che in Parlamento Di Maio ha il 33 per cento dei senatori e dei deputati, mentre la Lega è ferma al 17, per adesso. Non siamo nati ieri: in politica comanda chi ha ottenuto più consensi e non chi primeggia nei sondaggi. Se il vicepremier avesse provocato la crisi due o tre mesi fa avrebbe commesso la stessa sciocchezza, dato chei numeri di allora non erano diversi rispetto a quelli attuali. Tra l’altro il Carroccio ha guadagnato parecchie preferenze grazie alla attività di Matteo in veste di ministro dell’Interno di questo esecutivo, quindi vuol dire che il famoso contratto lo ha favorito. Abbiamo scritto decine di articoli per avvertirlo: se lasci i grillini, occhio che questi fanno un accordo con i signorini del Pd e ti tagliano fuori da ogni gioco. Non conviene. Gli ex comunisti hanno sempre dichiarato di non avere intenzione di allearsi con i pentastellati, però le parole volano. Infatti, non appena hanno annusato nell’aria del palazzo (…) la possibilità di tornare al potere, si sono rimangiati gli impegni solennemente assunti e hanno cominciato a trattare con gli ex nemici. E ora sono pronti ad abbracciarli. Soltanto all’idea di cacciare in un angolo Alberto da Giussano tutti, e sottolineo tutti, vanno in brodo di giuggiole. E ciò provoca in noi un senso di nausea, alla quale però siamo avvezzi e non ci sorprende neppure che il Quirinale non sciolga le Camere. Si dà il caso che Mattarella sia tenuto, prima di mandare a casa i poltronisti, ad esperire una serie di tentativi per costituire una maggioranza alternativa a quella in uscita. A nostro avviso, Salvini ha commesso un peccato di leggerezza nello sganciarsi dai 5 Stelle. Non ha pensato che costoro quanto la opposizione non aspettavano altro che la opportunità per toglierselo dai piedi.
Vittorio Feltri su Libero in prima.
Prima volevano che rompesse, ora pontificano: «Ha sbagliato»,
Maurizio Belpietro sulla Verità in prima. Salvini, non aveva alternativa. Rimanere in silenzio di fronte al congelamento della Flat tax, dell’autonomia e delle grandi opere, significava essere cotto a fuoco lento. Finirà male? Non lo sappiamo. Comunque vada, Salvini ha fatto bene a uscire dal pantano. Meglio un’opposizione con dignità, che un governo senza vergogna.
More C’è da ridere. Quelli che prima spiegavano a Salvini che doveva fare la crisi di governo per mandare a casa i grillini, adesso spiegano a Salvini che ha sbagliato a fare la crisi di governo, perché così consegna il Paese a un esecutivo 5 stelle-Pd. Il che dimostra che la politica è come il calcio e tutti, in particolare i giornalisti, si sentono allenatori o, per lo meno, segretari di partito. Noi, che non abbiamo mai tifato per la crisi di governo, consapevoli che la rottura dell’alleanza gialloblù sarebbe stata sostituita da una ben peggiore intesa giallo-rossa, pensiamo al contrario che non sia stato sbagliato dichiarare la crisi perché la crisi, anche se non ufficializzata, era ormai nei tatti e rischiava di logorare i leghisti più che i grillini, i quali – come dimostra Toninelli – sanno logorarsi da soli. Chi ora si precipita a dare addosso a Salvini per sostenere che non ha azzeccato la mossa di aprire la crisi, dimentica di dire che da mesi il governo Conte è paralizzato. L’azione dell’esecutivo è limitata all’ordinaria amministrazione e, a essere onesti, anche quella appare circoscritta a poche misure. L’autonomia che tanto interessava ai leghisti è finita su un binario morto. E la stessa fine ha fatto la Flat tax. A esclusione della Tav, anche le grandi opere sono state messe nel congelatore. Del resto, basta sfogliare le pagine dei quotidiani degli ultimi mesi, ossia dall’inizio della campagna elettorale per le europee, per renderai conto che ogni decisione è stata rinviata a data da destinarsi. Le cronache, nelle passate settimane, hanno registrato puntualmente le critiche degli imprenditori, in particolare di quelli del Nord, che lamentavano la totale indecisione di Palazzo Chigi. E agli industriali, più volte si sono aggiunte altre categorie, da quelle del commercio a quelle dei lavoratori autonomi, Insomma, tutta l’Italia che produce e che lavora voleva una svolta. Anzi, si lamentava perché il leader leghista sembrava traccheggiare. E i giornali ovviamente soffiavano sul fuoco, alimentando un’attesa impaziente. Come dicevamo, gli stessi che sollecitavano la rottura, adesso sostengono che Salvini abbia sbagliato i tempi. Doveva farlo prima, magari subito dopo le europee, quando aveva il vento in poppa. Premesso che gli ultimi dati disponibili danno la Lega al suo massimo storico (prima della svolta i sondaggi le attribuivano il 38 per cento), dunque con un vento a favore come non si era mai registrato nel passato, ciò che non si capisce è che cosa sarebbe accaduto di diverso se la crisi fosse stata annunciata la prima settimana di giugno o in un’altra data a caso del mese di luglio. Pensano davvero, i commentatori da bar sport, che i grillini si sarebbero fatti macellare senza fiatare? Credono che Matteo Renzi fosse così fesso da non preparare da tempo il dietrofront sull’alleanza con i grillini? Che cosa sarebbe cambiato se la crisi fosse stata un mese prima o un mese dopo? Ve lo diciamo noi: niente, perché i pentaslellati e i renziani avrebbero reagito allo stesso modo. Gli esponenti di entrambi i partiti hanno una paura fottuta del voto e tutti sono animati dal medesimo disegno di prolungare la legislatura, consci che con nuove elezioni la maggioranza di loro non tornerà in Parlamento. Peraltro Renzi, che ha idee talmente forti da essere pronto a cambiarle a seconda delle convenienze, come ha più volte dimostralo, ha sempre fatto un’opposizione di convenienza ai 5 stelle. Lui non era e non è, come si è visto, contrario a un’intesa con i grillini. Semplicemente non vuole che la faccia qualcun altro al posto suo. Se l’accordo lo propone lui va bene, se lo tiene a battesimo Nicola Zingaretti no. E poi, a parte la sua storica predisposizione a dire una cosa e a farne un’altra, per immaginare che l’ex segretario del Pd potesse fare un patto con il diavolo non serviva il mago Otelma: bastava ricordarsi che cinque anni prima ne aveva siglato uno con Silvio Berlusconi, che per la sinistra era peggio del diavolo. Che volete che sia dunque un «contratto» con Di Maio? Gli fosse tornato utile, Renzi avrebbe stretto un’intesa pure con Salvini, ma il leader leghista in questo momento è per lui troppo forte e rischierebbe di essere stritolato. Meglio dunque uno debole come il vicepremier e ministro del Lavoro, uno che viene via a poco, per disperazione. Tornando a Salvini, non aveva alternativa. Rimanere in silenzio di fronte al congelamento della Flat tax, dell’autonomia e delle grandi opere, significava essere cotto a fuoco lento e il capo leghista, piuttosto che stare finire bollito, ha preferito rovesciare il pentolone. Finirà male, con la Lega all’opposizione e le Procure in azione per smontare il successo di Salvini come qualcuno immagina e forse si augura? Non lo sappiamo, perché a differenza di altri non solo non abbiamo la
palla di vetro e neppure godiamo di informazioni riservate dai tribunali. Comunque vada, cioè che si arrivi in fretta al voto o che la guida del Paese finisca con un’ammucchiata dalla quale la Lega sarà esclusa, Salvini ha fatto bene a uscire dal pantano. Meglio un’opposizione con dignità, che un governo senza vergogna. Ps. Ieri abbiamo titolato «Arriva il governo dell’invasione». Non ci sbagliavamo, come dimostrano le decisioni di Giuseppe Conte, senza Salvini in Italia «porti aperti per tutti». È questo il nuovo contratto di governo? E Berlusconi che fa, passa da meno tasse per tutti a più immigrati per tutti?
Maurizio Belpietro sulla Verità in prima.
