Buongiorno a tutti. La crisi su tutto. Salvini prova ad accelerare e presenta una mozione di sfiducia a Conte mentre partono le grandi manovre del partito anti-elezioni. La Lega teme una trappola Pd-M5S. I grillini frenano, voci di contatti tra renziani e Movimento. E intanto lo spread sale e la Borsa scende mentre tutti guardano con preoccupazione alla bomba atomica dei 23 miliardi di Iva da disinnescare. Costerebbe 541 euro a famiglia dice il Sole. Anche oggi sono tantissimi i commenti. Buona lettura a tutti.
La data del voto. Scontro sulla sfiducia. Partono le manovre del partito anti-elezioni. Il vicepremier vorrebbe accelerare al massimo, i grillini frenano. Hanno aperto canali coi renziani. In campo anche Gianni Letta. Renzi: «Non possiamo far aumentare l’Iva per lo sghiribizzo di Salvini» (Stampa p.2). Convocati a Roma per lunedì i parlamentari leghisti, la corsa del leader per la sfiducia a Conte. E attacca: «Sento che ci sono toni simili tra Renzi e Di Maio». La replica del Movimento: «Un giullare». Ora è scontro per la data del voto Salvini evoca l’inciucio M5S-Pd (Corriere p.2). Sfiducia dopo Ferragosto. I dubbi del Quirinale su elezioni a novembre. La data più probabile per la resa dei conti in Senato è il 20 agosto. Mattarella preoccupato: se le urne ritardano è a rischio il varo della legge di bilancio (Repubblica p.2). Tra 631 “matricole” alla prima legislatura e non ricandidabili, il partito anti urne. Grillini, renziani e forzisti insieme in senato avrebbero la maggioranza (Messaggero p.6).
Le manovre del partito anti-elezioni. Ugo Magri sulla Stampa a pagina 2. More
Il governo giallo-verde è defunto, ma sulla data delle esequie si sta scatenando una strana guerra che nasconde tutt’altro. Da una parte c’è Salvini, scatenatissimo, il quale non vede l’ora di seppellire il governo Conte e preme per un dibattito parlamentare da tenere quasi in tempo reale, mercoledì prossimo in Senato. Il “Capitano” sostiene che urge tornare alle urne quanto prima perché ogni pigrizia si ripercuoterebbe sulla manovra economica di autunno, col risultato che il futuro governo non farebbe in tempo a vararla entro fine anno e a quel punto scatterebbero in automatico i temuti aumenti dell’Iva, dal 22 al 25 e dal 10 al 13 per cento. Sulla scia del leader, i leghisti hanno presentato una mozione di sfiducia contro il governo, per mettere con le spalle al muro chi volesse menare il can per l’aia. Atto finale il 20 agosto Dall’altra parte invece c’è un variegato fronte guidato dai Cinque stelle che, diversamente da Salvini, vorrebbe celebrare una cerimonia con tanto di banda e commemorazioni funebri; per cui puntano i piedi per prendersi una settimana in più. Ciò permetterebbe ai tanti onorevoli in vacanza di rientrare nella Capitale assolata, senza rischiare l’oltraggio di un Parlamento mezzo vuoto. Ma ritardando il dibattito, e dunque le elezioni, non si rischierebbe di rendere inevitabile l’aumento dell’Iva? «Una settimana in più purtroppo non cambia nulla», rispondono i Cinque stelle, «la colpa sarà comunque di Salvini che ha aperto la crisi». Questo scontro sulle date verrà risolto lunedì dai capigruppo del Senato e martedì da quelli della Camera, appositamente convocati dai rispettivi presidenti. La previsione è che la spunteranno i Cinque stelle, con l’aiuto del Pd. Dunque l’atto finale del governo andrà in scena tra il 20 e il 21 agosto. Conte constaterà che non esiste più la maggioranza e a quel punto si dimetterà, senza nemmeno bisogno che venga votata la sfiducia nei suoi confronti, spalancando la strada a elezioni presumibilmente il 27 ottobre. Sempre tutto già scritto. Eppure, l’accanimento con cui i due fronti si stanno scornando induce al sospetto: vuoi vedere che sotto c’è altro? La fretta di Salvini nasce da un’ossessione: quella del Grande Inciucio ai suoi danni. L’uomo teme che la tattica del rinvio serva a preparare il terreno di un governo M5S-Pd, messo su apposta per impedirgli di andare alle urne e di bissare il trionfo delle Europee. Oggi quel governo non è maturo, con il blitz della crisi Salvini ha colto tutti di sorpresa, ma tergiversare per la Lega è un rischio mortale. Anche perché si moltiplicano i segnali di fumo tra la tribù grillina e quella renziana che un tempo si odiavano e adesso hanno la comune convenienza ad evitare il voto. I Cinque stelle verrebbero falcidiati; i renziani, nelle liste elettorali, verrebbero rimpiazzati dai seguaci del nuovo segretario Zingaretti che, guarda caso, sotto sotto è favorevole alle elezioni. Una maggioranza Renzi-Di Maio sarebbe da Guinness della disinvoltura; impossibile che possa presentarsi così. Ma se per caso spuntasse un governo tecnico, o del presidente, finalizzato soltanto a fare la manovra, e a impedire che l’Italia cada in mano a una destra anomala, in quel caso sarebbe meno “scandaloso” sostenerlo insieme. Aggiungendo un po’ di cani sciolti e pezzi di Forza Italia (dove l’immarcescibile Gianni Letta pare sia tornato in azione). Gli emissari sono al lavoro, contatti giustificati nel nome dell’emergenza democratica. A nessuno è sfuggita una dichiarazione di Renzi che l’altra sera metteva le carte in tavola: «Non possiamo far aumentare l’Iva per lo sghiribizzo di Salvini». Gli ha fatto eco Casaleggio jr: «Non si gioca d’azzardo con la vita degli italiani». Sottinteso: bisogna agire. Come? Lo spiega la vecchia volpe Casini: «Costruendo in Parlamento un percorso diverso da quello ideato dalla Lega». Ne vedremo delle belle.
L’inciucio. Trame e veleni sui tempi della crisi. Il Carroccio sospetta di Fico e Franceschini. L’esecutivo è in carica, gli alleati non si parlano (Corriere p.3). Quei contatti tra renziani e grillini per fermare le urne. Anche radicali, forzisti e altri dem nel fronte per un governo di scopo basato sulla riforma costituzionale. Ma c’è lo stop di Di Maio e Zingaretti. Goffredo De Marchis su Repubblica (p.3). Salvini scopre che il Pd è diviso sull’opzione di votare presto. Problemi. Zingaretti vuole le elezioni subito, come Salvini, i parlamentari del Pd meno. La guerra delle date e i triangoli con il M5s (Foglio in prima). Il Bullo è disperato e ci prova con i grillini. Nonostante i toni da battaglia di Renzi, i suoi aprono un canale con Di Maio. Marcucci: «L’unico incubo è il Capitano premier». La trappola: anticipare la sfiducia a Salvini rispetto a Conte e allontanare le urne. E colpire il segretario dem che vuole il voto. Luca Telese sulla Verità (p.7).
