Martedì sei agosto

Buongiorno a tutti. Due le notizie principali e aperture pressochè identiche di tutti i quotidiani.

La guerra della Cina agli Usa e il rischio recessione. More

Il decreto sicurezza che è legge mentre si avvicina lo scontro sulla Tav. More Ma non c’è aria di vacanza più che di elezioni. More Intanto Salvini si mangia i Cinquestelle. More E iniziano le grandi manovre per la manovra, fra cuneo fiscale e flat tax. Landini non va al Viminale perché la manovra si fa a Palazzo Chigi. Conflitti d’Oriente: Kashmir e Hong Kong scuotono l’Asia e il mondo. More

Pechino alla guerra con Trump

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3 Quota 100

Il presidente dell’Anci Antonio Decaro sulla polemica per Quota 100: “Non bastano i concorsi riapriamo le graduatorie”. Nelle città più piccole i sindaci fanno anche i dipendenti e i volontari

(Stampa p.9).

4 Fca

Fca, il rilancio di Manley mentre proseguono i colloqui fra i francesi e Nissan per riequilibrare l’aalleanza: “Possibile riparlarsi con Renault. Se cambiano le circostanze, anche i sogni a volte si avverano. Ma Fiat Chrysler ha un futuro anche come azienda indipendente” (Stampa p.19).

5 Inps

Inps, le nomine a rischio. Duello sui poteri di Tridico. Gli organi di controllo a Tesoro e Lavoro: possibili ricorsi sugli atti. «Il presidente non può firmare delibere di competenza del cda». Che è vacante. L’esecutivo prova a correre ai ripari. Già oggi in cdm la possibile designazione dei membri del board (Messaggero p.7).

6 Miur

Meno bocciati alle superiori ma uno su 5 ha un debito. Il Miur diffonde i dati sull’anno scolastico appena finito: i promossi crescono dell’1,1%. La selezione più dura in prima: il 10,3% non è ammesso alla classe successiva (Messaggero p.14).

7 Rider

Consegne a domicilio, il decreto non soddisfa i rider (Repubblica p.8). Di Maio dà il pacco ai fattorini. Se i rider hanno più diritti non dipende dallo scarso impegno grillino

Con un anno di ritardo Luigi Di Maio potrebbe mantenere la promessa di licenziare una norma che stabilisce le regole per i contratti dei rider, i fattorini che consegnano cibo a domicilio. I compromessi che il ministro ha dovuto accettare, tuttavia, sono così tanti che delle promesse iniziali rimane poco (Foglio pagina 3). Rider e tutele, c’è la polizza ma resta il nodo del cottimo (Corriere p.28). Just Eat e TakeAway vanno a nozze: nasce il big mondiale del cibo a casa. Via libera al numero uno del settore nel mondo, con 355 milioni di consegne. Dopo l’euforia da start up, ora nel settore c’è bisogno di fare massa con le fusioni (Sole p.15).

8 istat

Istat, economia italiana in lieve ripresa. Segnali di stabilizzazione per l’occupazione, pesa l’effetto dazi. Per la prima volta dalla fine del 2018 si intravede uno spiraglio. Entro dicembre va raggiunto lo 0,2% (Fatto p.8). Certo, la crescita non si fa con le previsioni. Perché torni il segno più davanti ai dati del Pil è necessario che questi indicatori si traducano in ordini e fatturato (Corriere p.8).

9 bio on

Bio-On, la start-up delle bioplastiche fondata a Bologna nel 2007 ed arrivata a capitalizzare un miliardo di euro sul mercato Aim di Borsa Italiana, respinge le accuse del fondo americano Quintessential e reagisce con durezza. Ieri la società guidata da Marco Astorri ha depositato un esposto alla Procura della Repubblica di Bologna in relazione al video e al report pubblicati il 24 luglio scorso dal fondo Qcm, specializzato nell’identificare società con conti giudicati irregolari su cui il fondo stesso lucra vendendo il titolo allo scoperto e lanciando al contempo denunce sullo stato della società che determinano un drastico calo delle quotazioni.

La vicenda aveva avuto inizio il 24 luglio scorso quando il fondo aveva diffuso un report e un video in cui si sosteneva che la società presenta bilanci in attivo grazie a un sistema di scatole cinesi. In seguito a questo Bio-On ha lasciato sul terreno circa il 75 della sua capitalizzazione passando da una quotazione di 55 euro a15, salvo risalire ai circa 20 di ieri (Corriere p.29).

10 Gdermania

Brexit senza rete, dazi e il rischio delle elezioni. Perché frena la Germania. In giugno solo mille occupati in più, rispetto agli usuali 44 mila. In autunno tre voti regionali ad Est potrebbero far traballare Merkel. Il presidente degli industriali chiede al governo di varare una riduzione dell’orario di lavoro. In “caduta libera” le aspettative aziendali. Scholz, ministro delle Finanze, esclude interventi in deficit. “Non sarebbe saggio”. Ma già nel 2008 Berlino sottovalutò la Grande Crisi (Repubblica p.21).

A fine luglio Mario Draghi era stato chiaro. Le due grandi industrie europee, Germania e Italia, stanno subendo uno «shock idiosincratico» e avrebbero bisogno di una boccata di ossigeno, di uno stimolo. Ma poche ore dopo il ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz aveva già liquidato il suo allarme con una scrollata di spalle. «Non è necessario, né sarebbe saggio, comportarsi come se fossimo in crisi. Non lo siamo». E questo nonostante l’intera curva dei rendimenti dei titoli di Stato tedeschi sia sotto zero: se la Germania si indebitasse, gli interessi dei titoli a qualsiasi scadenza li pagherebbero i creditori. Insomma, non ci sarebbe momento più propizio per varare un generoso programma economico per tirare fuori la Germania dalle secche in cui si sta insabbiando. E invece.

POLITICA

1 decreto sicurezza è legge

Il decreto sicurezza bis è legge. Salvini esulta, il Pd: “Vergogna”. Solo 5 senatori del M5S si astengono. E il vicepremier leghista ringrazia la Beata Vergine. Airola: Ho votato sì al decreto. Mi sovvengono le parole di Rino Formica: “La politica è sangue e merda”. Zingaretti: Il decreto è passato grazie agli schiavi dei 5 Stelle. L’Italia adesso sarà ancora più insicura (Stampa p.6). Ok al dl sicurezza ma Salvini rilancia: ora la Tav o è crisi. Via libera alla fiducia con 160 voti a favore e 57 contrari. «Il no all’alta velocità sarebbe un siluro a Conte». Ben 32 gli assenti. Forza Italia non partecipa allo scrutinio, Fratelli d’Italia si astiene. Renzi, di ritorno dall’America, non è in aula (Messaggero p.2). L’aiuto della coppia di «sudamericani (Corriere p.3). La capogruppo di FI Bernini: «Siamo rimasti in Aula per una protesta decisa. Distacco abissale con loro» (Corriere p.3). Giorgia Meloni: «Noi astenuti sul decreto per coerenza adesso però la Lega stacchi la spina» (Messaggero p.3).

1 bis Il decreto

Super poteri al Viminale e ai prefetti: ecco cosa prevede la nuova legge. Stretta sulla gestione dell’ordine pubblico: basta volti coperti nelle piazze. Maxi-multe e confisca delle navi. Ma l’ultima parola sarà dei giudici (Stampa p.6). Pene eccessive per Ong e cortei. I dubbi del Quirinale sul decreto. Mattarella firmerà la legge, ma non è escluso che accompagni il via libera con una lettera. E c’è l’ipotesi di uno stop della Consulta (Repubblica p.3). Azzariti: “Violata la Costituzione in più parti. La solidarietà è un dovere, non può essere punita” (Repubblica p.2).

«Un decreto che viola la Carta in più punti» dice Gaetano Azzariti, costituzionalista della Sapienza. Vede punti che potrebbero portare al no del Capo dello Stato? «Vorrei innanzitutto ricordare che il presidente, già per il primo decreto sicurezza, scrisse una lettera in cui avvertiva la necessità “di sottolineare che dovevano restare fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato, pur non espressamente richiamati nel testo normativo”». E quindi? «Il punto è proprio questo. Ove il capo dello Stato dovesse ritenere che anche l’attuale decreto fosse in contrasto con l’articolo 10 della Costituzione, che impone l’obbligo di “conformarsi” al diritto internazionale, nonché con altri principi fondamentali della Carta, quali il dovere inderogabile di solidarietà, sussisterebbero tutti i presupposti per il rinvio del decreto alle Camere». Il capitolo sui migranti viola la Carta? «A mio parere il decreto da un lato è contraddittorio e dall’altro, per alcuni profili, si pone in contrasto con la Costituzione. Gli articoli 1 e 2 sui divieti d’ingresso, sulle multe e sul sequestro delle navi, impongono il rispetto degli obblighi internazionali ma, al tempo stesso, li contraddicono prevedendo limiti o divieti incompatibili con il diritto del mare, nonché con la Costituzione». Ordinare multe salate, il sequestro e la vendita delle navi non disincentiva del tutto i salvataggi? «Ma le sembra possibile prevedere sanzioni comminate nei confronti di atti doverosi? Spesso si dimentica che gli obblighi di soccorso non trovano radici solo nel diritto internazionale, ma anche in quel fondamentale dovere inderogabile di solidarietà che la Costituzione impone e che le leggi sanzionano con reati tipo l’omissione di soccorso». Ma questo reato vale per gli italiani o pure per i migranti? «La Costituzione si riferisce alla persona umana, senza distinzioni di sesso, razza o provenienza geografica». La stretta sulle manifestazioni non dà un potere enorme alla polizia e scoraggia la partecipazione? «Faccio due osservazioni. La prima è che già le norme attuali sono molto rigorose, per lo più predisposte negli anni Settanta, ai tempi del terrorismo, quindi in una situazione di reale emergenza. La seconda è che la Costituzione esprime un forte favore nei confronti della partecipazione politica in piazza che dovrebbe essere particolarmente sentita dai leader che si dichiarano populisti, ma che all’opposto scrivono norme per governare senza il controllo del popolo a cominciare dagli ostacoli posti alle manifestazioni. Interpreto così le pene più gravi per la minaccia e la resistenza al pubblico ufficiale che potrebbero punire pure forme verbali di dissenso e non azioni violente». Ritiene eccessivo il Daspo? «L’uso del Daspo, nato per casi specifici in ambito sportivo, sta diventando una misura limitativa della libertà personale, che contrasta con l’articolo 13 della Carta. La Consulta, giusto la settimana scorsa, ha posto un freno ai Daspo previsti dal precedente decreto sicurezza sul divieto di prestazioni sanitarie».

2 Grillini

Di Maio teme trappole. E Casaleggio si schiera con il fronte dei “duri”. Il pressing sui ribelli del vicepremier e la paura del voto limitano i danni: nessun “no”. Ma c’è il sospetto che Pd e FI si astengano sulla mozione no-Tav per scatenare la rottura. Lo strappo di bugani ha traumatizzato il Movimento e anche Grillo appare sempre più lontano da Luigi (Messaggero p.4). Nei 5 Stelle processo all’alleanza, tra i falchi c’è chi evoca la scissione. E Casaleggio si vede con Bugani. Summit dopo la rottura con Di Maio (che punta sulle liste civiche). L’idea di testare alleanze con la società civile nelle elezioni regionali per poi replicarle alle Politiche (Corriere p.6). Il pressing di Di Maio sui dissidenti: “Un nuovo governo sarebbe peggio”. Il leader 5Stelle li convoca uno a uno: “Non dobbiamo dare alibi a Salvini per la crisi”. E promette per settembre “tanti cambiamenti”, alludendo al rimpasto. Airola alla fine vota sì e cita Formica: “La politica è sangue e m…” (Repubblica p.4).