Cosa hanno in comune Pd e Cinquestelle? Europa, Tav, reddito, tasse: divergenze e affinità tra M5S e Pd. I punti concreti del programma su cui dovrebbero discutere i due partiti. Su molti temi posizioni distanti, ma qualche mediazione è possibile. Nodi intricati: né grillini né dem hanno un piano per evitare l’aumento dell’Iva. Difficile un’intesa sulle autonomie Stefano Feltri sul Fatto. More
Per ora è un esperimento mentale, ma se il governo tra Cinque Stelle e Pd dovesse concretizzarsi, che programma avrebbe? Luigi Di Maio e soci hanno introdotto nella primavera 2018 il metodo del contratto, più leggero dei tradizionali accordi di coalizione. Non serve un’intesa generale, basta un accordo su alcune misure concrete. Come si è visto, questo non disinnesca le tensioni tra i contraenti. Ma è l’unico metodo che i Cinque Stelle hanno elaborato per superare la loro antica promessa di non allearsi mai con nessuno. È quindi ragionevole pensare che lo applicheranno anche nelle trattative con il Pd. L’esito non è scontato, perché dopo un anno di governo il M5S non ha più un programma (i punti salienti, bene o male, li ha realizzati) e il Pd non ce l’ha ancora, a sei mesi dalle primarie vinte da Nicola Zingaretti. Vediamo per punti dove ci sono affinità e problemi.
IVA E CONTI. È il grande problema d’autunno: servono coperture per 23,7 miliardi oppure l’Iva aumenta dal primo gennaio 2020. I Cinque Stelle non hanno una ricetta, hanno sempre promesso che il rincaro non sarebbe scattato ma non hanno alcuna idea di come farlo, se non in deficit (come hanno fatto gli ultimi governi), ma questo farebbe scattare la procedura d’infra – zione Ue. Nemmeno il Pd ha la bacchetta magica. Matteo Renzi ha proposto di fondare l’accordo di coalizione su un aumento del deficit vicino al 3% per tre anni, con il via libera preventivo di Quirinale e ministero dell’Economia , ma non basterebbe a risolvere neppure il solo problema dell’Iva. Pier Carlo Padoan, oggi deputato Pd, da ministro aveva valutato l’ipotesi di reperire almeno una parte delle risorse rivedendo il sistema delle tre aliquote (due agevolate). Si tratterebbe comunque di un aumento di tasse sui consumi che i Cinque Stelle potrebbero avallare soltanto nell’ipotesi che non ci siano poi elezioni a breve.
INFRASTRUTTURE . Il Pd, specie negli ultimi anni, si è schierato in modo compatto per il Tav come simbolo delle infrastrutture da sbloccare per far ripartire la crescita, nonostante l’ormai acclarata inutilità dell’opera. I Cinque Stelle hanno mal tollerato la decisione del premier Giuseppe Conte di dare il via libera all’opera e proprio la mozione sul tema ha innescato la crisi. Se rimanesse Conte premier anche con una maggioranza M5S-Pd, il dossier non verrebbe sicuraLa proposta Delrio mente riaperto. Con un nuovo presidente del Consiglio, la parte M5S più sensibile al tema potrebbe fare un tentativo. Con scarse probabilità di successo. In ogni caso, sul resto dei progetti non ci sono vere divergente tra M5S e Pd: come ha denunciato l’econo – mista Marco Ponti, consigliere (molto deluso) del ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, c’è una sostanziale continuità tra governi Renzi-Gentiloni e quello Conte. Tutte le opere ferroviarie, dal Terzo Valico alla Napoli-Bari a quelle in Sicilia, ottengono il via libera e i fondi del governo per ragioni di consenso, nessuno vuole preoccuparsi del fatto che i costi superino i benefici.
LAVORO. Zingaretti ha dalla sua di aver fatto nel Lazio uno dei primi tentativi di regolare il settore dei rider. Sulla lotta alla precarietà il suo Pd non è molto distante dal M5S, che invece si percepisce agli antipodi dei tentativi di liberalizzazione renziana. Sul salario minimo le posizioni sono diverse ma non inconciliabili: i Cinque Stelle vogliono una remunerazione oraria (9 euro) il più vincolante possibile, il Pd è contrario agli automatismi e difende il ruolo della contrattazione decentrata, oltre al primato dei contratti collettivi nazionali. Un compromesso è possibile, soprattutto se si allarga la discussione al tema della rappresentanza, cioè a come limitare i contratti pirata, quelli firmati da organizzazioni sindacali poco o per nulla rappresentative. Il Pd ha criticato molto anche il reddito di cittadinanza, per la dimensione assistenziale e perché sovrappone misure anti-povertà con le politiche attive per il lavoro. Le prime sono partite (l’erogazione del sussidio), le seconde arrancano (il sistema dei navigator). Ma nell’alleanza col Pd i fondi già stanziati non sarebbero a rischio, mentre la Lega ha già detto di voler limitare la misura e i suoi costi.
MIGRANTI. Il M5S ha sempre avuto posizioni più simili a quelle del Pd che a quelle della Lega. Ma dopo un anno di esecutivo gialloverde, le cose si sono complicate. Il Pd potrebbe chiedere ai Cinque Stelle di abolire subito i due decreti sicurezza salviniani? E i Cinque Stelle direbbero di sì? Difficile. L’unica strategia sull’immigrazione per un governo M5S-Pd sarebbe quella di depotenziare il tema, di farlo scivolare più in basso nella lista delle priorità. Sempre che la macchina della comunicazione salviniana, le Ong e i ricorsi alla Corte costituzionale sui decreti sicurezza lo consentano.
AUTONOMIE. È destinato a rimanere uno dei dossier più incandescenti. I dem non possono insabbiare la questione senza scatenare la furia di Lombardia e Veneto e senza rischiare seriamente di perdere l’Emilia Romagna alle Regionali quando Stefano Bonaccini sfiderà Lucia Borgonzoni della Lega. I Cinque Stelle hanno finora rallentato l’iter degli accordi governo-Regioni, ma non c’è una linea chiara sul punto.
EUROPA. Sia M5S che Pd hanno votato la fiducia alla Commissione di Ursula Vonder Leyen, i voti dei Cinque Stelle sono stati decisivi. Il Pd esprime il presidente d el l ’Europarlamento David Sassoli. Le condizioni per costruire un rapporto positivo con Bruxelles sono quindi migliori rispetto a quelle della fase M5S-Lega, visto che Matteo Salvini ha schierato il suo partito all’oppo sizione della nuova Commissione.
Stefano Feltri sul Fatto a pagina 5.
Conte. Il bacio della morte. Conte teme la fiducia (di Salvini). Il M5S ha deciso: martedì cade il governo in Senato. Intesa col Pd per evitare che il mendicante leghista dica sì all’esecutivo e alle sue poltrone. Sul Fatto a pagina 2. More
Il premier: voglio la conta in Senato. Con le urne c’è l’esecutivo di garanzia. Conte non lascerà prima del voto in aula: «il vicepremier metta la faccia sulla crisi». Il colle ribadisce: no a governi a tempo. Sul Messaggero a pagina 4. Il premier tenta di smarcarsi da Salvini e accreditarsi agli occhi dei dem sulla partita immigrazione e Ong. Martedì intende salire al Quirinale subito dopo le sue comunicazioni al Senato senza aspettare il voto sulle risoluzioni Conte non farà il commissario Ue Il piano per guidare il governo col Pd. Ora il presidente dovrà capire il perimetro di azione che gli lascerà il Colle. Sulla Stampa a pagina 4.
Pontieri. Avance, incontri e WhatsApp i giorni roventi dei pontieri. Nei 5S c’è Fico che parla col Pd e Paragone che ha i contatti con la Lega. I dem sondano i grillini con Orlando e Franceschini. Nel Carroccio si muove Rixi. More
Matteo Pucciarelli su Repubblica a pagina 11.
Lega. L’obiettivo della Lega: ora un nuovo governo insieme ai pentastellati. Per Salvini «questo esecutivo è finito», ma c’è spazio per un altro accordo. Nel partito però c’è sconcerto, il leader sotto accusa. Le critiche di Giorgetti. Sul Messaggero a pagina 6. More
Il vicepremier: ragionerò su tutto purché non tornino Renzi e i suoi. Sul Corriere a pagina 3.