Renziani e grillini per fermare le urne. Goffredo De Marchis su Repubblica a pagina 3. More
Il nome dell’alternativa al voto anticipato ci sarebbe: governo costituzionale. Legato alla riforma che taglia i parlamentari. I segnali pure. Gira nelle chat che contano un promemoria delle scadenze economiche dell’Italia per presentare i conti all’Europa ed evitare l’aumento dell’Iva. Matteo Renzi, l’altra sera in Toscana, ha detto che prima del voto viene la messa in sicurezza del bilancio e perciò un nuovo esecutivo in carica almeno fino alla fine dell’anno. Inevitabilmente con il M5S, il nemico di sempre. Contatti, rigorosamente informali, sono in corso. Non è sfuggito poi nei Palazzi il dettagliato programma di un futuribile governo dettato da padre Francesco Occhetta, influentissimo gesuita che si è appellato al mondo cattolico su questi punti: Finanziaria, riduzione del numero di deputati e senatori e una legge proporzionale. È una chiamata alle armi contro quello che potrebbe diventare il nemico comune: Matteo Salvini. In giro sono pochissimi quelli che scommetterebbero un euro sulla nascita di un altro esecutivo dopo Conte. La verità è che Salvini ha scelto i tempi giusti, ha portato a maturazione l’odio reciproco delle forze che dovrebbero unirsi contro di lui. Ma le cose possono cambiare in fretta e c’è tempo fino alla settimana che va dal 19 al 25 agosto. In quel periodo verrà calendarizzata al Senato la mozione di sfiducia della Lega contro il premier. Mancano dieci giorni e un fronte anti-voto sta prendendo corpo. Per mille motivi, diversi ma convergenti. C’è naturalmente chi vuole conservare la poltrona. Si guarda immediatamente alla pattuglia dei 5 stelle, nata sugli altari del 32 per cento, oggi ridotta alla cenere del 17 per cento delle Europee. Silvio Berlusconi ha minacciato Salvini: «Se vuoi un’alleanza devi dirmelo prima». Altrimenti i voti di Forza Italia sono a disposizione. Nel Pd Dario Franceschini non fa mistero di preferire una soluzione che metta insieme dem e grillini per arginare il pericolo leghista. I renziani, che vedrebbero ridotta ai minimi termini la loro pattuglia in caso di voto, sono usciti ieri allo scoperto con Gianni Dal Moro che ha ricordato le date della manovra economica concludendo: «Prima gli italiani dei leghisti». Ossia: no alle urne. Lo stesso Renzi, del resto, ha detto che occorre evitare lo «sghiribizzo» di Salvini che rischia di portare all’aumento dell’Iva. Eppoi c’è un argomento principe: se conviene a Salvini votare perché dovrebbe convenire agli altri? Non è un ragionamento su cui si può reggere una nuova maggioranza, ma è sufficiente per creare un’onda emotiva nella base dei partiti, dal Movimento 5 stelle al Pd, ai moderati di Forza Italia sulla base del pericolo vero tangibile di un Salvini pigliatutto, che governa da solo per 5 anni. Tra i grillini il meccanismo di sopravvivenza e di reazione al leader leghista si è messo in moto. Sotto traccia ma in maniera potente. Deputati e senatori hanno chiesto di essere ascoltati prima delle decisioni finali. Un M5S non dissidente come Steni Di Piazza ha lanciato l’idea di un esecutivo del «bene comune». Luigi Di Maio, per ora, vede solo la strada elettorale: «Non esiste nulla e basta». Il segretario dem Nicola Zingaretti idem, e lo ha spiegato a chi gli consiglia prudenza: «Fare un altro governo per cosa? Per intestarsi una legge di bilancio durissima?». Sono momenti difficili al Nazareno perché il dibattito è appena cominciato e le parole di Renzi hanno allarmato il leader. Franceschini ha chiamato Gentiloni per consigliare di pensarci bene prima di gridare «al voto al voto». Ci si son messi anche gli alleati di + Europa. «Se conviene a Salvini non conviene a noi», ha detto Marco Cappato. «Ho paura degli sviluppi putiniani», gli ha fatto eco Riccardo Magi. Il capogruppo dem al Senato, il renziano Marcucci, chiede che la mozione di sfiducia a Salvini sia messa in calendario insieme a quella a Conte. Sulla carta, un altro amo per un’intesa con il M5S. Naturalmente, un difficilissimo nuovo governo andrebbe vestito con l’abito buono lasciando nell’armadio le motivazioni più basse tipo poltrona e ricandidature. Allora lo smoking è questo: un esecutivo che porti a compimento la riforma costituzionale che taglia di 345 il numero dei parlamentari. Riforma cara ai grillini, in calendario in aula agli inizi di settembre. Se la legislatura finisce prima, la legge finisce nel cestino. Piccolo problema: finora il Pd ha sempre votato no al testo del governo. Ma in cambio il Movimento potrebbe dare al Pd la legge elettorale proporzionale (e questo allungherebbe la vita dell’esecutivo). In mezzo, più importanti, ci sono le misure economiche. Con questo vestito elegante ci si potrebbe presentare a Sergio Mattarella con una maggioranza dettata dal «percorso costituzionale». Tutta da costruire, in un clima sfavorevole. Ma c’è una certezza: dopo la sfiducia al Senato il capo dello Stato farà un giro di consultazioni. E il partito del non voto avrà un’altra finestra di tempo per riflettere.
Taglio dei parlamentari. La carta quasi impossibile che può far slittare tutto. Tentazione tra pentastellati e dem, ma serve un’ampia intesa. Se slittasse in avanti la seduta sulla sfiducia, si potrebbe convocare la Camera sulla riforma. Francesco Verderami sul Corriere (p.2). Patuanelli “Votiamo il taglio dei parlamentari con chi ci sta”. Salvini stacca la spina con le Camere già chiuse per non consentire a questa legislatura di approvare una riforma sacrosanta (Repubblica p.6).
Velleità grillina. Francesco Verderami sul Corriere a pagina 2. More
In politicaèsempre una questione di tempo, e il tempo in questa crisi non giocaafavore di Salvini: più passano i giorni, infatti, più i suoi avversari potrebbero realizzare le trappole nelle quali sperano di incastrarlo per evitare le elezioni anticipate. Perciò il leader della Lega preme sulla Casellati perché la mozione di sfiducia contro Conte venga calendarizzata già la prossima settimana. Se il voto del Senato dovesse slittare, alla Camera i grillini tenterebbero di sfruttare il tempo perfar approvare con un blitz d’Aula la riforma che riduce il numero dei parlamentari: in quel caso il governo potrebbe anche cadere ma la legislatura sarebbe salva, perché le procedure costituzionali che si innescherebbero congelerebbero il ritorno alle urne almeno fino all’estate del prossimo anno. È chiaro che per una simile operazione servirebbe un accordo politico su larga scala, che dovrebbe coinvolgere i Cinquestelle, il Pd e anche Forza Italia: sarebberoiprodromi di quella «maggioranza Ursula»— dal nome della neo eletta presidente della Commissione europea von der Leyen — di cui per primo parlò Renzi. Proprio l’ex segretario dem è tra i maggiori sostenitori del progetto: lui che immaginava di avere tempo in questa legislatura peri suoidisegni, è stato colto di sorpresa dalla mossa elettorale di Salvini. E cerca di reagire. Ma Zingaretti si mostra scettico all’idea, sostenendo che in prospettiva «noi non possiamo caricarci sulle spalle l’onere della prossima Finanziaria»: un valido argomento per non dire che preferirebbe stilare le liste elettorali del partitoecosì de-renzizzarlo. Per avere il tempo necessario a fargli cambiare idea, i renziani al Senato hanno deciso di usare un’arma di Zingaretti per perdere del tempo: perciò chiederanno che prima della mozione di sfiducia leghista contro il premier venga votata la loro mozione di sfiducia contro il ministro dell’Interno. Il tempo è un fattore in questa fase sospesa della crisi, il cui esito appare scontato ma ancora non lo è. Perché non è del tutto chiaro quali sono le forze in campo. Forza Italia, per esempio, vuol sapere da Salvini se correranno in coalizione alle (eventuali) elezioni, e lo vogliono sapere prima di votare la mozione di sfiducia contro Conte. Tra i lealisti azzurri, allaCamera e al Senato, c’è aria dirivolta e si pretendono dalla Lega le garanzie chieste da Berlusconi: «Sottoscriviamo un accordo prima del voto». La Meloni inveceèsicura e non da oggi che Salvini non potrà sfuggire all’intesa. Lo profetizzòaluglio: «Va da solo? Ma ’ndo va. Nemmeno alla Dc gli italiani hanno mai concesso la maggioranza assoluta». Allora si vota, se prima non si vota il taglio dei parlamentari. È una corsa contro il tempo.
Conte. Conte potrebbe restare in scena. Sarebbero 70 i parlamentari M5S che lo vorrebbero leader (Corriere p.9). Il prwsidente del Consiglio al leader del Carroccio: “In Parlamento dovrai guardarmi in faccia e poi votarmi contro” (Fatto p.2). L’idea di candidarsi. «E in Senato dirò tutta la mia verità». Il presidente del Consiglio ormai è sempre più una figura politica. Il pressing dei grillini perché scenda in campo con loro (Messaggero p.8). Il premier prepara l’“operazione verità”: ecco i bluff di Matteo nell’ultimo anno. Il discorso alle Camere per ricostruire le “omissioni” di Salvini. Obiettivo: addebitargli la fine dell’alleanza. Descriverà le riunioni disertate dal capo leghista mentre si prendevano decisioni (Stampa p.4).