I GRILLINI IN BALÌA DELL’AL

LEATO FRANCESCO BEI

Superata con abbondanti dosi di Maalox l’emergenza del decreto sicurezza bis, il Movimento cinque Stelle si prepara domani ad affrontare la seconda e più difficile prova nella sua straziante convivenza con Matteo Salvini: il dibattito parlamentare sulle mozioni pro e contro la Tav. E’ questa infatti l’ultima possibilità rimasta al capo della Lega per strappare.

Poi il Parlamento chiude e se ne riparlerà dopo la lunga pausa estiva. Se intende costringere il presidente del Consiglio a salire al Quirinale, il momento è arrivato. Altri voti parlamentari non sono previsti. I grillini stanno vivendo momenti di grandissima apprensione, si capisce: costretti a qualsiasi contorsione politica, danno l’idea di un esercito in balia del proprio avversario. Posso soltanto dire di sì e sperare che Salvini sia clemente ancora per un po’. Alternative non ce ne sono, almeno finché Di Maio resterà capo politico del Movimento (in caso di crisi, come farebbe infatti a dialogare con quello che ha definito il “partito di Bibbiano”?). E non basterà a salvarsi l’anima la citazione di Rino Formica che ha fatto ieri il senatore anti-Tav Alberto Airola per giustificare la sua giravolta sul decreto. La politica sarà pure “sangue e merda” ma ha una coerenza spietata: il debole soccombe sempre, il forte prende tutto e non fa prigionieri. Ieri il M5s ha detto di sì a un decreto che nei primi articoli contraddice la Costituzione (articolo 10: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica»). Ma ormai la sopravvivenza politica fa premio su qualsiasi altra considerazione, costituzionale o umanitaria. O semplicemente umana. Ironia della sorte, il dibattito sulle mozioni Tav era stato pensato da Di Maio proprio per assecondare il sì al tunnel pronunciato dal premier Conte. Un voto inutile in sé, ma utilissimo per far digerire il via libera al treno ai militanti che ancora credono a un M5s coerente con le idee delle origini. Sarebbe quindi una vera crudeltà se Salvini, dopo aver ottenuto tutto quello che voleva, utilizzasse domani quel voto per inchiodare Di Maio e mandare a casa il governo. Probabilmente non accadrà nulla di tutto ciò, nonostante minacce e ultimatum leghisti. E il ministro dell’Interno proseguirà nella sua strategia del Q.T.C. – Quousque Tandem Catilina – per provocare i cinque stelle: quousque tandem, fino a quando Di Maio sopporterà le umiliazioni a cui lo sottopone brutalmente Salvini? L’ordine dei cinque stelle è quello di non raccogliere le provocazioni, lasciando al solo Alessandro Di Battista il compito di rispondere al leader leghista. Per ora sembra funzionare, a meno di sorprese sulla Tav. Ma di certo, purtroppo per loro, Salvini non smetterà di spostare ogni giorno l’asticella più in alto, perché da questo conflitto continuo con i grillini trae parte del suo consenso. Se il M5s riuscirà a passare la nottata, il problema sarà comunque solo rimandato di un mese, quando si dovranno passare le forche caudine della manovra. Si è capito che Salvini è ormai lanciato verso un’ipotesi di legge di bilancio che si avvicina o sfora persino il tetto del 3 per cento nel rapporto deficit/Pil, contravvenendo alle regole europee e smentendo le stesse promesse di risanamento contenute nell’ultimo Def approvato dal governo di cui fa parte. Il ministro Tria e il premier Conte sono invece al lavoro su una finanziaria prudente, che resti all’interno dei parametri e degli impegni assunti. E’ questo il vero nodo, da qui non si scappa. O la Flat Tax e lo sfondamento dei conti o un sentiero virtuoso di discesa del deficit e del debito. Terze strade non ce ne sono.

 

3 editoriali

La ferocia e la viltà

di Massimo Giannini

S ul filo di lana, a boccate di olio di ricino, e per un pugno di voti. Ma alla fine questo criminogeno decreto sicurezza-bis, almeno lui, entra in porto. Con la giusta preoccupazione di Mattarella, che lo firmerà per dovere costituzionale ma senza nascondere i suoi dubbi sull’abnorme inasprimento delle pene per chi soccorre i migranti. Ma con la feroce gioia di Salvini, che ancora ebbro dei fumi alcolici e psichedelici del Viminale Beach dice di non vedere «rischi per la libertà di stampa» dopo aver insinuato l’ombra della pedofilia su un cronista colpevole solo di aver fatto il proprio lavoro per Repubblica. E con la pusillanime quiescenza di Di Maio che per restare abbarbicato alle poltrone ministeriali e agli scranni parlamentari sarebbe pronto a firmare qualsiasi nefandezza leghista

F osse pure la pena capitale per chi non ha in casa un rosario. Dunque, il Salvi-Maio va avanti. Non sa dove andare, comunque ci va. Rissoso e confuso, con una maggioranza risicata e già esausta, procede a strappi e rattoppi, a colpi di miccette digitali e petardi ideologici. Per il Carroccio c’è sempre una Tav a “mettere a repentaglio l’esecutivo”, per il Movimento c’è sempre un salario minimo a fare da “prova del fuoco” dell’alleanza. Per tutti, c’è sempre un inutile ma palingenetico “altrove” da inseguire. Pur di tirare a campare senza tirare le cuoia. E soprattutto di non guardare nel pozzo della realtà, che invece è fatta di crisi economiche e miserie politiche. Debito pubblico in aumento e traffici di sottobosco in hotel moscoviti, produzione industriale in picchiata e moto d’acqua della polizia usate quelle sì come ”taxi del mare”, crescita zero e “mandati zero”. Giuseppe Conte governa questo nulla. Tra una “interlocuzione” e l’altra, e in attesa di giocarsi a dadi il Paese con una mostruosa manovra d’autunno. “Coalizioni del caos”: la formula coniata dall’ultimo numero dell’Economist sembra tagliata su misura per l’Italia. Il settimanale inglese la estende giustamente a quasi tutte le democrazie occidentali moderne. Negli Usa Trump ha già dovuto gestire due “shutdown”, il secondo dei quali è stato il più lungo della storia americana. Nella Gran Bretagna di Brexit si è votato nel 2017, la May si è appena dimessa e Westminster è ormai “alla bottiglia di gin”. In Spagna si è votato tre volte dal 2015, e già pare in vista una quarta elezione. In Svezia si è votato da poco e ci sono voluti quattro mesi per far nascere un governo di minoranza. Nella Repubblica Ceca, dopo le elezioni del 2018, ne sono serviti otto (contro i nostri tre mesi). Viviamo un’epoca di instabilità endemica: nei ventotto stati membri della Ue quasi un terzo dei Parlamenti insediati è frutto di elezioni anticipate, e a parte la Francia (dove Macron è all’Eliseo grazie a un quarto dei consensi ottenuti al primo turno e a oltre il 65% al secondo), tutti gli altri Paesi sono guidati da governi di coalizione. Secondo l’Economist, questa situazione sta generando modelli di diffusa “ingovernabilità. Che non vuol dire anarchia politica né rivolta sociale. Piuttosto, un’incapacità dei governi di produrre risultati concreti, che cambiano davvero le condizioni materiali di vita dei cittadini. I governanti galleggiano, senza riuscire a fare nulla di realmente “significativo e importante” per i governati. L’Italia è l’idealtipo di questa vacua “ingovernabilità”. Esaurita la “spinta propulsiva” delle leggi-bandiera (reddito di cittadinanza e Quota 100), al di là degli slogan da balcone (“il potere al popolo”, “abbiamo abolito la povertà”, “a morte le élite e i poteri forti”), scontato il radicalismo purificatore di misure puramente simboliche (come il taglio dei vitalizi) o penosamente securitarie (come le supermulte per le Ong): cosa resta della grande promessa dei due populismi, nati antagonisti e finiti alleai? Niente, se non il conflitto quotidiano tra due forze troppo disomogenee, e tenute insieme solo dal cemento del “vaffa” e del “me ne frego”. Un impasto di qualunquismo anti-sistema: tendenzialmente illiberale (per non dire dispotico) e naturalmente di destra (per non dire fascistoide). Il governo gialloverde appare sempre più simile al “Gulliver incatenato” di cui parla Yves Meny (Popolo, ma non troppo, Il Mulino). Avevano annunciato una “Rivoluzione”, sono a un passo dall’implosione. Fiaccati dallo scontro quotidiano e dall’idra burocratica che non sanno ammaestrare. Condannati alla paralisi dell’azione pubblica dalle reciproche interdizioni e dalle rispettive incompetenze. Con un Parlamento ridotto a teatro di ombre (secondo la visione più moderata) o a bivacco di manipoli (secondo la visione più resistenziale). E con un Web che per ora, grazie alla Bestie di Morisi e al Rousseau di Casaleggio agisce come collettore del consenso politico, ma in prospettiva evolverà fatalmente in incubatore del malcontento sociale. Come affrontare i nodi d’autunno, in un simile caos, nessuno sa dirlo. Meno che mai i leader, coalizzati sempre più riottosi e riluttanti. La Flat Tax e le clausole Iva, i cantieri delle grandi opere, la pseudo-riforma della giustizia, l’autonomia differenziata. L’Intifada gialloverde esplode ogni giorno su tutto. A conferma di un’alleanza innaturale fin dall’inizio, che associa il bullismo dell’ultradestra salviniana (trasformata in egemonia culturale) e il nullismo della pseudo-sinistra grillina (degenerata in entropia identitaria). Avevano spacciato il “contratto di governo” come una svolta epocale, che il resto del mondo ci avrebbe non solo invidiato, ma addirittura “copiato”. Era chiaramente un trucco da apprendisti stregoni, come se la politica non fosse carne e sangue, ma scartoffia da avvocati. Eppure, quel “contratto” conteneva già il riconoscimento implicito del suo palese velleitarismo. Ormai non lo ricorda più nessuno, e meno che mai i contraenti, ma quel patto del maggio 2018 prevede il famoso ’Comitato di conciliazione’, garanzia di tenuta di “tutta la politica dell’esecutivo”. «In caso di contrasto – c’è scritto nel testo – le parti si impegnano a discuterne con la massima sollecitudine, e nel rispetto dei principi di buona fede e leale cooperazione…». E poi, nel comma successivo: «Nel caso in cui le divergenze persistano, verrà convocato il ‘Comitato di conciliazione’… che si attiverà in tempo utile per raggiungere un’intesa e suggerire le scelte conseguenti…». Questo hanno scritto e firmato insieme, Salvini e Di Maio. Con la regia di Conte, l’azzeccagarbugli del popolo. Per come sono andate, stanno andando e andranno le cose, quel ‘Comitato di Conciliazione’ dovrebbe aver funzionato sempre, e dovrebbe ancora funzionare in modo permanente, ventiquattrore su ventiquattro. Ma com’è evidente, non si concilia l’inconciliabile. E a Palazzo Chigi, ormai, non c’è più niente da conciliare se non la paura. Quella di Salvini di governare da solo, e quella di Di Maio di non governare mai più.

4 Tav

Domani nuovo voto in Senato. Il Carroccio può contare anche sull’appoggio di Berlusconi. Sulla Tav patto inedito Lega-dem. “La mozione dei 5S non passerà” (Stampa p.7). Salvini apre il fronte Tav: «Chi dice no fa cadere Conte». Il leghista: «Non sto al governo per tirare a campare». Toninelli: «Minacci chi vuole ma il governo non cade» (Giornale p.3). La Lega usa la Tav per tentare di separare il M5s di Di Maio da quello di Dibba (Foglio p.4). Tav, continua l’equivoco M5S. Stefano Folli su Repubblica (p.31).