Bis gialloverde Salvini insiste ma la Lega si divide. Il leader pronto a votare contro Conte in Senato, ma pensa a un altro governo con Di Maio, nonostante il no di Giorgetti. “Il segretario sono io”. Su Repubblica a pagina 6.
Salvini in stato confusionale non esclude la fiducia a Conte. Matteo «in ritiro» due giorni a casa del «suocero» Verdini. Il premier in privato: «È malato di delirio di onnipotenza». Sul Giornale a pagina 5.
Salvini non mollare, ora fai sbagliare gli altri. L’errore è stato aritmetico: con il 17% di deputati e senatori non si controlla il Parlamento neanche se mezza Italia ti acclama. Ma il leader leghista è l’unico ad avere un progetto politico: meno tasse, opere pubbliche e niente clandestini. Deve andare avanti.
Pietro Senaldi su Libero a pagina 3.
I sondaggisti. La crisi di mezza estate presenta il conto al leghista “La sua scalata rallenta”. Su Repubblica a pagina 7.
Denis sussurra a Salvini. In cucina c’è sempre lui. Nel suo ristorante, il babbo di lady Francesca spiega a Matteo e a i suoi, i rischi del patto Pd-5S. Il leghista da 48 ore è in Toscana nella villa di Verdini. In questa fase i consigli dell’ex forzista sono tra i pochi che ascolta. Sul Fatto a pagina 6.
Cinquestelle. I 5 Stelle hanno deciso: si va alla crisi in Senato. Niente appigli alla Lega: il M5S presenterà una risoluzione che sosterrà la posizione di Conte su Ong e migranti: piacerà a sinistra e sarà invotabile per Salvini. Al Colle si dà per scontato che il premier arriverà per dimettersi: a quel punto intese politiche. Sul Fatto a pagina 2.More
“C’è solo Zingaretti”. Il diktat di Grillo. Ma Di Maio tentenna. I timori sul ruolo di Renzi. L’ipotesi di voto su Rousseau. Rivolta dei parlamentari se il leader guarda alla Lega. 216 i deputati del M5S: il gruppo parlamentare più numeroso. La Lega ne ha 125, il Pd 111. Sono 107 i senatori grillini. Il Carroccio ne ha 58 e il Partito democratico si ferma a 51. Sulla Stampa a pagina 5.
La spinta di Grillo verso il Pd: attenti alla trappola della Lega. Le telefonate del garante con Di Maio ma il capo politico è combattuto. L’idea di un voto su Rousseau per il sì. Sul Corriere a pagina 5.
I parlamentari grillini in trincea. “Non possiamo tornare con quelli”. Di Maio non si sbilancia, il suo intento è massimizzare il momento difficile degli ex alleati. L’attacco sul Blog delle Stelle: “E anche oggi i ministri del Carroccio si dimettono domani”. Su Repubblica a pagina 7.
“Luigi pagherà tutte le sue incoerenze. Fanno bene i dem a ripartire dai sindaci” Parla Federico Pizzarotti. Il primo cittadino di Parma, scaricato dal Movimento due anni fa: “Dall’Ilva alla Tav, passando per Tap e i condoni edilizi: gli elettori dei 5S hanno digerito di tutto”. Con la nuova destra che avanza in Italia e in Europa servono posizioni ferme, “immoderate” ma responsabili. Sulla Stampa a pagina 5.
Pd 1. I ponti con Casaleggio e Conte. Nei dem un piano per il governo. I trattativisti vanno avanti per l’intesa. Prodi dà il suo via libera (condizionato). Ma Calenda: così faccio un altro partito. Tommaso Labate sul Corriere. More
«L’accordo è che martedì, in Senato, Conte fa le sue comunicazioni e poi si reca direttamente al Quirinale per presentare le dimissioni. Avete presente le riunioni tattiche pre-partita? Ecco, la palla non deve più passare dai piedi di Salvini, le sue mosse vanno neutralizzate. Compresi l’eventuale ritiro della mozione di sfiducia e anche il disco verde al voto sul taglio dei parlamentari alla Camera, che non ci sarebbe più. Poi inizierebbero le danze, e ovviamente si ripartirebbe dal tentativo di Di Maio e Salvini di provare a fare un nuovo governo. A quel punto, noi dovremmo soltanto aspettare…». A denti strettissimi, e senza che nessuno lasci impronte, tra coloro che gestiscono la trattativa inizia a venire fuori il percorso concordato che può avere come punto di caduta — e in tempi non brevissimi — l’arrivo della nuova maggioranza con Pd e M5S. La scelta dei big Il posizionamento sulla scacchiera dei pezzi da novanta di entrambi gli schieramenti sarà completo questa mattina, quando la benedizione di Romano Prodi alla nuova fase — seppur subordinata a una serie di condizioni politiche — sarà messa nero su bianco. In questa partita, ciascuno ha un ruolo da svolgere, un copione da recitare, dei tempi da rispettare. Molte cose dette non corrisponderanno a quelle pensate ma nulla è lasciato al caso. Sul fronte Pd, il segretario Nicola Zingaretti rimarrà fermo sulla posizione del «siamo pronti a votare subito», incasserà dalla Direzione di mercoledì un mandato pieno a «andareavedere quello che succede» e nel frattempo si godrà lo spettacolo inedito di un centrosinistra ricompattato, anche generazionalmente. Tolta la contrarietà di Carlo Calenda («Accordo con il M5S? Fondo un nuovo partito»), l’unico big prudente rispetto alla nuova fase e convinto che si debba votare subito è rimasto Paolo Gentiloni. Gli altri sono tutti dalla stessa parte, interni al Pd e fuoriusciti, veterani e giovani leve, dalemiani e renziani. I distinguo sono ridotti all’osso. La «cabina di regia» del centrosinistra che tesse la tela coniM5S ha due interlocuzioni avanzate. Una è con Davide Casaleggio, sempre più convinto dell’idea di portare fino alla scritta «the end» il matrimonio politico con Matteo Salvini. L’altra è con Giuseppe Conte, che dentro il Pd considerano «l’uomo decisivo» per portare a compimento «il piano». Già, «il piano». Dall’esterno qualcuno potrebbe pensare a improbabili summit sulla scelta del futuro premier, a interminabili telefonate riservate sull’individuazione dei ministri. Invece nulla di tutto ciò. «È tutto prematuro», ripetono le persone vicine al dossier. Perché l’operazione vada in porto, è necessario «bruciare» l’insistenza a cercare un nuovo governo con Salvini, che più d’uno attribuisce a Luigi di Maio, E anche le retromarce di Salvini stesso. E si torna al punto di partenza, alla sceneggiatura di martedì mattina. Il segnale concordato sono le dimissioni di Conte, l’ipotesi che faccia le comunicazioni in Senato e poi si presenti immediatamente al Quirinale per rimettere il mandato. Le cautele Se tutto va come da copione, per i giorni successivi, dentro il Pd hanno già messo in conto una fase in cui Di Maio e Salvini proveranno assieme a rimettere in piedi i cocci della maggioranza gialloverde. «Proveranno a far ingoiare a Salvini qualsiasi cosa, a dare il sangue per mettere la firma sulla manovra che eviterà l’aumento dell’Iva. Il tutto in cambio della speranza di un nuovo governo con lui ancora dentro. Sarà uno spettacolo da vedere», sussurrano gli uomini-trattativa. Ecco, se l’ultimo tentativo di ritorno della maggioranza gialloverde sarà lasciato alle spalle, scatterà l’ora X del Pd-M5S. Allora, solo allora. E non un minuto prima.
Tommaso Labate sul Corriere a pagina 6.