Operazione verità di Conte. Francesca Schianchi sulla Stampa a pagina 4. More
È ora di pranzo quando Giuseppe Conte lascia Palazzo Chigi. Si prende il fine settimana per stare in famiglia e riposare un po’, in attesa dello showdown finale in Aula. La notte prima, al termine della sua giornata più lunga da presidente del Consiglio, poche parole dichiarate alla stampa sono servite a far trapelare rabbia e stanchezza: «Non permetterò più che si alimenti la narrativa del governo dei no». Una promessa di mettere le cose in chiaro, di ribattere punto su punto alle accuse del suo vice diventato killer del governo, riabilitando l’esecutivo dai rimproveri di essere inefficiente o bloccato da veti. Un sussulto di orgoglio che lo candida a essere, in questa delicata partita di fine governo, l’unico vero anti-Salvini. E di farlo in Parlamento, davanti alle Camere e agli italiani, perché le responsabilità siano chiare: chi ha voluto far cadere il governo, chi ha cercato di dargli un futuro. Ecco perché la novità di ieri mattina non lo sorprende: la Lega ha presentato una mozione di sfiducia contro di lui. Era un esito possibile, Conte lo sapeva: nel momento in cui lui stesso ha chiesto a Salvini di portare nelle Aule di Camera e Senato la rottura di fiducia nei suoi confronti, sapeva che il Carroccio avrebbe potuto scegliere questa strada, mettendolo all’indice e chiedendo di votare contro di lui. Motivando la decisione innanzitutto con le divergenze emerse sulla mozione votata mercoledì sulla Tav, come si legge nel testo, anche «tenuto conto – si specifica – che il presidente del Consiglio non era presente in Aula a ribadire l’indirizzo favorevole alla realizzazione dell’opera». Lo accusano cioè di non esserci stato, di essersene tenuto lontano. Non commenta, Conte: la sua scelta l’aveva fatta trapelare in anticipo, considerava quella giornata un appuntamento del Parlamento che non aveva valore di giudizio sul governo, tutti sapevano che non ci sa rebbe stato. Ma tant’è, la guerra tra ex alleati è cominciata e riguarda anche lui. Nella notte della caduta lancia qualche stilettata a Salvini, gli ricorda che «non spetta al ministro dell’Interno convocare le Camere»; mette in chiaro che, a differenza del leghista, «questo governo non era in spiaggia». Ma è solo un antipasto: «Darò più ampie spiegazioni in ambiti parlamentari», promette, e scrive la sua disponibilità ai presidenti di Camera e Senato. Se il suo governo deve cadere, si è ripromesso di lasciare agli atti la sua versione. Quella che nelle sue stanze definiscono con un filo di enfasi «operazione verità»: per ripercorrere questi 14 mesi di governo e rivendicare le cose fatte. Ma, soprattutto, a questo punto, accusare Salvini delle sue mancanze: le riunioni disertate, le decisioni prese mentre lui era in campagna elettorale da qualche parte. E addebitare solo a lui «la fine del governo del cambiamento su cui il Paese aveva molte aspettative». Sarà il suo saluto a questo governo, ma non per forza al Parlamento. Nei mesi scorsi ha detto di voler tornare a fare l’avvocato una volta conclusa questa esperienza. Ma si era lontani dal momento delle scelte. Nel M5S guardano a lui con interesse: «Dubito che tornerà a insegnare», dice una fonte. Perché potrebbe essere un buon candidato premier, nel Movimento o con una sua lista. Lui per ora non ne parla: è concentrato sugli impegni del Ferragosto – il 13 a Foggia per il contratto di sviluppo per la Capitanata, il 14 a Genova per l’anniversario del ponte Morandi – e soprattutto sulle comunicazioni da fare in Aula. L’operazione verità con cui cercare di connotarsi come l’anti- Salvini.
Lega. Il leader ha confidato ai suoi: «I Cinque Stelle vorrebbero prima votare il taglio dei parlamentari. Puntano solo ad allungare il sugo ma nelle urne vedrete, glieli taglio io i parlamentari» Il grande azzardo di Salvini che ora teme “l’inciucione” (Stampa p.3). «Abbiamo il mondo contro dobbiamo fare prestissimo», In tour tra Abruzzo e Puglia, il leader teme trappole: non voglio giochini strani (Corriere p.5). Salvini ora teme il trappolone «Chiedo al Paese pieni poteri» (Giornale p.5). Zaia: «L’agonia è finita. Col nuovo esecutivo chiuderemo subito sull’autonomia. I 5Stelle sanno solo dire no» (Corriere p.9).
Datemi i pieni poteri. Paolo Bracalini sul Giorfnale a pagina 5. More
«I ntanto andiamo a votare, spero il prima possibile, ad esempio il 13 ottobre, come in Polonia. Poi ragioneremo con chi. Sicuramente non vedo ritorni al passato». Lo schema di Salvini per le probabili elezioni è la corsa solitaria, candidato premier della Lega senza alleanze e coalizioni di centrodestra vecchio stile. Al momento è una tentazione più che un piano preciso. I rapporti con la Meloni (che chiede «alleanze prima del voto, meglio essere chiari») sono ottimi, altrettanto quelli con molti azzurri (come la Ronzulli, mentre con Berlusconi il filo diretto è sempre aperto) e una convergenza c’è con la nuova formazione di Toti. L’ipotesi di un’alleanza quindi non è da escludere, in fondo è quella che si è presentata vincendo in tutte le ultime competizioni regionali. Sul piano nazionale, però, ha una valenza diversa secondo Salvini, c’è il rischio di essere vista dagli elettori come una riedizione del vecchio centrodestra, la presenza del Cavaliere (magari con la sigla «Berlusconi presidente» nel simbolo), quella di big europeisti come Tajani e magari di centristi aderenti a «L’altra Italia», viene vissuta come penalizzante per i consensi della Lega. E comunque, spiegano fonti qualificate, la decisione su cosa fare con Forza Italia dipenderà molto dal comportamento degli azzurri nei prossimi giorni, nell’evoluzione della crisi di governo. Tradotto: se gli azzurri marceranno compatti nella stessa direzione di Salvini, cioè dritti verso il voto bocciando qualsiasi formula che allontani le urne, il dialogo resta aperto. Il caso contrario no. Lo stesso leader leghista, rispetto agli annunci delle ore a caldo dopo lo strappo coi grillini, ha già smorzato l’ipotesi di presentarsi in solitaria alle elezioni: «Non si è deciso nulla se correremo da soli. Abbiamo un’idea di Italia per i prossimi cinque anni che sottoporremo a chi la condivide con noi» ha detto a Termoli, in Molise. La preoccupazione che occupa il primo posto nei pensieri del ministro in questo momento è cosa può succedere tra Parlamento e Quirinale per stoppare il voto e quindi la sua probabile vittoria elettorale «Chiedo agli italiani, se ne hanno la voglia, di darmi pieni poteri per fare quello che abbiamo promesso di fare» la sua frase contestata dalla sinistra e M5s che ci vedono un pericolo «dittatura»). Al Viminale arrivano voci di contatti tra Pd renziano (numericamente in maggioranza nel gruppo parlamentare ma molti non sarebbero ricandidati da Zingaretti) e Cinque Stelle, più precisamente si parla di telefonate tra Minniti e il ministro grillino Fraccaro. L’obiettivo sarebbe quello di calendarizzare la legge sul taglio dei parlamentari, che implica due cose: allungare di molto i tempi e poi in parallelo una modifica della legge elettorale, magari in senso proporzionale in modo da togliere il premio di seggi al partito più votato (quindi alla Lega). Il capo leghista dice apertamente di temere un inciucio renzian-grillino: «Iniziamo a vedere se ci fanno votare, in Italia non c’è nulla di scontato. L’unico dubbio, e sarebbe una cosa incredibile, è che sento che ci sono toni simili tra Pd e 5 stelle. È orribile solo il pensiero di Renzi e Di Maio assieme». Lanciano lo stesso allarme acnhe i due capigruppo leghisti, Romeo e Molinari: «Se qualcuno la tira per le lunghe avrà sulla coscienza un eventuale aumento dell’Iva». Timori confermati dalle dichiarazioni del capogruppo Dem Marcucci che chiede un «governo di transizione» e prima la sfiducia in aula al ministro Salvini, un espediente per verificare una nuova maggioranza M5s-Pd. Il quale intanto consuma le suole sulle spiagge del suo Beach Tour, ieri era tra Molise e Puglia, già in modalità campagna elettorale («Stiamo preparando un governo che durerà cinque anni a colpi di sì») e primi programmi del governo Salvini («L’obiettivo è il 15% di tasse per tanti italiani e la pensione dopo 41 anni di lavoro»).