5 legge elettorale

“Il taglio degli eletti favorisce Salvini”. Contatti 5S-Pd per cambiare le regole. Lo studio riservato: ai dem 84 deputati, grillini sull’orlo dell’estinzione. L’ipotesi di una nuova legge elettorale in chiave anti Lega. Nel ritocco delle regole per le elezioni verrebbe eliminata la quota maggioritaria. Per la procedura della riduzione dei parlamentari serviranno 5 mesi (Stampa p.8).

Nei palazzi gira un foglietto che manda in depressione i nemici di Salvini. Dà l’idea di come sarebbe il prossimo Parlamento, per effetto della riforma che riduce il numero degli eletti. Applicando a quei tagli le percentuali delle ultime Europee, una coalizione di centrodestra si porterebbe a casa 258 dei 400 deputati e 128 dei 200 senatori (dal conto mancano le circoscrizioni estere). Il Pd, con i suoi vari cespugli, si accontenterebbe di 84 onorevoli e 40 senatori. Quanto ai Cinque stelle, sarebbero sull’orlo dell’estinzione. Raggranellerebbero 48 seggi a Montecitorio (oggi sono 216) e la miseria di 26 a Palazzo Madama (rispetto ai 107 attuali). Chi non si fidasse di questa tabella, finora rimasta riservata, sappia che ce n’è un’altra costata parecchia fatica all’esperto numero uno, Federico Fornaro di Leu. Il quale è giunto a risultati quasi identici: Salvini è virtualmente padrone d’Italia. E lo sarà ancora di più dopo il taglio dei parlamentari, che la Camera licenzierà entro metà settembre. A meno che, per fare uno sgambetto alla Lega, qualcuno non cambi le carte in tavola. Riscrivendo la legge elettorale.

6 Voto a febbraio

E Matteo è pronto a sfidare il Colle per votare a febbraio. La mozione M5S sulla Tav senza numeri la resa dei conti è rinviata alla manovra. Per Salvini il taglio dei parlamentari non blocca le urne, anche col referendum. Il Carroccio potrebbe votare una finanziaria indigesta per evitare l’esercizio provvisorio in cambio di elezioni certe (Messaggero p.3).

Pressing di Giorgetti sul capo per cambiare passo. Ma in Senato si parla di ferie (Corriere p.5).

Le elezioni anticipate che non vuole nessuno. Il commento di Antonio Polito sul Corriere in prima.

Il Generale Agosto ha vinto la battaglia del decreto sicurezza bis. Che il governo cadesse in piena estate, con la finestra elettorale di settembre già chiusa, era infatti un’ipotesi contraria alle leggi di natura. Così, il numero di coloro che nel centrodestra si sono assentati o astenuti per non votare contro il governo, ha soverchiato il numero di coloro che nei Cinquestelle (cinque in tutto) si sono assentati per non votare a favore del governo, con l’intento di dissentire.

Anzi, il gioco è stato anche più sottile. Proprio il fatto che esista ormai in Parlamento una «terza forza» disposta a salvare il governo in caso di bisogno (ieri è anche venuta allo scoperto la pattuglia dei «totiani»), ha consentito ai dissidenti «fichiani» dei Cinquestelle di fare il bel gesto anti-Salvini senza però rischiare la crisi. Vi sembra bizantino? Lo è. Ma questa è oramai la situazione parlamentare: il governo esiste non perché ci sia una coesa maggioranza politica che lo sostenga, ma perché non c’è una maggioranza in grado di buttarlo giù. Anche se potesse, nell’opposizione praticamente nessuno ha davvero voglia o interesse a provocare una crisi e le elezioni anticipate. Così il gabinetto Conte viaggia sul vuoto, come un treno senza rotaie a levitazione magnetica (anche sulla Tav, nel voto di domani sulle mozioni, andrà così). D’altra parte un governo, per quanto diviso e indebolito, non può cadere sui provvedimenti più popolari. E le norme sulla sicurezza, nonostante le contestazioni, sono tra questi. Al punto che da una bocciatura sarebbe stato proprio Salvini a trarre i maggiori vantaggi: ci avrebbe potuto imbastire la più conveniente delle campagne elettorali. E infatti Fratelli d’Italia e Forza Italia hanno dichiarato che non erano contro il decreto, e l’avrebbero anzi voluto più «duro» o più incisivo. Dal che si deduce che, almeno per quando riguarda migranti e sicurezza, la vera linea di divisione in Parlamento passa ancora tra destra e sinistra. Così Salvini ha due maggioranze: quella del «cambiamento», sempre più precaria, e quella di centrodestra, sempre ben disposta.

7 pd

“Zingaretti assediato da Renzi, il Veltroni verde è un disastro”. Il filosofo Massimo Cacciari intervistato dal Fatto stronca la svolta green dei dem e rimpiange la mancata scissione dell’ex premier: “Il segretario ha i parlamentari contro”. Matteo doveva andarsene quando era alto nei sondaggi, adesso sa che non gli conviene: avrebbe il 4 o il 5% (Fatto p.6). Ora il Pd pensi ai più deboli. Il commento di Pietro Ignazi su Repubblica (p.30).

7 tg2

Si spacca il Tg2 targato Salvini. “Il ministro risponda alle domande”. Rivolta interna nel telegiornale diretto da Sangiuliano. Dopo un comunicato di una parte del Comitato di redazione ne arriva un secondo, a nome di 60 colleghi, critico col vicepremier e solidale con i cronisti di Repubblica e Report (Repubblica p.11). Quel direttore in camicia verde. Il commento di Stefano Cappellini su Repubblica (p.30).

8 Commissario

Il ministro Centinaio: staccare la spina? Io lo dico da due mesi. «Per il commissario Ue in pista io e Garavaglia» (Corriere p.2). “Io e Garavaglia i nomi di Conte per andare a Bruxelles” (Stampa p.7). “Se mi bocciano sarà guerra. Ho dovuto bloccare a metà il mio giro in moto della Sardegna, sono stato precettato per la fiducia. Ma questo governo doveva finire due mesi fa” (Repubblica p.4).

Attraversa abbronzatissimo e rapido il salone Garibaldi di Palazzo Madama quando sono già passate le 18, giusto in tempo per partecipare al voto di fiducia. Basettone lungo, non proprio felicissimo di essere qui, il ministro leghista all’Agricoltura Gian Marco Centinaio. Cerchia ristretta del leader Salvini e anche per questo il più accreditato per il posto da commissario europeo. «Ho dovuto interrompere il giro della Sardegna in Harley Davidson che sto facendo da qualche giorno, mi hanno precettato per votare la fiducia…» dice con aria scocciata. Incassate anche il Dl sicurezza bis, Salvini alza il tiro sulla Tav anche se la mozione 5S sarà bocciata. Pensa che il governo rischi ancora? «Non avevo dubbi sulle votazioni. Ora si tratta di vedere cosa accadrà con la manovra e la Flat tax». Insomma niente crisi fino all’autunno. «Non è un mistero che per me questo governo avrebbe dovuto chiudere i battenti due mesi fa. Quando i rapporti con i 5 stelle si sono ridotti ai minimi termini (a cavallo delle Europee, ndr). Il premier Conte sa come la penso. E così Matteo e anche Di Maio. Non a caso quando si è parlato di rimpasto hanno chiesto la mia testa». Le sue dimissioni? «Certo. Ma non ho problemi. Pronto a servirla io stesso sul piatto, se serve». Invece non ne avrà bisogno perché potrebbe essere lei il commissario Ue italiano. Come se la cava con l’inglese? «The ball is on the table». Dunque alla grande, certo. Va davvero lei? «Matteo Salvini ha fatto il mio nome. E quello del sottosegretario all’Economia Massimo Garavaglia». Per quali deleghe? «Sottovalutate tutti la portata dell’Agricoltura. Continuate pure, va bene così. Perché è quella sulla quale puntiamo realmente: gestisce il budget più consistente. Non a caso non l’attribuiscono mai a un grande Paese europeo ma questa volta l’Italia ha diritto ad essere compensata». E la Concorrenza, che il premier Conte aveva dato per scontata. «Non so, non ne so parlare. Non sarebbe tra i miei temi…». Forse non è alla portata della Lega, realmente. «Sottovalutate anche l’Industria». Lì potrebbe andare l’economista Garavaglia? «Però comprende il Turismo, che è roba mia..» (sorride: di mestiere fa il titolare di una struttura alberghiera). Ma Massimo sui temi economici sa il fatto suo». Rischiate di essere impallinati, lo sa? «Sappiamo, lo ha detto anche Matteo. Beh, sarebbe un fatto senza precedenti: il partito più votato in Europa privato del diritto di esprimere un proprio commissario. Lo facciano pure, a quel punto però scateniamo una guerra».

9 Moto d’acqua

Moto d’acqua, interviene Gabrielli Il capo della polizia: verificherò se è stato limitato il diritto di cronaca. Salvini: non vedo rischi perla stampa (Corriere p.9). Il cronista di Repubblica ascoltato dalla Digos “Ostacolato il mio lavoro”. Il capo della polizia Gabrielli: sugli agenti in corso accertamenti disciplinari e penali (Repubblica p.10).

Gabrielli e ministro, botta e risposta sulla moto d’acqua. «In quella vicenda c’è solo una cosa che mi interessa e che sto approfondendo: se c’è stata una limitazione al diritto di informazione e cronaca». Il capo della Polizia, Franco Gabrielli, è intervenuto sul caso del figlio del vicepremier Matteo Salvini, che la scorsa settimana ha fatto un giro su una moto d’acqua della Polizia a Milano Marittima. Per Gabrielli la vicenda «sembra un po’ amplificata. Vi potrei portare decine di immagini di nostri mezzi che vengono utilizzati anche da ragazzini». Ma Gabrielli aggiunge: «Mi preoccupa di più, e ho chiesto un approfondimento, quando c’è una limitazione al diritto di cronaca che ritengo debba essere posto al centro» (Stampa p.6).

10 Corinaldo

“Ero a Corinaldo ma non c’entro con la strage”. Il ventenne nega i contatti con l’altra banda. Via agli interrogatori. Il legale: “È un ragazzino sconvolto”. Nelle intercettazioni accuse a Di Puorto: “Andrà all’inferno”. La fidanzatina di Cavallari prendeva 30 euro più le spese per portare i ragazzi in macchina. Arrestata a Parigi per furto, prenotava alberghi con “Cava” che poi non pagava. Quel taser in auto. La donna del capo che accompagnava il gruppo nelle trasferte criminali. Da complice in affari ad autista e compagna di uno dei principali accusati (Stampa p.13). Spray, si spacca la gang. «I morti? Tutta colpa di quei bamboccioni». La banda di Modena scarica il gruppo di Di Puorto, il cui padre è legato a un boss dei Casalesi. Cavallari interrogato a Genova: «Sono stati loro» (Messaggero p.8). «In 10 per trovare quel Dna. Così siamo arrivati alla banda». Schiavone (Ris) e la strage di Corinaldo: la bomboletta spray fu usata tutta (Corriere p.17).