Pd 2. Renzi scopre le sue carte: «Ecco di chi mi fido davvero». L’ex premier: «Un governo istituzionale per rientrare nella Ue. Rimpiango il senso dello Stato di Berlusconi». Tra Berlusconi e Salvini c’è un abisso. E il Cav ha una casa politica centrale. Il rischio di un’alleanza con il M5s è che la sinistra si grillinizzi. Intervista a Matteo renzi di Laura Cesaretti sul Giornale. More
Matteo Renzi, non è che la sua proposta di governo istituzionale produrrà il paradosso di far tornare Salvini a Canossa? «Questa è la crisi più pazza del mondo. E come andrà a finire non lo sa nessuno. Certo è che Salvini fino a una settimana fa era l’uomo invincibile osannato da media e social: adesso rincorre Di Maio per elemosinare la pace. Deve scegliere se perdere la poltrona o la faccia, e la prima opzione potrebbe essere troppo dura per lui. Le ultime settimane certificano comunque il suo fallimento come leader: ha sbagliato tutto, e chi sbaglia si dimette, se è persona d’onore. Invece Salvini ha intimato a noi senatori di “alzare il culo” e andare in Senato a votare: noi lo abbiamo alzato e lo abbiamo sconfitto. Tutti si aspettavano che, dopo un’estate in spiaggia tra mojito e cubiste, fosse a quel punto lui ad alzare le terga dalla poltrona del Viminale: invece vi si è inchiodato. Per dimettersi ci vuole dignità. E lui, purtroppo, non ne ha». Come si spiega questa allergia salviniana a mollare il Viminale? «Da un lato Salvini ha paura: delle inchieste sui 49 milioni, sui rubli, di altre indagini. Dall’altro, Salvini è passato dal 17 al 34% grazie all’uso sapiente della macchina pubblica: le strutture ministeriali sono piene di giovani della Lega, a cominciare dal team della propaganda guidato da Morisi. Se Salvini si dimette, perdono all’istante il posto di lavoro. E la macchina della Lega ha finito i soldi per pagarli». Lei intanto continua a perorare la causa di un governo coi grillini? «No: la causa del rispetto delle istituzioni e del bene degli italiani, se mai: votare a ottobre fa aumentare l’Iva al 25% e innesca la recessione. È una follia far pagare agli artigiani del nord o alle famiglie italiane le ambizioni o le paure russe di Salvini. Serve un governo istituzionale, che metta in sicurezza l’Italia e con un ministro degli Interni degno di questo nome». Ripeto: con quegli stessi grillini che continuano a insultarla? «Non me ne parli, neppure Berlusconi ha subito dai Cinque Stelle il trattamento riservato a me, ma ci sono momenti in cui le questioni personali devono stare in secondo piano. Se vuoi essere un uomo delle Istituzioni prima viene la voglia di dare una mano al Paese, poi quella di reagire agli insulti. A livello personale, mi mordo la lingua. Ma serve un governo per evitare il voto a ottobre e l’Iva, poi sta ai segretari dei partiti definirne la formula politica. Una cosa è chiara: per la Ue sarebbe un sollievo poter tornare a dialogare con l’Italia, che ora si è tagliata fuori. E senza l’Italia, con l’imminente Brexit, l’Europa diventa pericolosamente una questione a due tra Francia e Germania». Un governo aperto anche a Forza Italia? «Se devo basarmi sulle pessime parole della capogruppo Bernini in aula, Forza Italia è vittima della sindrome di Stoccolma verso Salvini. E tuttavia, anche se Fi si è tirata fuori dal governo istituzionale, convinta di poter avere qualche poltrona da un Capitano che non può garantirle neanche ai suoi, devo riconoscere che in quanto a rispetto delle istituzioni tra Berlusconi e Salvini c’è un abisso. Abbiamo sempre criticato Berlusconi su questi temi. Ma non avevamo ancora visto un Salvini che chiede pieni poteri, pretende la convocazione del Parlamento, attacca Paesi alleati, sottrae competenze a ministri o addirittura al Colle. In Ue è un appestato come Le Pen, mentre Berlusconi ha una casa politica centrale. Di fronte alla sguaiata schizofrenia di Salvini, il Cavaliere è un rassicurante uomo delle istituzioni. Ora si capisce che il “Capitano” era solo una costruzione mediatica di chi (dalla Rai a Mediaset a La7) gli ha consentito per anni di fare comizi senza contraddittorio». Ha rivalutato anche lei Conte, che ora bacchetta Salvini sui migranti? «No. Troppo facile cambiare idea quando va di moda. Era Conte o esiste un suo sosia che prima firmava i decreti Salvini e adesso firma le letterine? Detto ciò, sulla Open Arms ha fatto bene: tardi ma bene. La questione migratoria si affronta lavorando in e con l’Africa, non certo facendo gli show con tre barconi di disperati». Mettiamo che il governo si faccia. Spera di tornare a Palazzo Chigi e dintorni? «Non esiste. Se mai girerò per l’Italia e per l’Europa, incontrerò aziende e famiglie per spiegare, da ex premier, che la priorità è salvare il paese dalla recessione e che se Salvini non tocca palla l’Italia può riuscire a tornare in campo a Bruxelles. E vorrei riallacciare con il volontariato, colpito da una campagna di diffamazione senza precedenti. Anche quello cattolico, scandalizzato dalla strumentalizzazione della fede, dei rosari, della Madonna». Non teme che, alleandosi, un Pd dall’identità così fragile subisca la nefasta egemonia culturale grillista? «È il grande rischio di questa operazione: sarà la sinistra a costituzionalizzare M5s o M5s a grillizzare la sinistra? Dal giorno dopo, la questione nel Pd sarà questa. Io resto fiducioso, ma molto dipenderà dall’accordo di governo». E i renziani che parte faranno? «Faremo ciò che serve al Paese. Voteremo la fiducia, non chiederemo neppure uno strapuntino per noi e faremo proposte concrete per mettere in sicurezza l’Italia. Poi faremo il punto alla Leopolda dal 18 ottobre».
Matteo Renzi intervistato da Laura Cesaretti sul Giornale a pagina 7.
Pd 3. Zingaretti frena per non consegnarsi a Renzi. Mentre il Bullo rilascia interviste all’estero per accreditarsi come padre della patria il segretario Pd nicchia sul governo giallorosso: «Non ho contatti con il M5s». Pesano la minaccia di scissione di Calenda e i voti del Giglio magico: «Ci stacca la spina quando vuole». Luca Telese sulla Verità p.7. More
Zingaretti ora teme le giravolte di Renzi. Il Pd: fai tu il premier. L’ex segretario continua a controllare i gruppi parlamentari. Terrebbe in ostaggio il futuro governo e potrebbe farlo cadere.
Resta lo scetticismo su un’operazione ancora considerata «complicatissima». Calenda: Se il Pd dovesse fare un governo con i grillini sarebbe finito. Io fonderei un nuovo partito. Delrio: Ciò che serve tra M5S e Pd è un accordo alla tedesca, come Cdu e Spd: una cosa scritta. Il deputato del Pd renziano Andrea Romano sul premier: “Ha fatto il minimo sindacale. Sarebbe bizzarro un Conte bis. Per un governo con noi il M5S deve cambiare persone e linea politica”. Sulla Stampa a pagina 6.
Il Pd va in ordine sparso: Di Maio e Conte dividono Zingaretti irritato per le fughe in avanti dei suoi. I segnali di Renzi al vicepremier: “Nessun veto”. Le chiacchiere coi grillini per corrente. Il segretario Grillo l’ha indicato come controparte unica: lui aspetta che la crisi arrivi al Colle, ma vuole ricambio totale. Sul Fatto a pagina 3.
Nel Pd è scontro tra Renzi e Calenda. I 5S: “Non andiamo alle feste dem”. Seppur invitati Fico e i ministri pentastellati non ci saranno. L’ex premier rilancia il governo istituzionale. Su Repubblica a pagina 8.
Il fuoriuscente Calenda ci riprova: “Se ci alleiamo con i 5S me ne vado”. Deja vu. Più volte l’eurodeputato si è già detto pronto a uscire: ci ripenserà anche stavolta? Minacce: Ilva, primarie, alleanze: tutto è buono per la scissione.Sul Fatto a pagina 2.
La Verità intervista il sociologo Luca Ricolfi. «La capriola di Renzi batte ogni record di spregiudieatezza. Lo scandalo in questa situazione non è Mattarella ma il trasformismo del Pd. E Salvini mi sembra confuso». Sulla Verità a pagina 11.