Cinquestelle. Il Movimento deve fare i conti con il divieto di superare il doppio mandato. Molti parlamentari sarebbero automaticamente esclusi dalle nuove liste. I grillini sognano Conte candidato al governo. Dibba subito in campo. Casaleggio incontra tutti i “big”: per Di Maio possibile un ruolo di regista. A chi non potrà correre potrebbe essere garantito un ruolo nel partito (Stampa p.5). Casaleggio: alle urne ci capiranno. Ma tra i falchi c’è chi apre ai dem. A Roma un summit di sei ore tra i big. Tante critiche a Di Maio: ascolti di più. Per Di Battista un ruolo di primo piano (Corriere p.6). Il tetto dei mandati decapita i vertici (si salva solo Dibba). Spinta per la deroga. Ma Fraccaro: la regola deve valere. L’eventuale strappo alla regola sarebbe votato su Rousseau, ma il sì finale spetterebbe a Grillo (Corriere p.6). L’ora del Maalox. Così i fan dei 5S fanno i conti sui social con il Grande Trauma. Tra irrealtà e livore contro Salvini (Foglio in prima).
L’ora del Maalox. Daniele Rainieri sul Foglio in prima. More
Roma. I social media e il passaparola dei fan hanno avuto un ruolo spettacolare nell’ascesa dei Cinque stelle e quindi è interessante andare oggi a misurare sui social d’area – per così dire – la reazione al grande trauma. Il governo del cambiamento è finito dopo quattordici mesi (gli ultimi passati in piena sottomissione alla Lega di Salvini), le previsioni di voto dal punto di vista dei Cinque stelle sono molto brutte e non ci sono soluzioni facili in vista. Una parte dei fan però ancora non se ne rende conto e vive in una bolla alternativa. Giovedì sera subito dopo il discorso del premier Giuseppe Conte si leggevano in giro commenti come “Conte ha appena messo a cuccia Salvini” oppure “Conte sgancia la bomba e distrugge le menzogne di Salvini” – che suonavano confusi se si considera che di fatto Salvini aveva appena licenziato Conte e non il contrario. La frecciata di Conte contro Salvini, “questo governo ha parlato poco e ha lavorato tanto, non è stato in spiaggia”, è citata come una frase epica che rimette le cose al giusto posto. L’impressione però è che quella parte dei fan sia ancora alla fase della non accettazione delle notizie. Qualcuno tra loro incoraggia “l’immenso” Luigi Di Maio perché è “il miglior ministro del Lavoro che l’Italia abbia mai avuto”. Altri gli riservano saluti come questo: “Ero un fan di Alessandro. Oggi sono un fan di Luigi. Dibba il guerriero ci ha lasciato soli a combattere. Gigi il tranquillo è sceso in campo e ci ha rappresentati con coraggio e lealtà. I veri Leader sono i primi sul fronte. Sempre”. La maggior parte dei fan tuttavia preferisce non parlare di Gigi il Tranquillo, ha compreso la situazione ed è già passata alla fase seguente, quella in cui si accusa “il cazzaro verde”, “buffone”, “ciarlatano”, “vigliacco” Salvini di “avere gettato la maschera” e di essere d’ora in poi un TRADITORE in combutta con il Pd e con la mafia. Matteo Salvini hai offeso indegnamente il lavoro di tutti i ministri e ora spiega agli italiani perché sei un traditore” oppu – re “Traditori leghisti. Questo è il marchio d’infamia che vi accompagnerà per il resto della vostra esistenza…” sono esempi di commenti pescati a caso nell’onda alta dell’indignazione dei grillini. In molti ricordano una convocazione mancata di Salvini alla commissione parlamentare Antimafia, altri vogliono che risponda alle domande che riguardano i suoi rapporti con la Russia – due argomenti che fino a due giorni fa non andavano fortissimo tra i fan del governo. Questo concetto è ripetuto in tutti i commenti. Salvini traditore ha sabotato un governo che andava alla grande. Il tesoriere del Cinque stelle, Sergio Battelli, scrive che “se prima degli italiani vengono i sondaggi allora vaffanculo”. Un sottosegretario agli Esteri, Manlio Di Stefano, lancia una sfida: “#Salvini visto che oggi blateri di ‘poltrone’ ti do una bella notizia, possiamo convocare la Camera entro una settimana e votare il taglio di 345 parlamentari e poi andare al voto. Ci stai? Altrimenti la poltrona incollata è solo la tua e quella dei leghisti. #crisigoverno”. Ma sono richieste sconclusionate, non si vede perché la Lega dovrebbe accettare. Alessandro Di Battista, uno dei pochi volti conosciuti che non sarebbe falciato dalla regola del doppio mandato quando si andrà a nuove elezioni, aggiunge allo sdegno contro Salvini “schiavo del sistema che si era mascherato da protettore del popolo” qualche informazione a proposito di tutte le cose belle che il governo avrebbe potuto fare se non ci fosse stato il tradimento, come il taglio dei parlamentari e la revoca delle concessioni autostradali ai Benetton. Il senatore Nicola Morra nota che nella giornata di generale crisi della Borsa il titolo Atlantia (Autostrade) invece sale. Sarebbe la prova di una non meglio specificata vittoria del Sistema contro i grillini.
Intanto il Pd. Nel Pd parte la caccia al candidato premier: Gentiloni, Sala e Calenda in pole position. Anche Zingaretti in corsa. Si guarda al “modello Livorno”: una lista civica nazionale di sindaci alleata ai dem (Stampa p.6). Zingaretti non corre. L’idea Gentiloni a capo della coalizione. Il leader del Pd orientato a ritagliarsi un ruolo da regista. Primarie in forse, c’è poco tempo. Oltre all’ex premier, in corsa anche Calenda e Sala (Repubblica p.7). Renzi e Zingaretti, prove di tregua. «Sfiducia? Prima quella a Salvini». Nel partito tutti contro le alternative al voto, ma i paletti sull’iter possono allungare i tempi. «Precedenza alla mozione dem sul Viminale» (Corriere p.8). «Un traghettatore per fare la manovra. E poi andiamo subito alle urne». Pisapia: con il M5S non si governa. «Renzi è una risorsa. Il Pd unica forza del centrosinistra, basta personalismi» (Corriere p.8).
Prove di tregua. Daria Gorodisky sul Corriere a pagina 8. More
La chiamata alla crisi di Matteo Salviniricompatta il Pd: almeno per due giorni, almeno nell’attacco al ministro dell’Interno. Tutti insistono sulla linea «governo in fuga». «Conte, Salvini e Di Maio hanno fallito e messo l’Italia in ginocchio, ora scappano per paura della manovra finanziaria perché non sanno cosa fare. Il populismo ha fallito. Avevano promesso la rivoluzione, hanno combinato un disastro: crescita zero, calo della produzione industriale, debito pubblico alle stelle e Italia isolata come non mai, non contiamo più niente», insiste il segretario Nicola Zingaretti. E tutti si dicono contrari a soluzioni diverse dal voto. Anche se subito cominciano a circolare tecnicalità che allungherebbero i tempi: «Se si procede con lo strumento dellamozione di sfiducia al presidente del Consiglio presentata dalla Lega, allora va votata prima quella del Pd contro Matteo Salvini, che è già calendarizzata per metà settembre.Neppure alle Camere si può saltare la fila», commenta il deputatoecostituzionalista Stefano Ceccanti. Nicola Zingaretti, però, ripete di essere pronto alla sfida elettorale, che «non è persa»: «Ci saranno due alternative—dice —, la Lega o il Partito democratico». Far vincere Salvini sarebbe «come se uno mettesse fuori dalla porta tre lupi per poi farne rientrare uno, che lo sbrana». Ma il Pd può farcela: «Abbiamo tante personalità: divise sono un disastro, se si uniscono sono imbattibili. Renzi sia dalla parte di una bella squadra per cambiare il Paese». Matteo Renzi aderisce alle critiche («Salvini gioca la carta della crisi non perché è forte, ma perché in realtà è terrorizzato, rischia di far aumentare l’Iva, fa ballare la Borsa…») e ironizza: «Capitan Fracassa farnetica. E dalla spiaggia chiede “Italiani, datemi pieni poteri”. L’ultimo a chiederli fu Badoglio! Salvini, per favore: meno mojiti, più camomille». Ma, mentre dal suo entourage smentiscono che uscirà dal partito, aggiunge: «Nelle prossime ore disegneremo il nostro futuro. Chi non sirassegna fondi un comitato di azione civile». Uno dei suoi comitati di azione. Intanto gli appelli all’unità si moltiplicano: «Serve avere in campo un centrosinistra unito come non mai», dichiara il capogruppo al Senato Andrea Marcucci. E delle risposte arrivano: dal segretario di Articolo 1 Roberto Speranza, che aveva lasciato il Partito democratico in polemica con Renzi («coordiniamoci per dare forza all’alternativa»), al centrista Pier Ferdinando Casini («costruiamo subito in Parlamento un percorso diverso da quello della Lega»), alla Sinistra di Nicola Fratoianni.