I valori del branco negli antichi codici feudali

Inquieta la completa mancanza di percezione dell’illecito. Presi con le mani nel sacco si mostrano stupiti, quasifossero interrotti in una pratica legittima

Dacia Maraini sul Corriere a pagina 27

D ifficile da capire questa esplosione di criminalità minorile. Anche perché sembra slegata da ogni questione sociale. Non sono gli adolescenti poveri, gli emarginati che delinquono ma ragazzi di famiglie agiate che interrogati, parlano di noia. Quasi sempre sono in preda all’alcol o alle droghe. Ma soprattutto quello che inquieta è la completa mancanza di percezione dell’illecito. Presi con le mani nel sacco si mostrano stupiti, quasi fossero interrotti in una pratica legittima. Il che significa che è saltato nella maniera più completa il senso del bene e del male. Penso ai due ragazzi americani che hanno preso a coltellate un onesto carabiniere. Ritenevano di avere colpito un truffatoreeperloro era una giustificazione perreagire con inaudita furia omicida. Penso alle baby gang italiane che col peperoncino creavano panico per strappare alle vittime portafogli, collane, catenine d’oro, orologi preziosi. Ma è solo la droga che crea queste forme di ottundimento morale? Non potrebbe essere che questiragazzi, essendo figli di un tempo in cui la supremazia virile è messa in discussione, si sentano impegnati,come una avanguardia di soldati in cerca di vendetta, a intraprendere una guerra ciecaecrudele contro un nemico invisibile che li sta privando della più arcaica identità maschile? I valori che circolano presso questi branchiricordano antichi codici feudali: disprezzo verso i deboli, sfida ai pericoli più rischiosi, propensione verso guerre devastanti contro un nemico odiatoemisterioso che, come nei fumetti, viene da un cosmo ostile e minaccioso. In effetti la maggioranza assoluta di questi guerrieri da fumetto sono maschi e le prede che prediligono sono le giovani femmine, da condannare perle loro nuove libertà. Gli adulti certo non danno il buono esempio, e questo non fa che diffondere l’idea della legittimità del crimine.

“Non è follia: i nostri giovani sono solo cattivi e frustrati”

Vittorino Andreoli L’omicidio del carabiniere, le rapine con lo spray, l’investimento mortale: lo psichiatra commenta gli ultimi episodi di cronaca

“No, non è follia. La parola chiave è frustrazione: il sentirsi inadeguati, esclusi, senza futuro. D’estate si accentua il bisogno di fare cose estreme. Questi ragazzi che fanno cose inaccettabili si comporterebbero bene se avessero degli stimoli. Ma si vedono la sera e non sanno cosa fare”, osserva lo psichiatra Vittorino Andreoli a proposito dei recenti, feroci episodi di cronaca. Dai baby-gangster delle rapine con lo spray, in manette per la strage in discoteca a Corinaldo (Ancona), al lancio da 20 metri di altezza di un cassonetto in Liguria che ha quasi ucciso un dodicenne in una tenda, passando anche per l’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega con undici coltellate sferrate da un diciannovenne e quello dei ragazzi investiti da un uomo in auto dopo una banalissima lite a Bergamo.

Vittorino Andreoli, psichiatra, vede “fru – straz ione” e “v uoto” dietro i violenti crimini che hanno segnato questo scorcio d’estate. Sono quasi sempre giovanissimi gli autori e le vittime di atti cruenti. Da dove originano questi casi? Nei periodi di crisi sociale, esistenziale, di principi, esplode il problema dell’eroismo giovanile. I giovani assumono comportamenti estremi, pseudo-eroici. La violenza è fare qualcosa di eccezionale, sentirsi eroi, soprattutto in quest’epoca in cui ci sono gli strumenti per rendere note sui social le azioni compiute. D’estate si accentua il bisogno di fare, di vincere. Durante le vacanze, la società si diverte, spera di avere esperienze straordinarie e il bisogno di non essere esclusi si accentua. La frustrazione è la parola chiave: le vacanze l’a u m e n t ano. I ragazzi che fanno cose incredibili e inaccettabili potrebbero comportarsi bene se solo avessero stimoli. Ma si vedono di sera e non sanno cosa fare. Fo l l i a? No, il punto di partenza è la frustrazione, il sentirsi inadeguati, esclusi, che genera la voglia di fare cose d’eccezione. Non c’entra la follia. C’entrano comportamenti compensativi. I giovani reagisco

no compensando la frustrazione. La follia è una patologia seria legata a qualcosa di più profondo. Non è vero che la violenza è più frequente in presenza di follia. Si riscontra in alcune patologie psichiatriche, ma non è più possibile sostenere il binomio “folle uguale violento”. Nel caso dei 14 ragazzi di Manduria (arrestati nei mesi scorsi, ndr), per esempio, il pazzo è la vittima. Bertold Brecht diceva: “Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi”. Quanto più i giovani saranno esclusi dalla società, tanto più avremo pseudo-eroi. Che ruolo ha la dimensione collettiv a? Enorme. Il gruppo è una condizione in cui uno assume più forza dalla presenza dell’altro. Nessuno fra chi partecipa al gruppo agirebbe isolatamente. Il fenomeno del gruppo esiste adesso, come nel passato. Ma ci sono caratteristiche che legate al tempo. Crede che incida questo momento storico? Certo. Il tasso di disoccupazione giovanile è al 32,8%. È una condizione che predispone agli atti di pseudoeroismo. In una società piatta, che non ha più ideologie, l’unico imperativo sociale è il denaro. Non si pensa più. Si usa solo il telefonino. Che ruolo ha l’affe t t i v i t à ? L’amore è un legame affettivo vasto, che oggi si consuma, perché questa è la società dell’empirismo radicale che vive nell’adesso. L’amore, invece, è una storia, necessita di futuro, programmi, crescita. I protagonisti sono quasi sempre maschi. Come mai? Perché le donne sono più pazienti, più riflessive, sanno attendere. Sono meno pseudo-eroiche. Una donna sa attendere 9 mesi la nascita del suo bambino. Esiste una geografia dell’effe ra te zz a? No, oggi c’è un vuoto nei giovani, non hanno futuro. E l’uso di sostanze ha un’enorme incidenza, perché imbrogliando danno l’illusione di essere diversi.

Da Corinaldo agli incidenti per uccidere l’estate violenta dei giovani senza regole

Paolo Graldi sul Messaggero in prima e a pagina 22

L’età. La giovane età o piuttosto la giovanissima età tiene insieme, accomuna l’impressionante sequenza di episodi di cronaca di queste ore, dove la furia calcolata deflagra, sbalordisce per il cinismo e la strafottenza che la sottendono. Sono ragazzi che si riconoscono nel comune sentire la violenza come mezzo e come fine; si attraggono cercando soldi usando la scorciatoia della rapina, dell’assalto verso i deboli, gli indifesi. Rabbiosi, violenti e però anche vigliacchi. Ilmodello è quello delle piccole bande che si nutrono di miti trash e vivono il sopruso con insensata allegria e sprezzo delle legalità. Gli scenari squarciati dalle intercettazioni sui componenti della bande del peperoncino lasciano interdetti. I sei giovanotti, arrestati dopomesi di indagini, ritenuti responsabili della strage della discoteca “La Lanterna Azzurra” di Corinaldo e di una infinita serie di colpi con il medesimo modus operandi, rivelano sghignazzando la loro vita sballata, si gasano ricordando le scorribande nei locali dove seminavano il panico con il gas per poi, nel caos generale, arraffare oggetti d’oro e cellulari. Il padre di uno dei capetti ha affidato la sua dolorosa testimonianza a un tg: «Rubava fin da bambino, anche in casa, in negozio, diceva che sulla paghetta ci sputava sopra, che il lavoro è per i fessi. Neanche San Patrignano, dove lo hanno tenuto per un po’, lo ha piegato. Niente e nessuno. Adesso merita una pena severa, da scontare tutta». A scuolamalissimo. Come gli altri della gang. Al bar sfuriateminacciose, spacconate, sbornie. In fretta scopriamo nei dettagli un mondo di devianze gravi, radicate, dove bullismo e droga, furti e rapine, spaventosi potenziali criminali, si incontrano e si intrecciano. E così, seguendo il filo rosso dell’età, incontriamo i due studenti americani venuti a sballarsi a Roma dalla California e adesso imputati di un atroce delitto, l’uccisione di un carabiniere. Ragazzi per bene secondo i genitori, dai precedenti premonitori e inquietanti secondo i loro docenti e i compagni che li tenevano alla larga. Del resto, quali pensieri emodi d’agire si agitano nella testa di un ragazzo che in vacanza si porta un pugnale damarine e mostra che il suo primo interesse è comprare cocaina? Il germe, il virus della violenza, viene prima dell’atto che lo rivela, è già presente e rilascia tracce di sé, come in agguato, in attesa di esplodere. Di esplosione, di lucida determinazione assassina si deve parlare allungando lo sguardo nel Paese dei due omicidi, gli Usa, dove le azioni con armi da guerra falciano decine di vittime casuali, nel mirino per razzismo, xenofobia, odio puro. Ecco, l’odio. Il disprezzo degli altri comemotore e carburante di violenza. Lo rintracciamo nell’episodio di Bergamo dell’altra notte, esemplare nello svolgimento: apprezzamenti sgraditi a una ragazza, il risentimento del fidanzato, l’attesa fuori dalla discoteca e poi l’agguato con speronamento dello scooter. Duemorti, entrambi giovanissimi. Il colpevole viene arrestato a casa sua, tranquillo sul divano, accarezzando il cane davanti alla tv. Lavora con lamamma, adora la disco music. Il suo motto? «Senza presente non c’è futuro». Nelle stesse ore un diciassettenne a Londra lanciava, forse per vedere l’effetto che fa, un bambino da un terrazzo: i medici dicono che si salverà, permiracolo. In questa deriva di violenza a macchia di leopardo, dove tuttavia prevale quella di gruppo, organizzata, imitativa di criminalità strutturate e radicate, si è come di fronte a un corto circuito che annienta i valori più elementari, si fa beffa della legge e dei suoi rappresentanti in una sfida demenzialema gonfia di arroganza temeraria. In questo quadro che si ripete a copione diviene imponente l’assenza degli adulti. Non ci sono. Sono sfumati, disattenti, distratti. Soccombenti, quando non addirittura cattivi maestri. La forza dell’educazione presa a calci, gli insegnamenti della scuola come acqua sul marmo. E s’impongono, perfino nel più insignificante gesto quotidiano, gli stereotipi del vediogame d’assalto: la forza, la brutalità, la sopraffazione. C’è di che essere altamente allarmati. Qui non è questione di generazione, di nuovi stili di vita, di modi diversi d’intendere il vivere nella collettività. La lettura professionale delle “confessioni” telefoniche della banda della strage di Corinaldo ci restituisce uno spaccato di verità che non va portato soltanto nell’aula del giudizio penale o nelle cattedre di criminologia forense ma nelle case, sui tavoli da pranzo, sui divani davanti alla televisione. Nei dibattiti alle feste della politica ed anche ai tavolini dei caffè delle vacanze. Perché questi ragazzi che si bruciano la gioventù e il futuro portano in corpo qualcosa che potrebbe rivelarsi contagioso. E diffondersi come un’epidemia malvagia e virulenta. © RIPRODUZIONE

10 Sopraelevata

Primi colpi di piccone sulla tangenziale Est. Così Roma abbatte il suo ecomostro. Da demolire 500 metri di sopraelevata, serviranno almeno 450 giorni. Legambiente: “Bisogna rigenerare la zona”. Pier Luigi Cervellati, urbanista: “Un tempo i problemi venivano discussi in sedi pubbliche. Ci siamo dimenticati ogni pianificazione. I Comuni non consultano più i cittadini”. Abbiamo perduto il senso della città come bene collettivo. Sull’urbanistica c’è disinteresse generale (Stampa p.15).