Il Lodo Bologna e l’appello del sindaco al segretario Merola. “Basta aspettare. Con il Movimento va fatto un patto di legislatura”. Va bene seguire Mattarella ma a Zingaretti dico che non può essere il Capo dello Stato a decidere cosa farà il Pd. Su Repubblica a pagina 8.
Pd 4. Intervista a Pierferdinando Casini. «Nuova maggioranza? Chi votò von der Leyen. Giusto Conte all’Ue. Italia isolata per colpa di Salvini. La crisi nasce proprio da diverse visioni sull’Europa. La presidente della Commissione è stata scelta da M5S, Pd e FI». Sul Corriere a pagina 6. More
A Il primo terreno di verifica di una possibile, nuova maggioranza «deve essere l’Europa». Per uscire dal «pericoloso isolamento» nel quale l’Italia è finita anche grazie ad un ministro dell’Interno «disattento a quello che accadeva sull’immigrazione perché impegnato a fare campagna elettorale su quei temi», incauto perché «non si possono dire cose gravissime come “mi trovo meglio a Mosca che in altre capitali europee”», dalla parte sbagliata quando si è trattato di votare per la presidente della Commissione europea von der Leyen, cercando «un fronte sovranista che l’ha tradito, visto che anche i polacchi eOrban si sono schierati con lei». Per questo secondo Pier Ferdinando Casini oggi una nuova maggioranza potrebbe nascere dalla convergenza tra le forze che hanno sostenuto la Von der Leyen: Pd, M5S e perfino Forza Italia. L’Europa è il faro? «È essenziale, sia per le politiche sull’immigrazione che per quelle economiche. Oggi siamo ininfluenti, la Spagna ci ha sostituito nel rapporto con Germania e Francia. E la crisi politica nasce proprio per diverse visioni sull’Europa, non certo sulla Tav». Molti temono un governo di corto respiro. «Certo, un governicchio di tre mesi aiuterebbe solo Salvini e non il Paese. L’orizzonte deve essere di lunga durata. Io che pure ho perplessità sulla linea di Zingaretti per una certa accondiscendenza alla deriva pro-voto di Salvini, gli do ragione quando dice “o un governo serio, o il voto”». FI sembra su ben altre posizioni. «Ed è inspiegabile come a livello europeo scelgono di essere punto di riferimento del Ppe e poi — a parte alcuni come Brunetta e Carfagna — fanno discorsi più populisti di quelli di Salvini. E invece avrebbero la possibilità di sedersi a un tavolo di convergenza nazionale ed europea». Chi però sembra avere la palla è il M5S. «Io tutte queste possibilità non le vedo. Tornare con la Lega sarebbe una catastrofe assoluta. Sono in una fase delicata, non c’è dubbio, ma la via del governo politico è sempre la più forte. Chiaro che è una operazione difficilissima quella di un governo col centrosinistra, e per percorrerla non sono accettabili veti. Anche io, che non sono un fan di Di Maio, non direi mai che deve restare fuori da un governo. Anzi, dentro ci vorrei pure Zingaretti». Possibile? «Ricordo che quando nel giorno del suo rapimento stava nascendo il governo di unità nazionale, il Pci non voleva ne facessero parte Donat Cattin e Bisaglia. Ma Moro disse: “i moderati devono stare dentro per evitare operazioni squilibrate”. Oggi è lo stesso». E il premier Conte? «Ha cercato di limitare i danni per mesi. Le scelte spettano al capo dello Stato, ma se andasse a fare il commissario europeo la troverei una cosa intelligente e giusta».
Pierferdinando Casini intervistato da Paola de Caro sul Corriere a pagina 6.
Leu. De Petris. “No ai giochi tattici L’orizzonte è la legislatura». Sulla Stampa a pagina 6.
Centrodestra. L’altolà degli azzurri a un bis Carroccio-M5s: «No a marce indietro». La capogruppo Gelmini invita Salvini alla coerenza: «Prima si torna al voto, meglio è». Sul Giornale a pagina 6. More
“Salvini desaparecido e inaffidabile” I sospetti degli alleati di centrodestra Telefonate dai berlusconiani a Giorgetti che ammette: non lo sento da giorni. Meloni delusa
Berlusconi era calato a Roma con un giorno di anticipo per il vertice, poi annullato
Stampa p.7
La crisi ha azzerato tutto. Al centro della politica non va il Papeete Beach, ma un Parlamento come il 4 marzo 2018
RENATO BRUNETTA L’ex ministro di Forza Italia attacca la Lega ed è per soluzioni parlamentari “Strategia da masochista irresponsabile Sì a un governo sostenuto da tutti i partiti”
Stampa p.7
Fango social. Matteo Salvini in Rete come Renzi. Premiata la metamorfosi di Conte. Il vicepremier sale, ma aumentano anche i detrattori. Il premier è “più gradito” se è da solo. Cresce l’opposizione al leghista, come accaduto anche all’ex segretario dem”. Tra gennaio e febbraio il presidente del Consiglio ha superato il ministro (Fatto p.4). More
Virginia della Sala sul Fatto a pagina 4
Il premier supera il milione di follower (Corriere p.5).
Il fango social contro le Ong. Tornata attiva da agosto una rete di account e influencer che rilancia l’accusa di accordi tra navi umanitarie e scafisti (Repubblica p.4).
Andrea Palladino su Repubblica a pagina 4
Onore alla Littizzetto che spaventa la Bestia. Salvini dà il via agli insulti (Repubblica p.4).
Michela Murgia su Repubblica a pagina 4
Scontro su twitter tra Salvini e Saviano «I 134 migranti a bordo della Open Arms, dopo essere stati ostaggio dei banditi libici, ora lo sono del bandito politico Matteo Salvini, il Ministro Della Mala Vita. Ma il destino di Salvini è il carcere, e questo lo sta capendo anche lui; basterà che si spengano le luci». Così lo scrittore Roberto Saviano su twitter. La replica del vicepremier: «Il signor Saviano mi vuole vedere in galera. Che faccio amici, gli do retta e mi dimetto o tengo duro?» (Repubbloca p.4).
Gli stranieri in fabbrica coperti d’insulti sui social.
San Miniato (Pisa) Soltanto migranti al corso per le concerie, a uno gli operai regalano anche una bici: l’odio dilaga sul web. “Assumono loro invece degli italiani”. Ma la formazione era per tutti e i locali non sono andati.
Giacomo Salvini sul Fatto a pagina 16
Bell’Italia. «Italia senza localizzazione delle chiamate d’emergenza». More
Sarebbe stato possibile localizzare con relativa facilità e precisione il telefonino e, quindi, il punto in cui è caduto Simon Gautier se in Italia funzionasse già, come in altri Paesi europei, il sistema tecnologico Advanced Mobile Location (AML) che invia automaticamente un sms al 112 con le coordinate Gps dello smartphone dal quale parte una richiesta d’aiuto. Creato in Gran Bretagna nel 2014, l’AML dovrebbe essere già attivo in Italia «che ha ricevuto denaro pubblico europeo per una prima fase di test nel 2016/2017» segnala Jérôme Pâris, direttore della ong European Emergency Number Association (EENA) al quotidiano La Croix. «Tutti i telefoni hanno di serie questa tecnologia, che funziona senza internet, ma occorre una piattaforma che riceva i dati Gps e li inoltri ai servizi di soccorso». Costa una decina di migliaia di euro. Senza è possibile individuare solo l’ultima cella, che però copre un’area troppo estesa. Corriere p.15.
Paga il pastore 1,8 euro l’ora Arrestato.
Corriere p.16. Sabbia, conchiglie e teschi di delfino L’assalto dei predoni delle spiagge Boom di sequestri negli aeroporti della Sardegna. E c’è chi si pente del furto dopo 40 anni. Due turisti sorpresi con 40 kg di sabbia. Stampa p.15. Pregiudicati tra i portatori Parroco annulla la processione. Stampa p.18.