Pd 2. Renzi. Il piano di Renzi: governo di un anno con il M5S. Il fiorentino si muove a tutto campo e spera in Mattarella. Ma Zingaretti teme la trappola. L’ex premier adesso è filogrillino. L’ex segretario va all’attacco del Nazareno: fa sapere di avere con sé ancora 45 senatori su 51. Stefano Feltri sul Fatto (p.5). Zingaretti vuole le elezioni. Però Renzi pensa all’inciucio. Marcucci apre ai 5 Stelle: «Esecutivo di emergenza». E chiede di votare per prima la sfiducia a Salvini. Laura Cesaretti sul Giornale (p.2). Andrea Orlando, vicesegretario dem: “Salvini al Viminale da candidato premier è un problema. Tra di noi non serviranno le primarie. Con Di Maio nessuna alleanza possibile. Serve l’aiuto di tutti: un centrosinistra accogliente fondato sulla lotta alle diseguaglianze” (Stampa p.6).
Renzi filogrillino. Stefano Feltri sul Fatto a pagina 5. More
C’ è un negoziato già in corso per evitare le urne, un’idea pazza: un nuovo governo di almeno un anno che si regga su un accordo tra il Movimento Cinque Stelle e il Pd. A gestire l’opera zione però sarebbe nientemeno che Matteo Renzi. L’ex premier controlla ancora circa 45 senatori su 51 del Pd, cruciali per una maggioranza alternativa. Anche diversi esponenti di Forza Italia (una decina) sono pronti a sostenere il progetto, se Renzi fa partire l’operazione. “LA PACE SI FA con i nemici”,è la battuta che circola in ambienti renziani e, con parole simili, anche da alcuni Cinque Stelle. Il segretario del Pd Nicola Zingaretti vuole le elezioni il prima possibile, il Pd si troverebbe in una opposizione irrilevante ma il segretario piazzerebbe un po’ di parlamentari e guadagnerebbe una immunità sempre utile (pende ancora la richiesta di archiviazione per l’inchiesta per finanziamento illecito che coinvolge il lobbista Fabrizio Centofanti). Nell’a mb i e nt e zingarettiano si parla però di “preoccupazione” per questa ipotesi e il segretario non fa che ribadire di volere andare presto al voto. Ma il Quirinale teme l’esercizio provvisorio, vorrebbe un esecutivo che si faccia carico della legge di Bilancio in autunno e non vuole lasciare a Matteo Salvini, da ministro dell’Interno, la gestione delle elezioni. A innescare l’op e ra z i on e Renzi-M5S, nelle intenzioni di chi la sta pensando, può essere la riforma costituzionale che riduce a 600 i parlamentari. Manca l’ultimo voto, previsto per settembre. Renzi si è sempre astenuto nei tre voti precedenti, può rivendicare che anche la sua riforma costituzionale riduceva il numero dei senatori. Addirittura a gennaio 2014, in una intervista al Fatto, aveva tentato un abboccamento con i Cinque Stelle chiedendo il loro voto. Anche dopo le elezioni 2018 Renzi aveva partecipato a un trattativa per un possibile esecutivo congiunto che però si era arenata per le divisioni interne al Pd e perché un pezzo dei 5 Stelle aveva già deciso di puntare sulla Lega. Ma ora è tutto diverso. Il Quirinale teme il caos in politica econo mica, Renzi voterebbe una manovra insieme ai Cinque Stelle anche se nessuno ama l’idea di intestarsi le nuove tasse o i tagli necessari. L’ex premier potrebbe rispolverare un’i de a che ai 5Stelle non dispiace (chissà al Quirinale): deficit al 2,9 per cento del Pil per qualche anno, a fronte di un ambizioso programma di investimenti. COSA PUÒ OFFRIRE Renzi ai 5Stelle, oltre alla garanzia per i parlamentari di non perdere il posto per almeno un anno? Tre cose: salvare il reddito di cittadinanza, che un governo Salvini invece ridurrebbe subito, un presidente del Consiglio di garanzia di area Cinque Stelle (ma non Giuseppe Conte), e una sponda europea che ai pentastellati serve. Renzi ha conservato un buon rapporto con il presidente francese Emmanuel Macron e garantire l’ingresso nel gruppo di ispirazione macroniana Renew Europe. Il M5S potrebbe così sfruttare il credito che ha nei confronti della presidente della Commissione Ursula Von der Leyen, eletta proprio grazie ai 15 voti 5Stelle. Se tutto questo salta, Renzi ha due alternative. La prima è farsi dare da Zingaretti qualche seggio sicuro per sé e per i suoi, e magari il candidato governatore per la Toscana. La seconda è fare un partito in proprio, che, si pensa tra i renziani, potrebbe prendere tra il 5 e il 10 per cento. Entrambi gli scenari sono meno allettanti rispetto a quello che vederbbe l’ex premier tornare di fatto al comando del Pd, almeno della sua componente parlamentare, e un domani chissà. Ma molto dipende dai Cinque Stelle: devono essere loro a cercare un’alleanza larga in nome della riduzione dei parlamentari.
Forza Italia e Fdi. Salvini e la telefonata pre-crisi a Berlusconi: “Mi garantisci che Fi non farà strani patti?”. Prima della rottura con i 5S il leader leghista ha chiamato il leader di Forza Italia. E il Cavaliere prova a dettare le condizioni: “Serve un’alleanza pre-voto”. Ma i parlamentari azzurri non si fidano: “Dichiari l’intesa prima della sfiducia”. Berlusconi La nostra coalizione governa gran parte delle Regioni e dei Comuni con successo (Stampa p.7). Il pressing di FI e Meloni: alleanza prima del voto. Scriviamo un programma comune (Corriere p.5).
La telefonata al Cav. Alessandro Di Matteo sulla Stampa a pagina 7. More
La trattativa è avviata da giorni. Il canale diplomatico passa direttamente per le telefonate tra Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Il leader della Lega, raccontano, non vuole correre rischi, vuole andare a elezioni e non si fida di quello che potrebbe accadere in Parlamento una volta caduto il governo. Per questo, spiegano, ha chiamato il Cavaliere per anticipargli la decisione di togliere la fiducia a Conte, chiedendo rassicurazioni: «Mi garantisci che una volta aperta la crisi, Forza Italia non si presterà a operazioni strane?». Salvini sa che in Fi è forte il timore di restare fuori in caso di elezioni anticipate, gli è arrivata voce che Gianni Letta starebbe già lavorando per provare a creare le condizioni per un nuovo governo. Berlusconi lo avrebbe tranquillizzato, il leader è pronto a tenere il partito sulla linea delle elezioni anticipate. Ma la cortesia va ricambiata, il Cavaliere avrebbe detto al leader della Lega che deve abbandonare l’idea della corsa solitaria al voto. Berlusconi, spiegano, avrebbe usato più argomenti. Innanzitutto, il leader di Fi avrebbe citato delle simulazioni fatte sul voto delle ultime Europee che girano tra i parlamentari azzurri: il centrodestra classico (Lega-Fi-Fdi) avrebbe la certezza della vittoria con almeno 342 seggi alla Camera (134 uninominali e 208 nel proporzionale), mentre una coalizione formata solo da Lega e Fdi si fermerebbe a 325 seggi. È soprattutto al Sud, dove i 5 stelle mantengono un certo appeal, che l’alleanza “classica” farebbe la differenza. Inoltre, appunto, dentro Fi molti temono di non essere rieletti. I parlamentari che hanno aderito al movimento di Toti per ora sono solo 5, da Romani a Vitali e Napoli, ma tanti sono preoccupati di non tornare in Parlamento, se Fi verrà “abbandonata” dalla Lega. Per scongiurare tentazioni tipo “nuovi responsabili”, bisogna dare garanzie, avrebbe spiegato Berlusconi. Del resto, anche Giorgia Meloni avverte: «Noi le alleanze le facciamo prima del voto e non dopo, perché vogliamo essere chiari». Per questo Salvini ieri ha lanciato un segnale, dopo che giovedì aveva detto che intendeva andare da solo: «Non si è deciso se correremo da soli, abbiamo un’idea di Italia e la sottoporremo a chi la condivide con noi». Apertura ricambiata da Berlusconi: «Non saranno adesso le manovre di palazzo, i disperati tentativi del peggior teatrino della politica a risolvere i problemi degli italiani. È giusto che la scelta torni al più presto agli elettori». Ma in tanti in Fi non si fidano di Salvini, nelle chat dei parlamentari azzurri molti coordinatori – da Zangrillo alla Santelli – chiedono che Salvini dica «ufficialmente, prima della sfiducia al governo, che intende fare l’alleanza con noi». Hanno qualche ragione: un dirigente di primo piano della Lega spiega: «L’ideale sarebbe andare soli e poi fare gli accordi in Parlamento…», se serve. Per Giorgio Mulè, questa è una visione miope, «il Cavaliere è una figura centrale, soprattutto per la sua capacità di interlocuzione con l’Europa. Né Lega né Fdi siedono a quei tavoli». Berlusconi chiede a Salvini di formalizzare la coalizione “L’Italia del sì”, che si presenterebbe nei collegi uninominali, mentre nel proporzionale ognuno manterrebbe il proprio simbolo. Peraltro, aggiunge Andrea Ruggieri, «il centrodestra ha l’opportunità straordinaria di avere i 2/3 in Parlamento, potrebbe fare la riforme della Costituzione senza passare dal referendum: giustizia, autonomie, presidenzialismo. Perché sprecare questa occasione?».