10 Carabiniere

I killer di Cerciello all’incontro per colpire. Lo zainetto forse era un pretesto: nascosto prima dell’appuntamento. Ai magistrati hanno detto di temere un’altra truffa da parte del mediatore (Messaggero p.9). I ragazzi all’incontro senza borsello. I due americani lo hanno lasciato in una fioriera: ritrovato dopo il delitto del vicebrigadiere Cerciello (Corriere p.15).

10 Travaglio

Ieri, con la fiducia all’orribile decreto Sicurezza-bis, i 5Stelle hanno pagato l’ultima cambiale a Salvini. Se sia l’ultima in ordine di tempo o in assoluto, lo scopriremo presto. Le conseguenze del bis sono meno preoccupanti di quelle del primo che, accanto a (poche) norme di buonsenso, ne conteneva due micidiali: la fine dei permessi umanitari, che ha moltiplicato i clandestini; e lo smantellamento degli Sprar, i centri comunali d’integrazione, che ha moltiplicato i migranti a zonzo per le strade a bighellonare, o mendicare, o infastidire i passanti, o cadere preda della criminalità comune e organizzata. Gli “stranieri”, non avendo dove andare e cosa fare, appaiono molti più di quelli che sono: tutta benzina sul fuoco della rabbia più o meno razzista nei quartieri popolari e tutta benzina nel motore della Lega. Che, fatto il danno, riesce pure a lucrarci dei voti. In compenso nulla, nei due dl Sicurezza, è previsto per i rimpatri degli irregolari: promessa che ha gonfiato le vele del salvinismo e paradossalmente continua a gonfiarle perché la propaganda di sinistra seguita a dipingere il Cazzaro Verde come nemico dei clandestini: così la gente pensa che li stia rimpatriando davvero o, se non lo fa, non è perché non è capace, ma perchè i cattivoni buonisti glielo impediscono. Anche stavolta, da sinistra, s’è levata la solita litania: che aspetta il M5S a far cadere il governo a trazione Salvini? Noi l’abbiamo scritto fin da prima che nascesse il Salvimaio: “Se si alleano con la Lega, i grillini verranno inseguiti con i forconi da molti elettori”. Ripetuto l’estate scorsa: “I 5 Stelle valutino il momento più propizio per staccare la spina”. E ribadito dopo la d ébacle grillina alle Europee: “Ai 5 Stelle conviene tornare all’opposizione”. Il che non ci ha impedito di notare che finora, mentre Salvini stravinceva nella gara di chiacchiere e di rutti, i 5Stelle stravincevano in quella delle leggi approvate: ai due Dl Sicurezza e alla (il)legittima difesa, dall’esito nullo o negativo, e ai cedimenti su Tap e altre opere inutili (su cui però il M5S si ritrova solo in Parlamento, come pure sul Tav), i 5Stelle possono opporre una dozzina di riforme buone e giuste (anche se non han saputo comunicarle). Che, anche se la legislatura finisse oggi, darebbero comunque al governo Conte un bilancio più positivo che negativo. Il guaio è che l’interesse del M5S non coincide con quello dell’Italia: ricattati come sono un giorno sì e l’altro pure da Salvini, i 5Stelle avrebbero tutto da guadagnare da un bagno purificatore all’opposizione. Per far tesoro della cura dimagrante forzata al 17%. Per rimediare agli errori commessi.

Per ritrovare l’identità smarrita, riorganizzarsi al vertice e alla base e mostrare a chi se l’è già dimenticato di cosa sono capaci i vecchi partiti. Ma gli italiani, almeno chi non vuole un monocolore Salvini senza contrappesi, inevitabile in caso di elezioni presto, hanno l’interesse opposto: che si voti non prima dell’estate 2020, nella speranza che il pallone gonfiato dimostri alla prova dei fatti la sua palese incapacità anche a chi oggi non la nota e si sgonfi. Cioè che finisca o si ridimensioni l’innamoramento-incantamento della solita Italia sotto il balcone del ducetto di turno. Ma, per votare fra un anno, stante l’indisponibilità del Pd a governare col M5S, ci vogliono altri 12 mesi di governo Conte. Dopo le Europee, Di Maio ha avuto una sola preoccupazione: non fornire a Salvini pretesti per rompere su dei “no” impopolari (su Flat Tax, Tav e migranti). Infatti ha opposto resistenza sugli unici temi che la gente avverte poco e Salvini ancor meno: autonomie regionali e riforma della giustizia. Ma ora la finestra elettorale di luglio si è chiusa e Salvini è stato azzoppato – anche se non lo dà a vedere e i sondaggi ancora non lo registrano – da tre gravi scandali (caso Rubli, caso Arata-Siri, Tangentopoli lombarda) di cui nessuno, neppure lui, conosce gli sviluppi e le conseguenze in una campagna elettorale. Ma, se Di Maio&C. vogliono tenere in piedi il governo, sperare di logorare l’ “alleato” e recuperare un po’ dei 4milioni e mezzo di astenuti, anziché farsi fagocitare definitivamente, non possono continuare a comportarsi come se fossero gli unici a temere il voto. Anche perchè sanno che, con le spade di Damocle giudiziarie sul capo, lo teme un bel po’anche Salvini: altrimenti avrebbe approfittato della famosa “finestra”. Di Maio, per quanto ancora rintronato dalla batosta, resta il leader più capace del M5S. Ma deve guarire dalla sindrome da accerchiamento che ultimamente lo porta a sospettare di Di Battista, di Fico e tanti altri, al punto da mettere in fuga un veterano e fedelissimo della prima ora come Max Bugani, molto vicino a Casaleggio e Grillo. Nel forum di un mese fa col Fatto, Di Maio parlò di una sorta di direttorio con tutti i big per gestire collegialmente il Movimento nella fase più drammatica della sua storia: che aspetta a formarlo? E a chiedere a Grillo, dopo tanti passi indietro, di fare un bel passo in avanti? Così ricompatterebbe i tanti parlamentari ed elettori disorientati. Le cose da fare al governo, mentre “quell’altro” fa il tour dei Papeete, non mancano, e tutte previste dal Contratto: salario minimo, legge sui rider, riforma Bonafede, manette agli evasori, conflitto d’interessi, taglio delle tasse sul lavoro e così via. Con una campagna estate-autunno sui contenuti, la gente potrebbe addirittura capire perché il governo resta in piedi e chi, al suo interno, pensa a lavorare. A quel punto sarà Salvini, se si opporrà, quello del Partito del No che viola il Contratto e si assume l’onere di rompere. I ricatti non sono mai belli, ma con un “alleato” ricattatore sono l’unica speranza di sopravvivenza. Come diceva Sandro Pertini, “a brigante, brigante e mezzo”.

10 Centrodestar

«Macché rivoluzione, Toti vuole solamente rifare il governatore». Giorgio Mulè: «Il suo progetto è un balbettio e i suoi consensi si fermeranno a La Spezia» (Giornale p.8). Azzurrini in fuga. Berlusconi abbandonato anche dai suoi ragazzi. Mentre i “seniores” di Forza Italia si sono schierati con il Cav, il presidente giovanile Stefano Cavedagna se ne va con un gruppo di dirigenti: partito ormai troppo centrista (Libero p.8).

10 Corinaldo

10 linguaggio

SORPRESA, LEPAROLACCE AIUTANO AFARECARRIERA

Michele Farina sul Corriere a pagina 26

Il turpiloquio serve alla carriera?O averfatto carriera permette di dire impunemente parolacce? Dilemma interessante, se anche il Financial Times si interroga sull’importanza di essere scurrili(specie sul posto di lavoro). Suona sorprendente: molte ricerche sociologiche indicano che chi si esprime «come un cavallante» (una volta si diceva così) può risultare «più onesto, credibile e persuasivo» di chi si esprime educatamente. Davvero? Prima di concentrarsi sul mondo degli affari, l’FT fa riferimento all’ascesa di Boris Johnson, il neo primo ministro britannico che non si fa problemi a definire proprio quel mondo (che teme gli effetti della Brexit) con un’espressione poco elegante: fucking business. D’altra parte, da Trump all’Ungheria passando per l’Italia, i politici che usano termini volgari e magari offensivi sono perdonati se non esaltati, perché dicono «pane al pane e vino al vino». Una ricerca della Stanford University evidenzia come «l’improperio» sia giudicato sintomo di genuina onestà. E la politica non è l’unico campo in cui «la prevalenza della parolaccia» sembra funzionare: una delle espressioni colorite di Jamie Dimon di JP Morgan Chase, il capo più longevo nella storia delle grandi banche d’affari, è stupid shit, dove ilriferimento scatologico viene usato pubblicamente con varie sfumatureevari bersagli, dai politici agli avvocati.In Gran Bretagna sembra dimostrato che la gente dice parolacce in media 14 volte al giorno. Una ricerca negli Usa indica che nel mondo corporate il linguaggio scurrile è in aumento, specie tra i millennial. Più che parlare come un (bistrattato) cavallante, dovremmo dire: parlare come un banchiere?

SORPRESA, LEPAROLACCE AIUTANO AFARECARRIERA I l turpiloquio serve alla carriera?O averfatto carriera permette di dire impunemente parolacce? Dilemma interessante, se anche il Financial Times si interroga sull’importanza di essere scurrili(specie sul posto di lavoro). Suona sorprendente: molte ricerche sociologiche indicano che chi si esprime «come un cavallante» (una volta si diceva così) può risultare «più onesto, credibile e persuasivo» di chi si esprime educatamente. Davvero? Prima di concentrarsi sul mondo degli affari, l’FT fa riferimento all’ascesa di Boris Johnson, il neo primo ministro britannico che non si fa problemi a definire proprio quel mondo (che teme gli effetti della Brexit) con un’espressione poco elegante: fucking business. D’altra parte, da Trump all’Ungheria passando per l’Italia, i politici che usano termini volgari e magari offensivi sono perdonati se non esaltati, perché dicono «pane al pane e vino al vino». Una ricerca della Stanford University evidenzia come «l’improperio» sia giudicato sintomo di genuina onestà. E la politica non è l’unico campo in cui «la prevalenza della parolaccia» sembra funzionare: una delle espressioni colorite di Jamie Dimon di JP Morgan Chase, il capo più longevo nella storia delle grandi banche d’affari, è stupid shit, dove ilriferimento scatologico viene usato pubblicamente con varie sfumatureevari bersagli, dai politici agli avvocati.In Gran Bretagna sembra dimostrato che la gente dice parolacce in media 14 volte al giorno. Una ricerca negli Usa indica che nel mondo corporate il linguaggio scurrile è in aumento, specie tra i millennial. Più che parlare come un (bistrattato) cavallante, dovremmo dire: parlare come un banchiere?