Terremoto senza ricostruzione. Dopo 3 anni, 50 mila privi di case Scocca l’anniversario del sisma in Italia centrale: cantieri bloccati e crollo della popolazione In alloggi di emergenza gli sfollati costretti a vivere tra pavimenti ammuffiti e boiler rotti. Sulla Stampa.
Amatrice, tre anni dal sisma E la ricostruzione non arriva `Il 24 agosto 2016 la forte scossa che devastò la zona al confine tra Lazio, Abruzzo e Marche `In pochi hanno fatto domanda per i rifacimenti Veglia e fiaccolata in ricordo delle numerose vittime. Sul Messaggero a pagina 14.
Bibbiano, le due indagate ridevano del maresciallo «Anche lui ha dei figli…» `Le psicologhe intercettate ipotizzavano minacce a un carabiniere «Se vedono le rette pagate per gli affidi, poi si fanno due domande»
Messaggero p.12
La frase sul militare che indaga sugli affidi: «Anche lui ha figli…». Bibbiano, le terapeute intercettate.
Corriere p.17
Rimini diventa un test sui tormenti dei cattolici nell’era delsovranismo Ong e Terzo settore sotto attaccoma tanti votanoLega
Meeting
Rimini diventa un test sui tormenti dei cattolici nell’era del sovranismo Ong e Terzo settore sotto attacco ma tanti votano Lega
Dario di Vico sul Corriere a pagina 9.
1 editoriali
IL FUTURO VA COSTRUITO PUNTANDO SUI GIOVANI
Alessandro Rosina sul Sole in prima e a pagina 8
ECONOMIA
1 iva
Iva, la cambiale in scadenza
Dal 2011si discute delle clausole di salvaguardia, ma quest’anno gli aumenti possono scattare davvero
Corriere p.33
Alessandro Puato sul Corriere a pagina 33
L’aumento dell’Iva una minaccia ignorata da tutti
Ferruccio de Bortoli sul Corriere in prima
ALZARE L’IVA NON È IL MALE PEGGIORE STEFANO LEPRI
Stefano Lepri sulla Stampa a pagina 23
1 scenari
Scenari geopolitici. I focolai di crisi. La situazione più pericolosa, perché potenzialmente sistemica, è legata allo scontro commerciale Washington-Pechino e ha già avuto effetti pesanti su alcune economie europee, a partire dalla Germania.
Dazi, Brexit, Iran e Hong Kong I quattro rischi che minano la stabilità globale
Attilio Geroni sul Sole a pagina 6
La guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti che rischia di degenerare in guerra valutaria
Riccardo Sorrentino sul Sole a pagina 6
Con una hard Brexit 1,2 milioni di posti di lavoro in meno
Roberta Miraglia sul Sole a pagina 7
Cina e Russia, senza risposta le richieste di più democrazia
Ugo Tramballi sul Sole a pagina 7
Usa-Iran, dal cambio di regime al pericolo di conflitto regionale
Marco Valsania sul Sole a pagina 7
“La bolla delle azioni porterà presto a una nuova recessione”
Emiliano Brancaccio ”La politica monetaria ha esaurito il suo potenziale di espansione”, avverte il professore di Politica economica
Il mercato finanziario Usa è stato inondato di liquidità destinata al settore privato Meccanismo vecchio che è stato esasperato
Salvatore cannavò sul Fatto a pagina 15
2 mutui e tassi
Mutui, tassi ai minimi ma crollano le domande Trend negativo.Meno nuovi contratti nel 2019, calo record a giugno (11,9%) Pesa la prudenza delle famiglie
I micro-tassi non bastano più Per i mutui si aggrava la gelata Il paradosso. Aumenta il calo della domanda nonostante interessi a livelli mai così convenienti sia per il variabile sia per il fisso. Tre i fattori: meno surroghe, incertezza politica, salari più bassi
Sole p.3
Mercati, corsa a ridurre i tassi Il vertice dei banchieri centrali TrentaPaesihannogiàtagliato.Strategieanti-recessionealsummitdiJacksonHole
Corriere p.30
Decreti attuativi
Riforme, da Letta a Conte 349 decreti attuativi in attesa Rating 24. Gli 11 provvedimenti varati dall’attuale esecutivo richiedono 290 norme applicative Di queste, solo 70 (pari al 24,1%) sono arrivate al traguardo. Ne mancano 220 e 81 sono già scadute
Sole p.4
3 Parmalat del mare
La Parmalat del mare a 7 anni dal crac In tredicimila a caccia dei risarcimenti L’ira dei risparmiatori dopo la condanna in Cassazione degli armatori Deiulemar: ridateci i soldi
800 I milioni spariti È l’investimento totale dei 13mila obbligazionisti
3,5% La quota di risarcimenti ricevuti dai truffati
A inizio luglio, dopo 7 anni di una vicenda giudiziaria intricata, la Cassazione ha confermato le condanne ai cinque armatori – ribattezzati «Deiulemariuoli» dalle persone truffate – ma ha chiesto la rimodulazione delle pene alla corte d’Appello di Roma. I risparmiatori, però, stanno ancora aspettando i risarcimenti. Finora hanno recuperato una cifra irrisoria, equivalente al 3,5%, in attesa che i beni sequestrati della Deiulemar vengano messi all’asta dai curatori fallimentari. La speranza è quella di ritrovare all’estero il «tesoro» della Deiulemar. Entro fine luglio dovrebbero arrivare altri 12 milioni da dividere tra oltre 13 mila persone. All’appello mancano ancora 770 milioni di euro. —
Stampa p.13
4 quota 100
Quota 100 non crea lavoro rimpiazzati solo tre su dieci
POCHE AZIENDE PRONTE AD ALLARGARE GLI ORGANICI CRESCE IL TIMORE DI PERDERE COMPETENZE IMPORTANTI
SPESI FINO AD ORA CIRCA 4 MILIARDI I CONCORSI FERMI NELLA PA NON AGEVOLANO IL TURN OVER
Mesasggero p.9
Pa,aumentano iprecari Viaiprimi11mila conQuota100 T re milioni e trecentomila. Di cui 340 mila (l’11,2%) precari, soprattutto nella sanità e nella scuola, un aumento dell’8,8% sul 2016. Sono i lavoratori della Pubblica amministrazione secondo i calcoli della Ragioneria dello Stato aggiornati al 2017. La spesa annua sostenuta per loro è pari a 160 miliardi, ma è scesa di 12 miliardi rispetto al picco del 2009. Nella scuola e negli enti locali le retribuzioni più basse, tra i 28 mila ei 30 mila euro, quando la media pro capite è pari a 34.491 euro. Sale a oltre 91 mila per le autorità indipendenti, a 137.294 per il personale non contrattualizzato, come i magistrati. Intanto, sono 11 mila i primi lavoratori della Pa andati in pensione in agosto con Quota 100, ma il grande «esodo» è previsto in settembre soprattutto con l’uscita di migliaia di insegnanti.
Corriere p.30
Fuga dal pubblico impiego già 11 mila via con Quota 100 Sindacati: rischio paralisi
Ad agosto si è aperta la prima finestra per i prepensionamenti Assunzioni bloccate Ed è precario un lavoratore su dieci
Repubblica p.31
5 Open for business
Acciaierie ai turchi, la Gran Bretagna è «open for business». La seconda acciaieria del Regno Unito, la British Steel, in forte crisi e attualmente in amministrazione controllata (Brexit il colpo di grazia), verrà salvata dal fallimento dal fondo pensione delle forze armate. Quelle turche, però.