Proiezioni e sondaggi. Le simulazioni YouTrend/Agi: Salvini con forzisti e Fratelli d’Italia avrebbe più di 400 deputati. Anche con Meloni la governabilità è garantita. Senza nessuno servono alleanze post-voto. La Lega da sola potrebbe non farcela. Col centrodestra maggioranza certa (Stampa p.7). La nuova Camera? Sovranisti in vetta. La proiezione: l’asse Lega-FdI a 358 seggi, con FI è record a 413. Il Movimento precipita, superato dal Pd (Corriere p.11). Quanto vale Salvini? Nei sondaggi tocca punte del 38%, ma non può governare da solo. E c’è l’effetto Conte. Sergio Rizzo su Repubblica (p.4). Alessandra Ghisleri: «Non ci sono vincitori annunciati alle urne il consenso è mutevole e le parabole veloci». L’analisi della sondaggista: non c’è disorientamento ma preoccupazione per i tanti dossier rimasti inevasi. Prevalenza leghista nei sondaggi? Va presa per quello che è, nessuno dimentichi la vicenda renziana (Messaggero p.12).
Consenso mutevole. Diodato Pirone sul Messaggero a pagina 12. More
«Come vivono la crisi gli italiani? Direi che questa specie di crisi balneare, che poi in realtà dura da un tempo lunghissimo, li annoia, li preoccupa e li irrita. Ma non li disorienta». Alessandra Ghisleri, guru dei sondaggisti, risponde volentieri al telefonino anche se è al suo primo giorno di vacanza. Cosa dicono i suoi ultimi dati sull’umore degli italiani? «Il dato che piùmi ha colpito del test della scorsa settimana è l’aumento della preoccupazione che è il sentimento più forte per il 36% degli italiani». E perché sono di così cattivo umore? «Da una parte avvertono molta incertezza. Basta pensare alla questione dell’Iva oppure a quella degli 80 euro. Praticamente nessuno sa in queste ore se a gennaio l’Iva aumenterà oppure no. Nei giorni scorsi poi si è diffusa molto incertezza sugli 80 euro che riguardano circa 10 milioni di lavoratori. Gli italiani sembrano aver capito che una parte di loro li perderà ma chi? E perché? Mistero». E’ questa incertezza che crea preoccupazione? «Sicuramente le molte questioni irrisolte sul tappeto irritano. Ma poi c’è un sentimento trasversale che emerge con forza». E quale? «La noia per un litigio continuo fra i due partner di governo che ormai si sviluppa su linee estranee agli interessi di gran parte dell’elettorato. Gli insulti personali e i battibecchi su questioni minori che non riguardano l’elettorato ma gli esponenti delle due forze politiche della maggioranza creano sconcerto. Anche perché la Lega e i 5Stelle si sono prese un po’ tutta la scena politica. Fanno da maggioranza e da opposizione». Insomma l’italiano medio si comincia a chiedere ma che ci ricavo io da questo litigio continuo? «Gli italiani hanno capito che le due forze politiche di maggioranza non erano alleate ma che avevano stretto un contratto. Che piacesse o non piacesse quel contratto aveva formato nella testa della gente l’idea che Lega e 5Stelle assieme avrebbero realizzato le cose indicate in quell’accordo. Ora invece vedono litigare i due partiti per beghe piccole, spesso a base di insulti personali, non legate a interessi della gente. E questo è sorprendente perché entrambi i partiti sono cresciuti coltivando il valore di stare vicini alla gente». E a questo punto come reagiscono gli italiani? «Dicono che vogliono le elezioni. Ma lo dicono con un tono un po’ punitivo». Punitivo? «Sì, usano termini direi minacciosi e severi. Non vogliono governi balneari, o ponte o tecnici. “No – dicono – avevi promesso di realizzare un contratto, non lo stai facendo, litighi su questioni che non riguardano i miei interessi, allora andiamo al voto”. Rivogliono la parola. Insomma gli italiani sono irritati perché si sentono un po’ abbandonati ma sono non disorientati. E questo è importante». Qual è la preoccupazione di fondo degli italiani? «Si percepiscono come più poveri. Magari non è vero che sono più poveri ma sempre più italiani fanno il confronto con stili di vita che non si possono permettere e si sentono impoveriti». Tutti i sondaggisti danno per vincente in caso di elezione la Lega o in alternativa la coalizione di centro-destra. Qual è la sua opinione? «I sondaggi fotografano la situazione al momento e studiano sempre gli scenari futuri ma non sappiamo quello che accadrà perché dovremmo fare un altro lavoro». Come dobbiamo leggere una dichiarazione così prudente da una esperta come lei? «Va presa per quella che è. Il consenso in Italia è mutevole e da qui all’apertura delle urne ci sono tempi tecnici lunghi. Ed è ancor più lungo il processo destinato a trasformare le promesse elettorali in temi concreti. Nessuno dovrebbe mai dimenticarsi della velocità della parabola renziana».
I commenti e gli editoriali.
Fine di un’illusione. Luciano Fontana sul Corriere. Non poteva durare e non è durata, nonostante le assicurazioni continue che niente sarebbe cambiato e che i cinque anni di legislatura erano garantiti. More
È accaduto nel cuore di agosto quello che era chiaro da molti mesi. L’alleanza giallo-verde e il contratto tra i due vicepremier gemelli si erano da tempo inabissati in un vortice di accuse, polemiche, sgarbi, veti paralizzanti peril governo. I sondaggi dall’inizio dell’anno segnalavano un percorso impossibile per chi sembrava costrettoastare insieme: tutti i benefici per Matteo Salvini, tutti i danni per Luigi Di Maio e il suo partito trionfatore nelle elezioni del 4 marzo del 2018. L’esecutivoel’attività dei ministri (l’uno contro l’altro in ogni occasione) erano diventati un campo di battaglia. Il risultato finale era davanti agli occhi di tutti: Consigli dei ministri inconcludenti, qualche volta della durata di pochi minuti. Sospetti reciproci e proclami che tentavano di nascondere il nulla. Tutto questo mentre il Paese arrancava con i suoi indici economici depressi. Le elezioni europee hanno certificato definitivamente il capovolgimento deirapporti di forza, hanno gettato in un abisso di delusione e rabbia il Movimento Cinque Stelle, di esaltazione ed euforia la Lega. Non poteva durareenon è durata, nonostante le assicurazioni continue che niente sarebbe cambiatoeche i cinque anni di legislatura erano garantiti. Luigi Di Maio per uscire dall’angolo ha cominciatoabombardare in ogni occasione l’altro vicepremier con la speranza (o l’illusione) che ilritorno alle origini, l’adesione ai temi e ai miti fondativi del Movimento gli avrebbero permesso dirisalire la china. Salvini ha proseguitoeintensificato la sua campagna elettorale perpetua, passando le giornate tra comizi in piazza o in spiaggia, in una modalità spesso sorprendenteepoco istituzionale per un ministro dell’Interno. L’unico mistero che rimane è come mai la rottura sia stata rinviata alla vigilia di Ferragosto, per quale ragione politica e personale Salvini non abbia scelto di mettere la parola fine in una data che avrebbe permesso un percorso elettorale più ordinato D’ altra parte com e p o t e v a pensare di durare un governo di separati in casa, con divisioni e odi individuali? Un esecutivo in cui erano stati perfino avviati due tavoli paralleli con le forze sociali e imprenditoriali per costruire la manovra economica? Forse a far precipitare tutto è stato proprio il «tour delle spiagge» conifans leghisti che chiedevano a gran voce la rottura. Per un leader di «pancia» come Salvini un aspetto decisivo. O forse, come gli ripetevano tutti i suoi dirigenti, le differenze programmatiche coniCinque Stelle erano così profonde da rendere la strada comune sempre più ardua. Quello che Matteo Salvini non aveva voluto vedere almomento della firma del contratto ora gli si presentava davanti come un macigno, con tutta la forza che la realtà sprigiona. È arrivata, infine, anche la maggiore convinzione di poter fare da solo, di non dover condividere l’avventura elettorale conivecchi alleati di un tempo. E la tentazione di evitare di dover affrontare una manovra economica dolorosa a fine anno. Ora la decisione è presa, spetta al Quirinale e ai presidenti delle Camere stabilire il percorso che probabilmente ci porterà alle elezioni in autunno. La Lega arrivaaquesto tornante sull’onda del successo delle Europee, i Cinque Stelle con tutto il peso di un’esperienza di governo che ne mette in pericolo il destino. L’opposizione di centrosinistra e moderata è in mezzo al guado, nella fase di costruzione di un’alternativa che ancora non c’è: con la ragionevole speranza, però, di poter diventare il competitor di Salvini. Ai partiti e agli elettori, se voto ci sarà, è affidata una responsabilità seria. Quella di trovare una via d’uscita da un periodo che ci consegna un’Italia più fragile economicamenteepiù isolata politicamente in Europa e nel mondo. Ci aspettano scelte importanti sulla vita e sulle tasche degli italiani che dovranno essere prese in autunno, in piena campagna elettorale o nell’immediato post-voto. Abbiamo vissuto per 14 mesi di slogan, frasi a effetto, soluzioni semplici e fantasiose a problemi complessi. Augurarsi una fase di serietà, di proposte realizzabili, di comportamenti politici responsabili sembra ormai fuori moda. Ma non conosciamo un’altra strada che possa assicurare un futuro migliore al Paese.