Michele Farina sul Corriere a pagina 26

Dimmi come insulti e ti dirò che italiano sei

Francesco Merlo su repubblica a pagina 34

L’ insulto stuzzica, friccica e attizza la morbosità che spesso (sempre?) accompagna l’indignazione, «come siamo ridotti, signora mia». Ormai gli italiani apprezzano l’uso di “cazzoculomerda” anche quando lo condannano: «zecca tedesca non si dice, però». Persino le insolenze di Salvini ai giornalisti, ieri a Valerio Lo Muzio oggi a Giorgio Mottola, solleticano il ridacchio corrivo. C’è sempre l’alibi di «non ci credo che siano arrivati a tanto» a spingerci a vedere e rivedere i video del turpiloquio, delle risse, godendone e censurandoli, frequentandoli e disprezzandoli da veri viziosi del moralismo. La repulsione diventa turbamento complice quando il racconto si dilunga sulle coltellate che hanno ucciso il carabiniere Mario Cerciello Rega, sulla profondità delle ferite, la lunghezza della lama, i litri di sangue. Alla fine chi legge (o guarda) non pensa più all’omicidio di un ragazzo che tutti avrebbero voluto come figlio, ma lampeggia e rabbrividisce per i dettagli dell’orrore e per il crescendo della nefandezza. Allo stesso modo, ingrandendo a dismisura i particolari di uno stupro, si entra di botto nell’indecenza e nella pornografia, sempre in nome della pudicizia violata e del cuore tenero. Quando il papà dell’assassino del carabiniere è arrivato in Italia invano abbiamo sperato che gli lasciassero il tempo di dominarsi, di raccapezzarsi. E meno male che Ethan Finnegan ha saputo resistere all’insana curiosità per l’albergo a 5 stelle dove alloggiava, e quanto guadagna al mese, e cosa si prova in California ad avere un figlio così. Una volta sarebbe stato superfluo spiegare che “zingaraccia” era peggio di un insulto e tanto più se quella donna fosse davvero colpevole di qualcosa. Salvini per una volta non ha infatti usato una parolaccia, ma un concetto per inchiodarla all’abiezione sociale, per mostrare che le colpe non sono sue ma della sua “razza”. Se un signore nero rovinosamente vi tamponasse e voi perdeste il controllo, gli gridereste “negraccio” o «scemo, guarda cosa hai fatto?». Si misura con l’audience il piacere di guardare i programmi politici costruiti per insultare o far litigare, e i Reality dove due belle ragazze, costrette in case-gabbie, si strappano i capelli. Ed esecrare il giovanotto che in diretta tv ha detto cornuto al vecchio è un modo di parlarne di più per goderne meglio. Alla fine ti fanno pure credere che gli eventuali tuoi rimescolii e ribollimenti siano la resistenza patetica e malata alla modernità che sarebbe alimentata dal fascino della gogna. Ed è più pruriginoso mettere alla gogna una papessa: una volta c’era la Boldrini; anche la Fornero è ormai un insulto datato; resistono la Boschi e la Carfagna: che piacere difenderle sceneggiando le offese, farne esecrato spettacolo. Ecco: se volete conoscere e capire un italiano di oggi cercate quali vizi gli sembrano più odiosi negli altri. Avrete trovato le linee di forza dei vizi suoi e delle sue vertigini

Francesco Merlo su repubblica a pagina 34

10 cio

Il Comitato olimpico scrive: meglio cambiare quella legge. La lettera ai membri Cio italiani: suggerite al governo di modificare la riforma. Altrimenti… (Corriere p.41).

Al Comitato olimpico internazionale (Cio) non va giù la legge diriforma dello sport, attualmente all’esame del Senato. A Losanna, sede del Cio, presieduto da Thomas Bach, hanno studiato il testo legislativo ispirato dal sottosegretario allapresidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti in collaborazione con il collega e omologo di 5 Stelle Simone Valente (ma non c’è dubbio che l’ideologo principe della rivoluzione dello sport italiano sia l’uomo di governo leghista) e hanno trovato diversi punti da correggere, perché non rispettosi della Carta Olimpica. Proprio come aveva anticipato Giovanni Malagò nell’audizione al Senato. E il Noc relations, dipartimento del Cio guidato dallo spagnolo Pere Mirò, che coordina il lavoro e le comunicazioni conicomitati olimpici sparsi per il mondo, ha preso carta e penna e stamane invierà una lettera ai membri Cio italiani, Franco Carraro, Ivo Ferriani e Giovanni Malagò. Non certo per augurare buona vacanza, ma per rivolgere loro un invito pressante affinché si facciano parte responsabile presso il governo e le altre istituzioniitaliane,perché la riformanonvenga approvata così com’è. Il Cio chiede che sia modificata. Per Losanna sono almeno 6ipunti da rivedere. Se questo suggerimento diplomatico non venisse raccolto dal governo e dalle parti politiche interessate, se fosse interpretato come una intromissione, una invasione di campo, si aprirebbe un contenzioso dagli sviluppi imprevedibili. Sicuramente gravi. Il Cio potrebbe mettere sotto indagine il Coni, fino a sospendere l’Italia, come ha già fatto recentemente con India e Kuwait. Meglio non pensarci, meglio evitare.

Cio, no alla legge ora l’Italia rischia. In arrivo la lettera di Bach. Possibile una sospensione con gli azzurri a Tokyo solo come indipendenti. Torna in dubbio pure Milano-Cortina 2026 (Repubblica p.41).

Bocciata. La legge di riforma dello sport italiano non è gradita al Comitato Olimpico Internazionale. La lettera in cui il giudizio viene espresso ufficialmente dal Cio non è ancora arrivata, ma è questione di ore, forse oggi stesso sarà a Roma con tutte le conseguenze che un verdetto del genere può comportare. Addirittura – nel peggiore dei casi – la sospensione dell’Italia all’interno del Cio, con la partecipazione degli azzurri alle Olimpiadi solo come atleti indipendenti sotto la bandiera del Comitato Olimpico (come avvenuto al Kuwait a Rio 2016). Una conseguenza, appunto, estrema, che prevede vari step prima di arrivare ad un esito così pesante. È certo però che non esiste più la stessa fiducia tra il Cio, in primis col presidente Bach, e l’Italia che ha conquistato le Olimpiadi invernali mettendo in campo una squadra apparentemente solida tra istituzione politiche e sportive. Le pressioni del Coni su Losanna per ottenere un giudizio sulla legge di riforma sono andate a buon fine. La lettera dovrebbe arrivare proprio nel giorno in cui al Senato si vota sul disegno di legge in materia di ordinamento sportivo già approvato dalla Camera. In quel testo si nascondono i motivi del dissidio: in alcuni punti i legali di Bach hanno ravvisato incompatibilità con l’articolo 27 della Carta olimpica e il quinto principio dell’olimpismo. La legge non garantirebbe l’autodeterminazione del Coni – referente del Cio per quanto riguarda l’Italia – nel definire la sua struttura e la sua governance. Sarebbero “inconstituzionali” riunioni come quella della settimana scorsa, in cui solo i segretari dei Comitati regionali del Coni sono stati convocati da Rocco Sabelli, presidente-ad di Sport e Salute che gestisce i fondi pubblici al posto del Foro Italico, escludendo i presidenti che fanno capo al Coni. Il grande avversario del numero 1 del Coni Malagò non è l’ex manager di Alitalia, ma il sottosegretario leghista Giorgetti grande ispiratore di una riforma tutt’altro che condivisa. Un colpo di mano che potrebbe avere conseguenze anche su Milano-Cortina 2026 se gli svedesi si appellassero al Cio. Ironia della sorte, proprio ieri sono stati annunciati finanziamenti di 2 milioni per 16 eventi sportivi da parte della presidenza del Consiglio. Ma intanto non si sa sotto quale bandiera sfilerà l’Italia a Tokyo.

ESTERI

1 Hong kong

Hong Kong in sciopero e il caos totale. Cosa farà la Cina? (Corriere p.12). I manifestanti mettono in difficoltà gli agenti. Usati proiettili di gomma: 82 arresti. Bloccati aerei e metro: lo sciopero generale paralizza Hong Kong. Squadre di uomini legati alle triadi hanno attaccato i cortei con bastoni. Le autorità di Pechino annunciano “qualcosa di nuovo” per la città.La governatrice Lam “Chi protesta sfida la sovranità nazionale del Paese” (Stampa p.2).

Hong Kong è paralizzata e i manifestanti vincono la scommessa contro le autorità. Lo sciopero generale doveva essere il banco di prova del sostegno che gli attivisti avevano nella città-Stato e l’azzardo ha avuto successo: più di cento voli cancellati, la metropolitana ha chiuso e gli autobus si sono fermati. La maggior parte dei dipendenti pubblici ha incrociato le braccia. L’ultima volta che Hong Kong aveva visto uno sciopero generale era ancora colonia britannica. La polizia, in difficoltà,

Stampa p.2

Era il 1980 quando gli studenti sudcoreani si opposero alla dittatura Il motivo che si ascoltava allora è stato ripreso nell’ex colonia britannica Dalla Corea alla città-Stato Una canzone guida la rivolta

Stampa p.2

Hong Kong senza tregua Scioperi, scontri e arresti “Situazione pericolosa”

Treni e metropolitana bloccati, almeno 200 voli cancellati, strade chiuse e scontri tra manifestanti e polizia in diverse zone della città. Dopo settimane di proteste, lunedì la tensione a Hong Kong ha toccato livelli di allerta, con la città paralizzata dallo sciopero generale indetto dal movimento pro-democrazia e una situazione che la governatrice filo cinese Carrie Lam ha definito «molto pericolosa». La polizia ha risposto alle barricate dei manifestanti con decine di arresti, 82, che portano a 500 il numero delle persone fermate dall’inizio delle manifestazioni. È la più grave crisi

Repubblica p.18

2 Kasmir

L’India toglie l’autonomia al Kashmir. Il Pakistan: “Pronti a qualsiasi azione”. Il premier Modi revoca lo statuto speciale alla regione a maggioranza musulmana contesa da quasi 70 anni (Stampa p.5).

Le due potenze atomiche dell’Asia del Sud sull’orlo di un conflitto diretto

ROBERT BAER L’analista ex agente Cia: l’atomica resta un deterrente “Ora gli integralisti colpiranno ma non si arriverà a una guerra”. Cancellare l’indipendenza è una chiara ritorsione di Nuova Delhi nei confronti di Islamabad

L’ articolo 370 della Costituzione indiana, che il governo integralista hindu del primo ministro Narendra Modi ha appena sostanzialmente abrogato, era un cerotto che da 69 anni nascondeva malamente una ferita mai sanata. Lo statuto speciale concesso da Dehli al Kashmir, stato a maggioranza musulmana al confini con il Pakistan, era permanentemente provvisorio, come hanno riconosciuto diverse sentenze della Corte suprema indiana. Un nodo che era bene non sciogliere. Si riapre ora, con tutti i timori di un confronto tra due potenze nucleari, la questione dello stato indiano autonomo ai piedi del Karakorum, quello che i pachistani chiamano IoK (Indian Occupied Kashmir). Per

Stampa p.5

Via l’autonomia al Kashmir L’India infiamma il Pakistan Cambiata la Costituzione e cancellati 70 anni distoria. Khan:situazione esplosiva

Corriere p.12

Kashmir L’India revoca l’autonomia Così si riaccende la polveriera

Stato isolato: sospese le comunicazioni e imposto il coprifuoco Il Pakistan protesta

“Ora nessun accordo è più inviolabile e sono a rischio anche altre province”

Gli indipendentisti non lo accetteranno Ma i residenti potrebbero averne vantaggi economici

Repubblica p.12

Il Kashmir conteso tra India e Pakistan Il duello delle atomiche

Federico Rampini su Repubblica a pagina 30

DAL CONFINE INDIA-PAKISTAN ALLA CINA VENTI BRUTALI GIANNI RIOTTA

5.565 chilometri separano Milano Marittima e la spiaggia del Papeete dalle giogaie di Jammu e del Kashmir, frontiera nucleare tra India e Pakistan, da anni considerata il luogo più pericoloso del pianeta.