Corriere p.28
Il motto, ammirevole nel suo pragmatismo, è «open for business»: l’essere disposti a fare affari senza particolari tabù è una caratteristica storica degli inglesi, dalle guerre dell’oppio ottocentesche contro la Cina allo smantellamento dello Stato industriale ai tempi di Lady Thatcher. Succede a tutti i livelli — le ville nobiliari di campagna, spesso in stato di conservazione non brillantissimo, vengono regolarmente affittate per eventi aziendali e matrimoni, tendenza che coinvolge serenamente anche la famiglia reale. Ma certo può fare impressione la notizia di ieri: la seconda acciaieria del Regno Unito, la British Steel, in forte crisi (Brexit il colpo di grazia) e attualmente in amministrazione controllata, verrà salvata dal fallimento dal fondo pensione delle forze armate. Quelle turche, però. Dopo che il governo Tory ha rifiutato il coinvolgimento nel salvataggio dell’azienda che dà lavoro a 5.000 persone, come potenziale acquirente più credibile è emerso il nome di Ataer, braccio finanziario del fondo pensione militare turco Oyak. I turchi sono ora «preferred bidder», acquirente preferito, e l’acquisizione verrà finalizzata entro l’anno. Alle acciaierie di Scunthorpe e Teesside (dove lavorano 3.000 e 800 operai, rispettivamente) i sindacati paiono meno angosciati dopo tre mesi di limbo, anche se non ci sono garanzie sul futuro assetto operativo dell’azienda una volta che subentrerà il nuovo management. E il governo conservatore, generalmente attentissimo a criticare l’influenza straniera quando si tratta dei partner Ue? Dopo aver rifiutato il bailout, ora gioisce attraverso Andrea Leadsom, sottosegretaria per l’Energia: «Un passo importante verso un futuro moderno e sostenibile». Nessun commento sulla nazionalità dell’acquirente. Ataer controlla una quota vicina al 50% di Erdemir, azienda leader della siderurgia turca (11.530 dipendenti), e già adesso Ataer è al terzo posto tra i più grandi produttori d’acciaio d’Europa.
Matteo Persivale sul Corriere a pagina 28.
6 sogin
Scorienucleari,lapartitaSogin Finoraècostataquattromiliardi Perilrinnovo dei verticisei tentativi a vuoto, appuntamento all’assemblea del 4 settembre
Corriere p.31
7 deliveroo germania
ma il gigante delle consegne a domicilio si espande in italia Choc in Germania, Deliveroo se ne va E più di mille rider restano senza lavoro
Stmap p.21
8 artigiani
«In 6 mesi perse 6.500 aziende artigiane»
Il rallentamento economico colpisce duramente anche le imprese artigiane. Secondo la Cgia di Mestre sono 6.500 le aziende che nel primo semestre hanno chiuso i battenti. Tra i fattori alla base di questa contrazione ci sono lo spettro dell’aumento dell’Iva, il calo dei consumi, il carico fiscale, le difficoltà di accesso al credito. Il saldo tra nuove aperture e chiusureèstato negativo in tutte le regioni italiane salvo che nel Trentino-Alto Adige. I risultati più negativi si sono registrati in Emilia-Romagna (-761), in Sicilia (-700) e in Veneto (-629). Secondo la Cgia la moria delle aziende artigiane si protrae ormai da 10 anni. Tra il 2009 e il 2018, infatti, il numero complessivo delle imprese costrette a chiudere è stato di quasi 165.600 unità. È il Mezzogiorno la macro area in cui la contrazione del numero delle imprese è stata maggiore. «Oltre agli effetti economici e occupazionali, la riduzione del numero delle attività artigiane e in generale dei negozi di vicinato ha provocato ricadute sociali altrettanto significative», sottolinea il coordinatore della Cgia Paolo Zabeo. «Con meno botteghe, si assiste a una desertificazione dei centri storici e delle periferie urbane delle città e dei piccoli paesi»
Corriere p.33
La strage delle imprese In 6 mesi addio a 6.500 La Cgia: «In 10 anni perse 165mila attività Più colpite l’Emilia, la Sicilia e il Veneto»
Giornale p.8
9 boletta a 28 giorni
Bolletta a 28 giorni “Rimborso automatico o subito nuove multe” L’Autorità Tlc minaccia sanzioni fino a 5 milioni per Fastweb, Tim, Vodafone e WindTre. “Ridate i soldi anche al cliente che non li chiede”
Aldo Fiontanarosa su Repubblica a pagina 30
10 agcom
Contestazione dell’Agcom E sugli aiuti ai produttori tv il governo è “sovranista”
Richiamo formale per il decreto su cinema e settore audiovisivo: “Sostiene l’Italia, penalizza l’Ue”
Repubblica p.30
10 affitti
LA RICERCA BANKITALIA Abitazioni, i prezzi degli affitti crescono più degli acquisti
A SORPRESA uno studio della Banca d’Italia rileva come il mercato delle locazioni sia più vivace di quello delle compravendite. È così che i prezzi sono aumentati nel 2018 del 3,3% e del 2,2% a parità di caratteristiche dell’immobile. Posto che l’abitazione tipo è un appartamento di 80 metri quadrati, nelle vicinanze del centro e già arredato, con un solo bagno, niente giardino e garage, riscaldamento automatico, per lo più situato a un piano basso. Fin qui la media nazionale, diverso il discorso se si guarda ai singoli capoluoghi. Di forte rialzo si parla per Bologna, Firenze e Milano, mentre negli ultimi tre anni a Roma e Genova si registrano addirittura dei ribassi. Almeno questo è quello che viene offerto online, stando alle inserzioni che compaiono sulla banca dati del portale web i m m o b i l i a re . i t . . Un mercato che “ha una dimensione rilevante”, sottolinea la ricerca condotta dall’economista Michele Loberto, del dipartimento dipartimento economia e statistica di Palazzo Koch. Infatti, il 20% opta per la pigione, quota che sale al 38% per le famiglie giovani e al 46% per i meno abbienti, ricorda la Banca d’Italia.
Fatto p.11
ESTERI
1 Regeni
Silenzi e omissioni così il caso Regeni è stato dimenticato La lettera al premier Conte e gli appelli dei genitori non sono serviti Il governo italiano tace: e gli scambi commerciali con l’Egitto aumentano
Giuliano Foschini su Repubblica a pagina 17
La beffa dell’Onu: “Conferenza contro la tortura al Cairo”
Rabbia delle Ong per la scelta di un Paese nel mirino per l’uso di violenza e omicidi mirati
Repubblica p.17
1 Hong Kong
La battaglia dei cortei a Hong Kong I professori sfidano gli attivisti filo cinesi Parate senza lacrimogeni e scontri per la prima volta dal 9 giugno. Oggi nuova manifestazione
Decine di migliaia hanno giurato fedeltà alla Cina sventolando bandiere rosse
Una famiglia si riunisce a tavola di ritorno dai cortei in centro Il nonno è scappato dagli orrori di Mao, la nipote è in prima linea Le tre generazioni al sit-in “Conosciamo il comunismo”
Stampa p.8
SE HONG KONG GUARDA A OCCIDENTE
Maurizio Molinari sulla Stampa in prima
“Io sto con la polizia di Hong Kong” La star Disney delude la protesta Liu Yifei, americana di origini cinesi, interpreta l’eroina della libertà Mulan nel kolossal in uscita Si è schierata con le forze dell’ordine e sfida i fan: “Ora colpitemi pure”. Già partito il boicottaggio
Il remake del cartone animato, in uscita a marzo, è costato 350 milioni di dollari. Il mercato cinese è ormai il secondo al mondo
Repubblica p.14
2 petroliera
Sequestro Usa per la petroliera ferma a Gibilterra
L’accusa: violate norme su riciclaggio e terrorismo Colpo a Teheran
Stampa p.11
Gibilterra «rilascia» la petroliera iraniana. Ma gli Usa chiedono un nuovo sequestro.