Non aiuta giocare col deficit. Carlo Cottarelli sulla Stampa. Pensiamo davvero che un aumento del deficit pubblico sia il modo migliore per far crescere l’economia italiana più rapidamente nel medio periodo? Secondo me, non è questa la strada, ma è anche su questa ipotesi che si basa l’intera strategia di chi oggi ci sta portando a nuove elezioni. More
P erché una crisi di governo ora? Il Movimento Cinque Stelle aveva mostrato una grande disponibilità a cedere su ogni fronte pur di evitare elezioni. La risposta ha a che fare con la legge di bilancio per il 2020, legge che si prospetta come molto, molto difficile. Ricordiamo i numeri principali. In aprile il governo aveva indicato come obiettivo di deficit per il 2020 il 2,1 per cento del Pil, più o meno il livello di quest’anno. Forse anche questo obiettivo sarebbe stato considerato inadeguato dalla Commissione europea, ma prendiamolo come punto di riferimento. Cosa serviva per raggiungere il 2,1 per cento? Primo, occorreva trovare 23 miliardi per evitare l’aumento dell’Iva che, a sua volta era stato reso necessario per finanziare le maggiori spese nel 2020 per reddito di cittadinanza, quota 100 e un po’ di altre cose. Secondo occorrevano 2 o 3 miliardi per coprire le cosiddette spese indifferibili, spese che dovranno comunque aver luogo ma che non erano incluse nel bilancio pluriennale. Si arrivava quindi a 25 miliardi. A questi occorreva sottrarre i risparmi (circa 10 miliardi) che derivavano dagli interventi concordati con la Commissione europea a giugno per evitare l’inizio di una procedura di deficit eccessivo. Quindi, per puntare a un deficit del 2,1 per cento occorreva trovare 15 miliardi (25 meno 10), ossia lo 0,8 per cento del Pil. Una bella cifra ma, forse fin qui ci si poteva arrivare. Ma il problema erano le nuove iniziative che ogni buon politico deve offrire nelle leggi di bilancio. Salvini voleva lo shock fiscale, un taglio netto di tasse di 12-15 miliardi attraverso la flat tax. Di Maio voleva 4 o 5 miliardi per introdurre il salario minimo (senza farlo pagare alle imprese) e forse un po’ di soldi per il sostegno al reddito delle famiglie. Certo, una soluzione ci sarebbe stata: aumentare il deficit ben al di sopra del 2,1 per cento. Ma Tria si opponeva, presumibilmente spalleggiato da Conte, perché un forte sforamento del deficit avrebbe creato uno scontro con l’Europa. Insomma, c’era un’incompatibilità di fondo tra le varie esigenze all’interno del governo. Andare avanti con questo governo avrebbe comportate per Salvini accettare un compromesso e, probabilmente, rinunciare a quello che è ora il suo obiettivo principale di politica economica: la flat tax. Questa rinuncia avrebbe indebolito la sua immagine di leader che dice una cosa e la fa, la qualità più apprezzata dagli elettori in un politico. Andare al voto in primavera, dopo una finanziaria di compromesso, avrebbe voluto dire presentarsi più debole di quanto è ora. Che accadrà dopo le elezioni, nel caso probabile che Salvini le vinca? La prima possibilità è di seguire comunque una politica di bilancio più prudente di quello che ora si vuol far credere. Questo comporterebbe una perdita di credibilità, ma ci sarebbe tempo per recuperare. La seconda possibilità, che mi sembra più in sintonia con il personaggio, è invece quella di disegnare una legge di bilancio che non scenda a compromessi con nessuno, né Di Maio, né Tria, né Conte, ormai fuori dal gioco, e neppure con la Commissione Europea. Questo è il punto. Credo che Salvini, spalleggiato da gran parte degli economisti delle Lega, sia propenso a sfidare l’Europa perché convinto di due cose. Primo che fare più deficit pubblico sia la condizione necessaria per far ripartire l’economia italiana. Secondo, che l’ostacolo principale all’aumento del deficit sia proprio la Commissione. Quel che serve è quindi negoziare con l’Europa senza tentennamenti, senza dissidi interni, senza un Tria o un Conte che cedano troppo facilmente alle pressioni di Bruxelles. E allora occorre andare a elezioni, liberarsi degli incomodi, formare un governo sovranista con un chiaro mandato popolare, mandare in Parlamento una legge di bilancio in novembre con un deficit del 3-3,5 per cento del Pil e far sentire la propria voce in Europa, forte e chiara. Quali sono i rischi della strategia salviniana? Il primo è che lo scontro con la Commissione Europea, che vedo inevitabile in questo scenario, non porti a un cedimento di quest’ultima, ma avvii un’ escalation che porterebbe a una procedura di deficit eccessivo e alla penalizzazione finanziaria dell’Italia (e poi non si sa dove si potrebbe finire). Ma se anche la strategia fosse vincente, se anche l’Europa, come ha fatto in passato con l’Italia e con altri, chiudesse un occhio, resterebbe un secondo problema. Tutta la strategia precedente è basata sul convincimento che sia la Commissione Europea l’ostacolo a un maggiore deficit e non la reazione dei mercati finanziari. O, meglio, l’ipotesi è che se la Commissione Europea se ne sta buona, allora se ne staranno buoni anche i mercati finanziari. Questo mi sembra però l’azzardo maggiore. Le dinamiche di mercato sono molti più complesse: i mercati non prendono ordini da nessuno, tantomeno dalla Commissione. Saranno quindi i mercati a decidere e non sarei così sicuro che rimangano tranquilli di fronte a un forte aumento del deficit nel 2020. Un’ultima considerazione: se anche i mercati finanziari restassero inizialmente tranquilli, alzare il deficit aumenterebbe l’esposizione al rischio di un possibile cambiamento nell’umore dei mercati. In ogni caso, pensiamo davvero che un aumento del deficit pubblico sia il modo migliore per far crescere l’economia italiana più rapidamente nel medio periodo? Non sto parlando di un temporaneo aumento della crescita, quello che una volta si chiamava una crescita “drogata”. Parlo di uno stabile aumento del tasso di crescita italiano nei prossimi 10 anni, una crescita che ci consenta di recuperare il terreno perso nell’ultimo quarto di secolo rispetto all’Europa. Secondo me, non è questa la strada, ma è anche su questa ipotesi che si basa l’intera strategia di chi oggi ci sta portando a nuove elezioni.