Troppi perché l’opinione pubblica italiana esca dal torpore provinciale e si accorgano dei venti brutali dell’estate 2019. Il governo indiano del presidente nazionalista hindu Narendra Modi ha abrogato la clausola costituzionale, articolo 370, che dal 1947 garantiva ai musulmani degli antichi principati di Jammu e Kashmir autonomia e diritti locali. Era un patto stipulato nei giorni tumultuosi dell’indipendenza dalla Gran Bretagna, quando l’India hindu si separò dal Pakistan musulmano, con due milioni di morti, secondo alcune stime, e oltre 15 milioni di profughi. Il venerato leader Jawaharlal Nehru comprese che senza un compromesso restavano solo due genocidi opposti, tra paesi che presto si sarebbero dotati di ordigni nucleari, ma neppure l’articolo 370 ha impedito tre guerre tra India e Pakistan e una perenne tensione di guerriglie e terrorismo, costata 45.000 morti, nel Kashmir che entrambe le potenze asiatiche rivendicano. Dopo il trionfo elettorale di maggio, Modi ha dettato al suo partito Bharatiya Janata (partito del Popolo Indiano) la linea dura in Kashmir. Modi sa che il tasso di crescita del 7% non basta a soddisfare le popolazioni ancora in miseria e, parlando di sviluppo del Kashmir, dove è oggi difficile investire per i fondi internazionali, cela il progetto populista dell’azzardata manovra: sollevare spiriti patriottici e religiosi contro il Pakistan musulmano e accentrare il potere. Come Vladimir Putin in Russia e Xi Jinping in Cina, Narendra Modi prende atto che l’equilibrio della Pax Americana del dopoguerra è finito, con il presidente Trump a curare la sua agenda interna e l’Europa troppo divisa per fungere da alternativa. Vuole, a sua volta, farsi “uomo forte” e nazionalizzare il Kashmir è un primo passo, decisivo e senza ritorno. Il Pakistan si opporrà, “ogni soluzione pacifica è finita” dichiara il portavoce del governo di Islamabad, e nella più popolosa democrazia della Terra, l’India, chi dissente, come l’ex ministro Mehbhooba Mufti, finisce in galera. Una distanza ancor maggiore, 9.272 chilometri, divide le spiaggette della politica italiana da Hong Kong, metropoli di mercati asiatici, in piena rivolta contro il tentativo cinese di cancellare le autonomie concordate al momento del ritorno alla madrepatria, dopo decenni di colonialismo britannico. Scontri, manifestazioni, comizi online oppongono giovani, intellettuali, professionisti al governo locale ligio al presidente Xi Jinping, deciso a imporre una legge arcigna per processare in Cina ogni cittadino, anche solo di passaggio, da Hong Kong. Trenta anni dopo la strage di piazza Tienanmen, il caso diventa braccio di ferro per la libertà e sorprende il partito comunista a Pechino, costringendolo a mobilitare l’esercito al confine, mentre la guerra commerciale con Trump fa precipitare la valuta renminbi sotto la soglia cruciale di 7 sul dollaro e Hong Kong è network indispensabile per difendersi dai dazi. Il mondo cerca, tra repressione rampante e slanci democratici perfino a Mosca, nuove egemonie e alleanze, la Corea del Sud si scontra col Giappone, il Vietnam con l’ancestrale nemico cinese sui giacimenti petroliferi offshore, la Marina Usa pattuglia al largo di Taiwan, Putin accetta la condizione di vassallo di Xi e organizza manovre militari congiunte, spaventando i coreani di Seul, mentre il dittatore nordcoreano Kim Jong-un flirta con Trump ma non disarma il programma nucleare. L’80% delle merci passa, giorno dopo giorno, dalle acque del Mar Cinese Meridionale, conteso tra Pechino e Washington, il collo di bottiglia del petrolio nello stretto di Hormuz vive un’estate di schermaglie tra iraniani, inglesi e americani: in un paese povero di energia e affamato di export come l’Italia, le crisi asiatiche dovrebbero appassionarci. Invece ignoriamo i diktat di Modi in Kashmir, disprezziamo la nobile battaglia dei patrioti di Hong Kong in cambio di risibili mance cinesi, ci illudiamo di difendere i nostri interessi strategici e economici con i Pulcinella alla Savoini. Il mondo grande e terribile rifonda gli assetti del XIX secolo, l’Italia si ritrova senza i fedeli amici di un tempo e con troppi nuovi padroni, esosi nel dettar legge, senza concedere diritto di replica alla politica del Papeete. Facebook riotta.it—

3 Bomba al cairo

Il Cairo, autobomba fa strage all’ospedale. Al Sisi: “Terroristi, è stata la Fratellanza”. La vettura è esplosa davanti al Cancer Institute: 20 morti e 47 feriti. É il quarto attacco da inizio anno (Stampa p.10).

Autobomba contro l’ospedale Torna la paura al Cairo: 20 morti Sospettisu un gruppo considerato vicino ai Fratelli musulmani. Al Sisi: «Atto codardo»

Corriere p.10

4 Trump stragi

Discorso alla nazione dopo le sparatorie di El paso e Dayton. Trump risponde ai massacri “Pena di morte a chi compie reati d’odio e stragi di massa”. Condanno razzismo, bigottismo e suprematismo bianco. Queste ideologie devono essere sconfitte. Il Messico minaccia azioni legali contro gli Usa: “Non ha protetto i nostri cittadini” (Stampa p.10).

Stragi di massa, ora Trump invoca la pena di morte

Messaggero p.11

«Combattiamoilsuprematismobianco» TrumpdopolestragiinTexaseOhio:colpadeidisturbimentali,nondeifucili.Obama:bastaparoled’odiodaileader

«Dietroislamistienazionalisti giovanifallitiedisadattati Sullearmicistiamosvegliando» IlPulitzerWarrick: gesti estremi,ma riflettonomentalità diffuse

Corriere p.11

5 petroliera

Johnson si unisce agli Stati Uniti nella missione nel Golfo Persico (Stampa p.17).

La Gran Bretagna ha annunciato che sarà a fianco degli Stati Uniti nella missione navale a protezione delle navi mercantili nel Golfo Persico. Una mossa a sorpresa, dopo il rifiuto di Francia e Germania, con la quale Boris Johnson si riallinea a Donald Trump nella sfida della cosiddetta «guerra delle petroliere» con l’Iran, e accantona definitivamente i piani di una missione a guida euro

6 Libia

Raid di Haftar sulla festa di nozze 43 vittime. Non si ferma il fiume di sangue in Libia (Stampa p.17).

Sono almeno 43 i civili uccisi, tra cui diversi bambini, in un bombardamento delle forze del maresciallo Khalifa Hatar in una zona residenziale di Marzuq, roccaforte dei miliziani Tebu, 900 km a Sud di Tripoli. I raid, che sarebbero stati almeno tre secondo i testimoni, hanno centrato «una festa di nozze», colpendo un edificio governativo nel distretto di Qalaa, dove erano riunite circa 200 persone. «Nessuno era armato», affermano fonti locali e del governo di unità nazionale, smentendo che nel mirino fosse finita la festa di matrimonio. Immediata la condanna del leader del governo di unità nazionale, Fayez al Sarraj: ha chiesto ancora una volta che sia aperta una indagine dell’Onu per «crimini di guerra» contro Haftar. La condanna di Europa

Stampa p.17

Raid di Haftar fa strage “Oltre quaranta uccisi durante un matrimonio”

La morte è arrivata dall’alto domenica a Murzuq, nella Libia di sudovest: le forze aeree di Khalifa Haftar hanno bombardato il luogo che – sostiene la tv satellitare Al Jazeera – ospitava un matrimonio (secondo altre fonti era invece un incontro delle organizzazioni civiche), uccidendo almeno 42 persone e ferendone una sessantina. Alcune fonti parlano anche dell’uso di un drone, come quello abbattuto dalla contraerea del governo di Tripoli sabato scorso. I caccia dell’ “uomo forte” della Cirenaica volevano colpire “mercenari ciadiani”, cioè membri della tribù Tebu fedele al governo di Al Serraj, riconosciuto dalle Nazioni Unite. Da quando è partita l’offensiva di Haftar verso la capitale, il 4 aprile scorso, sono almeno 1100 le persone uccise. Intanto la diplomazia va avanti nei suoi sforzi. L’inviato dell’Onu Ghassan Salamé ha proposto un cessate-il-fuoco per la festa religiosa dell’Eid al Adha, che parte l’11 agosto, ma pochi si illudono che la tregua possa durare. Il presidente francese Emmanuel Macron ha incontrato l’egiziano Abdel Fattah al Sisi: entrambi sponsor di Haftar, hanno concordato sulla richiesta di una tregua il prima possibile.

Repubblica p.18

7 Europa

Il primo successo di Salvini e Di Maio Grazie agli anti europeisti, l’Europa non è mai stata così amata in Italia E’ forse il caso di dire che in Italia per amare, o quantomeno apprezzare, un po’ di più l’Europa serviva un governo euroscettico (Foglio p.3).

L’Eurobarometro, il sondaggio periodico della Commissione europea, effettuato dopo le ultime elezioni, afferma che “l’Unione europea è vista in una luce più positiva che in qualsiasi momento degli ultimi dieci anni”. Questo nel complesso dei 28 paesi membri, mentre per l’Italia i giudizi sono più negativi, al di sotto della media. In ogni caso il trend è in crescita, nel senso che gli italiani hanno un giudizio migliore. Ad esempio la fiducia nell’Unione europea è adesso al 37 per cento, in aumento di un punto, mentre la sfiducia è ferma al 55 per cento. Prevalgono i giudizi negativi, quindi, ma la situazione è migliore rispetto a ciò che riguarda le istituzioni nazionali: la fiducia nel Parlamento italiano è ferma al 31 per cento (sfiducia al 64) e quella nel governo al 30 (sfiducia al 66). Inoltre il 56 per cento degli intervistati si dice ottimista sul futuro dell’Unione europea; la percentuale degli italiani che ha un’immagine negativa dell’Ue è scesa di 7 punti percentuali rispetto allo scorso autunno e quella che ha un’immagine positiva è salita di 3 punti. Anche le risposte sul funzionamento della democrazia nell’Ue sono positive: il 52 per cento degli italiani si ritiene soddisfatto (in aumento di 10 punti rispetto allo scorso autunno). Infine persino l’appoggio all’euro, che è stato descritto dalla Lega e dal M5s come l’origine di tutti i mali dell’economia italiana, è forte e più di prima: il 65 per cento degli italiani è favorevole all’Unione monetaria (in aumento di 2 punti), in un contesto in cui l’approvazione per la moneta unica è salita nell’Eurozona al 76 per cento, il livello più alto dal 2004. Il nostro paese rimane tra i meno euroentusiasti, con giudizi positivi spesso inferiori alla media, ma è bastato un anno di governo euroscettico e di scontri con la Commissione europea per far apprezzare di più le virtù dell’Unione europea. Non era un obiettivo presente nel contratto di governo, ma è sicuramente il miglior risultato ottenuto – in maniera del tutto involontaria – da Di Maio e Salvini.