Corriere a pagina 10
Un contrasto che lega due «porte» strategiche. Gibilterra e Hormuz. Il Dipartimento della Giustizia Usa ha emesso una richiesta di blocco per la Grace 1, petroliera con un carico di greggio iraniano destinato alla Siria. La nave, fermata il 4 luglio dai marines britannici a Gibilterra per la violazione dell’embargo contro il regime di Assad, ha ottenuto il via libera dalle autorità locali. Decisione che potrebbe portare al rilascio di un’unità inglese sequestrata per rappresaglia da Teheran. Una soluzione raggiunta grazie a un impegno: il greggio non sarà consegnato ai clienti siriani. Ma Washington non ha gradito. Non vuole allentare la pressione sull’avversario e ha ribadito le accuse di contrabbando. Si vedrà. Ufficialmente la petroliera può riprendere il viaggio, ma deve aspettare un nuovo equipaggio. Uno o due giorni: tempi tecnici che permetteranno di manovrare. Guido Olimpio
3 afganistam
Il figlio del «Leone» torna a casa E cerca alleati contro i talebani «Èilpredestinato»aguidaregli afghani, come ilpadreMassud.Studi all’estero,ora è pronto
Andrea Nicastro sul Corriere a pagina 10
4 Epstein
Nude nelle vasche nei sotterranei Ecco le ragazzine vittime di Epstein Sul web le foto delle stanze della villa del milionario Il giallo dell’incontro con Fidel Castro a Cuba nel 2003
In carcere il finanziere pagava i detenuti per ingraziarseli ed evitare vessazioni
Stampa p.11
Legali e soldi, cosìEpstein provò a lasciare la sua cella
Corriere p.16
5 Kashmir
Mossa sovranista sul Kashmir. Il mondo soffre della stessa malattia. Il premier Modi si batte da tempo perché il Subcontinente appartenga solo agli induisti.
Sergio Romano sul Corriere a pagina 11.
6 Somalia
La Somalia in mano agli shabaab i terroristi che diventano mafiosi. Gli alleati di al Qaeda che sognano di instaurare la Sharia. Emersi nel 2006 dopo la sconfitta dell’Unione delle Corti Islamiche da parte del Governo Federale di Transizione, gli al-Shabaab, «i Giovani», sono il gruppo islamista più potente e attivo in Somalia. Dal 2012 sono formalmente riconosciuti come cellula locale di al-Qaeda.
I guerriglieri sono cambiati: controllano il territorio, sperando in un’intesa con l’Occidente. Nonostante bombe e racket Mogadiscio vuole rinascere: “Serve qualcuno che creda in noi”. 1.392 Sono le vittime totali degli attentati di al-Shabaab dal 2015 in Somalia e Kenya. Nella capitale torna la vita: davanti al mare i giovani riempono i bar e i bimbi giocano. “Qui ha investito solo la Turchia, ma per sconfiggere il terrore serve sviluppo”. 9000 Sono i membri di al-Shabaab secondo una stima fatta dalla Bbc
Domenico Quirico sulla Stampa p.9
7 Trump
La svolta di Trump: sì ai licenziamenti dei dipendenti che cambiano sesso
Messaggero p.11
Trump: i giudici legalizzino il licenziamento dei transgender
Stampa p.18
8 russia
Incidente nucleare I medici: i feriti erano radioattivi
Stampa p.19
9 Indonesia
Ilmuronell’Oceano nonsalvaGiacarta: lacapitalesprofonderà Sovraffollata, è già in parte sotto il livello del mare Il presidente propone di «spostarla» nel Borneo
Paolo Salom sul Corriere a pagina 11
Giacarta affonda e il presidente sposta la capitale
Raimondo Bultrini su Repubblica a pagina 14
10 Sudan
Intesa storica tra militari e opposizione
Corriere p.11
La scommessa del nuovo Sudan
L’accordo fra civili e militari siglato ieri a Khartoum segna la fine della rivoluzione e l’avvio di una nuova fase di governo comune Un fatto senza precedenti in tutta la regione
La voglia di vendetta per le vittime della rivolta non è spenta: ma vince la speranza
Un economista ex Fmi per far ripartire il Paese.
Abdalla Hamdok è il premier designato: a lui la sfida delle riforme economiche e sociali
Hamdok è stato nominato dalle Forze del cambiamento e della libertà: la nomina è al vaglio del Consiglio sovrano che gestisce la transizione: subito dopo entrerà in carica
Antionelal Napoli su Repubblica a pagina 12
Repubblica p.12
Groelandia
Intervista a Robert Peroni, l’esploratore che vive tra gli inuit: “Giù le mani dalla Groenlandia”
Trump vuole comprarla dalla Danimarca? Sarebbe un disastro. Qui nessuno lo prende sul serio, ma una minaccia c’è e riguarda il Pianeta
Questi ghiacciai sono fondamentali Con nuovi scavi e sfruttamento del mare la catastrofe è dietro l’angolo I primi a pagare sono quelli che vivono qui
Cristina Nadotti su Repubblica a pagina 15
10 Sudan
10 Argentina
Argentina, spettro default con il doppio «downgrade» A ncora giorni bui per l’Argentina. Dopo la crisi del mercato azionario, crollato del 30% in meno di due settimane e una svalutazione del peso di circa un terzo da inizio anno, arrivano a rendere più fosche le prospettive del Paese i «downgrade» di due delle principali agenzie di rating Fitch e Standard&Poor’s. Fitch ha declassato il rischio sovrano di Buenos Aires da B a tripla C, un gradino prima del «default» (D). S&P ha invece ridotto il suo rating da B a B-. «La forte turbolenza del mercato finanziario, con un netto deprezzamento del peso e un aumento dei tassi di interesse ha notevolmente indebolito il profilo finanziario già vulnerabile del Paese », ha sottolineato S&P. L’Argentina è in recessione e nei primi sei mesi del 2019 l’inflazione ha raggiungo il 22%.
Corriere p.30
Caparrós“Gli argentini non hanno più paura di tornare al peronismo”
L’analisi spietata dello scrittore e giornalista, autore di “Fame”, sul totale fallimento del presidente Macri e sullo scenario pieno di incognite che si apre per il Paese sudamericano
Il presidente ha sbagliato sui temi economici: inflazione record, perdita di posti di lavoro, povertà al livello più alto
Non condivido le idee di Fernández perché fa discorsi di sinistra ma politiche diverse. Ma non credo ci sia il rischio di un governo autoritario
Gabriella Colarusso su Repubblica a pagina 16.
C
10 Artexit
Opere in fuga dal Regno Unito: le gallerie pronte all’«Artexit». Il divorzio dall’Ue alzerà i dazi: collezionisti espatriano, musei anticipano mostre.
Matteo Persivale sul Corriere a pagina 13
GIUSTIZIA
1
2
3
4 genio cancro
Parla Marco Ruella, l’unico medico italiano tra gli oltre 200 ricercatori sulla più innovativa terapia dei tumori del sangue “Per lavorare con il genio anti-cancro ho lasciato Torino destinazione Usa”
Stampa p.14
5 vulcani
«Io, signora dei vulcani Da sei anni in Islanda su un’isola che ne ha 500» Sara Barsotti guida il team che studia i rischi delle eruzioni
Corriere p.19
6 editoria
«L’editoria eramachista Mondadorimidiceva: tidiverti a fare libretti?»
Corriere p.23
E nel 1992 Milano voleva farla sindaca
Corriere p.23
Gimondi
Papà, ti scrivo come facevo quando partivi per il Giro.
Corriere p.41
Vivere alla Gimondi
È stato il simbolo di quelli che non si arrendono mai Anche quando il “nemico” si dimostra più forte
Maurizio Crosetti su Repubblica a pagina 34
Mario Salvarani “A colazione Felice mi disse: il Tour lo vinco”
Cosimo Cito su Repubblica a pagina 45
7 big data
L’algoritmo in cattedra Exploit delle lauree per capire i big data In campo umanistico va forte la linguistica. Bene l’enogastronomia e i corsi di riabilitazione, sempre più utili in un Paese che invecchia
Repubblica pagina 19
8 Germania ezio mauro
L’ultima grande fuga dalla Ddr Fin dal 1961 centinaia di berlinesi tentavano di saltare il Muro a costo della vita. Ma nel 1989 iniziano a consegnarsi all’ambasciata della Germania Ovest. Per Honecker e la Cortina è l’inizio della fine
Ezio Mauro su Repubblica a pagina 36
La parola magica è plusvalenza
Campioni a rate e scambi Il calciomercato è truccato
Lorenzo Vendemmiati sul Fatto a pagina 17
Natalia Aspesi archibugi
Archibugi e le sue famiglie “Bugie e segreti” La regista fuori concorso alla Mostra di Venezia “È il nucleo da cui si fugge e a cui si torna”
Natalia Aspesi su Repubblica a pagina 40
9 guardalinenen
Nicolosi “Ho messo all’angolo anche il capitano dei Reds”
Matteo Pinci su Repubblica a pagona 43
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