L’IDENTITÀEUROPEARESISTE

Giovanni Pitruzzella sul Corriere a pagina 26

I valori che si riassumono nella formula «Stato di diritto» sono sempre di più al centro dell’azione delle istituzioni europee. Pensiamo a tre fatti recenti: la Corte di giustizia dell’Unione europea ha ritenuto in contrasto con il diritto dell’Unione una legge polacca che, prevedendo il pensionamento anticipato di numerosi giudici e rimettendo al potere insindacabile del presidente della Repubblica la decisione se mantenere alcuni di essi in servizio, di fatto comprometteva l’indipendenza del potere giudiziario; la nuova presidente della Commissione europea si è impegnata a realizzare forme efficaci di tutela dello Stato di diritto, per esempio negando l’accesso ai fondi europei a quei Paesi che lo mettono a rischio; il nuovo Parlamento europeo ha confermato il parere favorevole allanomina al vertice della Procura europea di Laura Kövesi, una magistrata romena simbolo di imparzialità nel contrastare gli abusi del potere politico.Questifatti siricollegano a tendenze più di fondo dell’integrazione europea, come il rilievo assunto dalla Carta dei diritti fondamentali nella giurisprudenza dei giudici europei ed ilriconoscimento dell’indipendenza del potere giudiziario in ciascuno Stato come principio fondamentale dell’ordinamento dell’Unione. Stato di diritto, Rule of law, Staatsrecht, sono concetti che hanno caratterizzato la storia dei nostri Stati fornendo i tratti di un’identità comune che ha concorso a definire l’Europa, distinguendola rispetto ad altri spazi geopolitici. In tutti i 28 Stati membri i cittadini sono titolari di diritti che possono fare valere anche nei confronti dei poteri pubblici, a garanzia di questi diritti possono contare su giudici indipendenti, il potere politico non è onnipotente, ma deve obbedire alla legge e rispettareiloro diritti. Tutto ciò non è scontato, può essere minacciatoeanche perduto. L’Unione europea ha, tra l’altro, il compito di garantire questo patrimonio costituzionale. Non solo perché questo compito è scritto nei Trattati, ma perché neifatti le istituzioni europee si sono date carico della salvaguardia dei valori dello Stato di diritto, anche quando il governo di uno Stato li ha momentaneamenteminacciati, come dimostra ilrecente caso polacco. L’«Europa è in crisi» è il mantra che ha accompagnato le opinioni pubbliche negli ultimi anni. Certamente non mancano le critiche nei confronti di alcune delle sue politiche, eppure le recenti elezioni del Parlamento europeo hanno dimostrato che l’Unione è ancora vitale e che riesceamantenere un buon livello di consenso in numerosi Paesi. C’è una specie di contraddizione tra l’insufficienza di molte politiche europee e l’attaccamento che, pur in un contesto comunicativo dominato dalle critiche all’Europa, la maggioranza dei cittadini ancora mantiene con l’Unione. Per spiegare questo dato, si può avanzare la seguente ipotesi: c’è una casa comune europea di cui i cittadini degli Stati sentono, bene o male, difar parte, anche quando sono insoddisfatti nei confronti di specifici interventi dell’Unione. Insomma, esiste un’identità europea che va ben oltre le singole politiche, la quale è fatta di valori condivisi e affonda la sua radice nelle tradizioni costituzionali comuni ai popoli europei. Identità nazionali e identità europea possono così coesistereenutrirsi a vicenda, come dimostra non solo la già rilevata centralità dello Stato di diritto, ma tanti altri aspetti, come, per esempio, quell’«economia sociale di mercato» che differenzia l’esperienza europea da quella di altri grandi spazi politici e economici, dominati o dal fondamentalismo di mercato (gli Usa) o dal capitalismo di Stato (la Cina). Per superare i venti di crisi che ancora soffiano forti in Europa è necessario mettere in cantiere politiche adeguate alle sfide attuali, ma anche ricordare quei valori comuni che delineano una specifica identità europea.

8 cina e Russia

Il vero peso di Cina e Russia. L’editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere.

C on la fine dei vecchi schieramenti internazionali e l’indebolimento delle antiche alleanzeèemersa in pieno la fragilità dell’Italia. Di un Paese facilmente percepito all’esterno come privo dell’indiscutibile autonomia e anche di quel sentimento della propria indipendenza che solo l’esistenza di un’autentica classe dirigente rappresenta e garantisce davvero. Evidentemente però la classe dirigente italiana, a cominciare da quella politica, è lungi dal dare questa impressione (o forse è l’Italia intera che in un certo senso non la dà?), ed ecco allora in questi ultimi tempi avvicinarsi dalle nostre parti russi, ungheresi, cinesi, ognuno peril proprio tornaconto, ognuno con le proprie mire. Com’era prevedibile l’opinione pubblica italiana non sta reagendo a questi tentativi in modo univoco. Perlopiù reagisce ancora e sempre, infatti, in base al modello tipico della partigianeria nostrana dei due pesi e due misure. Ma stavolta nell’applicazione di questo modello essa è aiutata da un importante elemento nuovo: la grande diversità delle strategie messe in campo dai vari Paesi desiderosi di ottenereorafforzare la loro «amicizia» con l’Italia o con alcuni suoi esponenti. Le quali strategie sono all’incirca di due tipi distinti: quella adottata per questa occasione dairussi da un lato, e quella scelta dai cinesi dall’altro

A l fine di guadagnarsi sos tenitori in casa nostra i russi, significativamente, hanno ritenuto inutile ricorrere nella Penisola ai sofisticati metodi d’intervento elettronico come quelli adoperati per le elezioni Usa, ripiegando invece sul molto più tradizionale esborso di quattrini. In piena armonia con il loro glorioso passato sovieticoei metodi di allora, hanno proceduto all’elargizione-trasferimento di rubli. Al massimo, a quel che sembra, impiegando la solita finta intermediazione commerciale, dunque con l’inevitabile intromissione di un sottobosco di mezze tacche, di bru bru i quali — non esistendo più i marmorei Compagno G di cui poteva disporre il Pci — aprono puntualmente la strada a inevitabili catastrofi mediaticogiudiziarie. Quanto ai destinatari delle erogazioni in questione, i russi hanno confermato una certa loro mancanza di fantasia. Secondo tutti gli indizi, infatti, il beneficato di Moscaèstato il più prevedibile, cioè la Lega (quindi con Salvini molto probabilmenteaconoscenza d’ogni cosa); il più prevedibile in quanto da tempo in piena sintonia politica con la Russia,favorevole in ogni occasione ai suoi obiettivi, nonché simpatizzante esplicita di Putin e del suo stile di governo. Tutte cose che a giudizio di molti (compreso chi scrive) solo un bel gruzzolo di soldi può giustificare. Da qui lo sputtanamento inevitabile della Lega medesima e del suo leader «al soldo dello straniero». Che differenza con la Cina! Anche la Cina ha da tempo messo l’Italia nel mirino: a quel che si capisce con obiettivi anche più ambiziosi, assai più ambiziosi, di quelli di Mosca. Ma essendo ben più ricca, disponendo di un’enorme massa di consumatori, avendo un’economia pienamente inserita a tutti i livelli nel sistema capitalistico mondiale, può fareameno di comprare la propria influenza infilando mazzette di yuan nelle ventiquattrore di qualche italiano. Pechino invece offreatutti principalmente di fare ottimi affari e un mucchio di quattrini. Da un lato, infatti, con le sue centinaia di milioni di cittadini neo-benestanti essa costituisce un mercato vastissimo e appetitoso per qualunque azienda desideri vendere qualcosa; dall’altro, grazie alle sue centinaia di milioni di operai sottopagati e privi di qualunque tutela sindacale, non solo importare dalla Cina significa importareaprezzi assai vantaggiosi, ma egualmente vantaggiosissime sono le condizioni che es

sa può offrireaun’azienda occidentale che voglia trasferire lì la propria produzione. Non è finita. La Cina, infatti, si presenta come il Paese di Bengodi pure per chi non è interessatoavendere, a comprareefabbricare, essendo pratico esclusivamente del mondo delle idee e dei libri. E infatti a intellettuali noti e meno noti, ad accademici affermati, a ex politici trasformatisi in conferenzieri, ad artisti, a scrittori così come a scienziati, gli intelligenti dirigenti di Pechino sono da anni larghissimi di inviti, di occasioni di viaggi e di visita, con un’accoglienza sempre attentissima e senza badareaspese. Accompagnata spesso da ricchi cachet. Il risultatoèche intrattenere rapporti con la Repubblica popolare cinese eisuoi gerarchi, commerciare con essa, manifestarle i più caldi sentimenti di ammirazione e di amicizia, dare vita a comuni iniziative d’ogni tipo, anche culturali, tutto ciò è da tutti considerato assolutamente giustoeappropriato, consono a un sano principio di collaborazione tra i popoli. In una parola, democraticamente irreprensibile. E di conseguenza, ad esempio, si può decidere tutti d’accordo di aprire l’economia italiana a investimenti cinesi senza alcun controllo, di far comprare alla Cina o darle in appalto porti o pezzi di porti, di farle costruire quello che vuole, d’inserire la Penisola nella sua rete planetaria d’influenza dal grazioso nome di «via della seta». Per apprezzare nella giusta misura l’entità del successo di una tale politica di penetrazione e d’influenza basta immaginare per un attimo che cosa succederebbe se, invece che dalla Cina, essa fosse attuata, mettiamo, dall’Ungheria. Eppure l’Ungheria di Orbán è un Paese incommensurabilmente più libero della Cina di Xi Jinping. È un Paese dove i diritti umani sono in larga parte rispettati laddove in Cina essi sono altrettanto sistematicamente violati, laddove in Cina, com’è universalmente noto, il gulag prolifera, non viene tollerato il minimo dissenso, le esecuzioni capitali si contano a migliaia e—non mi sembra un dettaglio proprio insignificante — si pratica una vera e propria politica genocidiaria e di persecuzione religiosa nei confronti degli uiguri musulmani e dei tibetani buddisti. Eppureadispetto di tutto ciò, in barba a ogni dato di fatto, agli occhi di una parte importante dell’opinione pubblica italiana (ma non solo, non solo), intrattenere rapporti con l’Ungheria di Orbán, non parliamo con Orbán in persona, è considerato un fatto politicamente ambiguo, il sintomo di per sé di uno spirito autoritario, il prodromo possibile di chissà quali propositi liberticidi. Con la Cina, al contrario, nessun problema. Conclusione? Oggi per acquisire in Occidente amicizie che contano e influenza senza colpo ferire non basta disporre di molte risorse. È necessario essere capaci di agire su un vasto fronte, essere disposti a largheggiare in molte direzioni. Per comprarne uno bisogna non darlo a vedereesoddisfarne almeno cento.

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GIUSTIZIA

1 Caselli

Processi più rapidi: aboliamo l’appello. Il commento di Gian Carlo Caselli sul Fatto (p.13).

Purtroppo, nel nostro Paese la questione dell’eccessiva lunghezza dei procedimenti si trascina da tempo ed è sempre più acuta. Sappiamo, e non vanno sottovalutati, i sentimenti di angoscia, ira e delusione che provoca l’attesa interminabile del riconoscimento delle proprie ragioni, spesso riguardanti beni fondamentali. Bonafede ha il merito di (ri)provarci, nonostante l’ostilità di quanti – gira e rigira – per salvaguardare certi interessi hanno come obiettivo non “più” ma “meno” giustizia. Si deve però avere l’audacia e il coraggio di affrontare il problema della riforma della giustizia –una buona volta – non con aggiustamenti ma con decisione e scelte radicali veramente innovative. La mia idea è di abolire il grado di appello. È vero che negli ordinamenti con un sistema processual-penale di tipo accusatorio di regola c’è un solo grado di giudizio nel merito, con eventuale ricorso a una suprema corte? È vero che anche in Italia è stato introdotto nel 1989 un sistema di tipo accusatorio? La risposta alle due domande è Sì. Allora, perché soltanto nel nostro Paese si registrano ancora più gradi di giudizio nel merito? Eliminare questa anomalia è una questione di sistema. L’obiezione è che diminuirebbero le garanzie. Ma la vera garanzia sta in un processo breve che possa puntare a una giustizia certa. Non in un processo che è diventato un percorso a ostacoli, pieno di trabocchetti, infarcito di regole che in realtà non sono garanzie ma insidie formali.