Le certezze e gli interrogativi. Stefano Folli su Repubblica. Due punti fermi: Zingaretti che che vuole il voto e Mattarella che non vuole la volontà di Mattarella di non favorire giochi dilatori. Il governo Conte dimissionario può gestire le elezioni? Può farlo con Salvini, protagonista e aspirante premier, al ministero dell’Interno? More
A l punto in cui siamo la questione non è più se andremo alle elezioni, ma come ci si andrà. Ci sono un paio di punti fermi che aiutano a chiarire il quadro accanto a interrogativi ancora senza risposta. Il primo punto fermo è la posizione di Zingaretti e del Pd. Il segretario ha sempre detto di volere il voto anticipato senza subordinate. Le sue parole sono state talvolta messe in dubbio e si sono affacciate altre ipotesi (vedi Franceschini), tuttavia Zingaretti non ha cambiato parere. S’intende, la sua coerenza è figlia di una doppia convenienza: primo, cogliere i Cinque Stelle nel pieno della loro crisi; secondo, costruire le liste elettorali con persone di fiducia e così liberarsi del maggior numero possibile di renziani. Se Zingaretti, come si presume, sarà determinato anche nei prossimi giorni, non ci saranno combinazioni in Parlamento per sostenere governi “tecnici” o di scopo. Naturalmente non c’è da credere che tutti i passaggi fino allo scioglimento delle Camere saranno lineari. C’è anzi da attendersi un gran lavorio dietro le quinte da parte di coloro che desiderano rinviare le urne. È un fronte trasversale che accumuna forze o gruppi anche molto ostili tra loro, alcuni dei quali dichiarano ufficialmente di non avere paura delle elezioni. Si va da segmenti dello stesso Pd (il mondo renziano, piuttosto frastornato) a Forza Italia, senza dubbio ai 5S e altre sigle: un piccolo esercito che non ha voglia di tornare a casa ovvero che teme la vittoria di un Salvini reclamante “pieni poteri”. Sulla carta non ci sono margini per tali operazioni se – torniamo al punto – Zingaretti dice “no”. Vero è che il Quirinale, nel momento in cui entra in campo come arbitro, ha il dovere di verificare l’esistenza di altre maggioranze. E però allo stato delle cose s’intravede solo un desiderio legittimo ma confuso di prolungare la legislatura. L’altro punto fermo è quindi la volontà di Mattarella di non favorire giochi dilatori. La regola della democrazia prevede di dare la parola al popolo anche quando il vincitore rischia di essere chi non ci piace. Beninteso, nei due mesi della campagna elettorale il possibile vincitore dovrà spiegare all’elettorato il senso delle sue azioni e i riflessi certo non positivi sui conti pubblici e le prospettive della manovra economica. Tutto a posto, quindi? Non proprio. C’è un nodo molto delicato ancora irrisolto. Il governo Conte dimissionario può gestire le elezioni? Può farlo con Salvini, protagonista e aspirante premier, al ministero dell’Interno? La questione è ancora sullo sfondo ma scotta. È il tema istituzionale ma anche assai politico su cui Mattarella tiene le carte coperte. In passato i governi solo elettorali erano rari (vedi Fanfani nel 1987) e richiedevano la concordia dei partiti, almeno quelli della ex maggioranza. Non sarebbe certo questo il caso. Inoltre un esecutivo “per gestire le elezioni”, sia pure composto da figure amministrative (ad esempio, un prefetto al Viminale), dovrebbe comunque presentarsi alle Camere per essere bocciato prima dello scioglimento. E chi garantisce che in quel caso non si crei una maggioranza spuria per votarlo e quindi impedire proprio il voto? Prepariamoci a giornate intense.
Che cosa ha spinto Salvini allo strappo. Roberto D’Alimonte sul Sole. È improbabile che la Lega ce la possa fare da sola. In ogni caso molto dipenderà dal suo risultato nelle regioni meridionali. Quanti collegi riuscirà a strappare in questa zona del paese ai Cinque Stelle? È il motivo per cui in questi giorni di crisi si vede Salvini in giro a far comizi nei lidi balneari del Sud.
Salvini si sfida con i voti, non con i veti. Claudio Cerasa sul Foglio. Un governo Salvini fa paura, ma uno anti Salvini fa ancora più paura. Ragioni e spunti per tifare per le elezioni presto.
La parabola dei leader e i giochi aperti. Luca Ricolfi sul Messaggero. Se una cosa ci ha insegnato la presente Legislatura, è che i partiti possono benissimo presentarsi alleati e poi dividersi, oppure presentarsi da acerrimi nemici e poi allearsi per formare un Governo. Insomma, i giochi sembrano chiusi, ma non lo sono. In tre mesi possono cambiare tante cose.
Salvini prepara l’assalto all’euro e a Bruxelles “Uscita concordata”. Claudio Tito su Repubblica. In campagna elettorale la Lega riproporrà l’addio alla moneta unica e la volontà di non sottostare agli accordi con la Commissione In alleanza con Visegrad
Salvini, basta errori. Alessandro Sallusti sul Giornale.
Chi ha paura di andare al voto? Pietro Senaldi su Libero. M5S, Pd, Conte cercano scuse perché il Colle rinvii le elezioni. Il leghista sente puzza di bruciato. Confidano tutti in Mattarella, che secondo Costituzione, prima di indire le elezioni è costretto a verificare se in Parlamento si può costituire una maggioranza alternativa a quella sfiduciata.
Tutti i pericoli della guerra lampo. Augusto Minzolini sul Giornale. Col segretario Pd un patto segreto come quello Molotov-Ribbentrop. Ma la «blitzkrieg» va chiusa in fretta. L’azzurro Rotondi: «Se Conte si proponesse nel modo giusto potrei anche votargli la fiducia».
W l’esercizio provvisorio. Foglio in prima. Votare presto e fare una Finanziaria con il pilota automatico è il minore dei mali possibili, “ed è anche bellissimo.
Un bubbone scoppiato. Elsa Fornero sul Foglio. Il governo ha accelerato il declino economico dell’Italia e le conseguenze del populismo peseranno per anni.
I rischi dello sfondare. Pier Carlo Padoan sul Foglio. Le elezioni preoccupano i mercati a causa dell’ostilità mostrata da Salvini nei confronti del modello soft di Tria.
Commissario. Commissario Ue: Tante le ipotesi. L’Italia ha tempo fino al 26 Resta in pole Garavaglia, oppure Centinaio. Il premier non si metterà di traverso sui nomi già fatti alla Von der Leyen, per non inasprire il clima già acceso. Improbabile che si viri su donne tecniche come Letizia Moratti o Fabiola Gianotti. Giorgetti solo come carta d’emergenza (Stampa p.2). Commissario Ue, lo indicherà il premier. E adesso in corsa restano solo i tecnici. In pole Moavero e Tria (Messaggero p.3).More
Di sicuro Conte coltiva anche l’ambizione di essere una sorta di riserva della Repubblica, e addirittura ha anche fatto un pensierino al ruolo di commissario europeo per l’Italia, in questo momento forse un incastro impossibile, ma non è detto che con lo stesso Salvini alla fine si possa trovare un accomodamento. Sembra un’ipotesi del terzo tipo, come del resto quella che Conte resti a guidare un esecutivo di transizione sostenuto dal Pd per blindare i conti economici. Lo scrive Marco Galluzzo sul Corriere (p.9).
Mercati. Mercati, spread a 240 e 15 miliardi in fumo. Fitch: l’incertezza costa. L’agenzia conferma il rating BBB, ma anche le previsioni negative su Pil e conti pubblici. Gli analisti: sfidare l’Ue è pericoloso. Banche e Poste le più penalizzate del crollo dei prezzi dei Btp (Repubblica p.10). More
Vola lo spread, avvertimento di Fitch. Il divario con i titoli tedeschi si allarga a 241 punti. Rating confermato ma «pesa l’incertezza politica (Corriere p.10). Torna il rischio Italia. I mercati già in ferie colti alla sprovvista. Investitori preoccupati dai tempi stretti. Per i conti 2020 timori per un possibile esecutivo di estrema destra (Messaggero p.10). L’Avvenire intervista Tremonti: «Finita l’era della spesa in deficit per il consenso. Senza governo e senza governo d’Europa noi più vulnerabili nell’epoca del grande disordine. Chi parla di protezionismo americano scambia le reazioni con le azioni. Forse il problema della attuale aggressività della Cina è demografico. L’utopia del mercato fabbrica della pace al posto della politica è finita. E ciò crea squilibri sociali e aumento delle disuguaglianze». Marco Girardo su Avvenire (p.7).
Iva. Il presidente dell’Abi Patuelli: “L’esercizio provvisorio è un segnale negativo per i mercati internazionali. Gli istituti di credito hanno superato un periodo complicato, ora i rischi possono arrivare da una nuova recessione. Aumenta l’incertezza politica Così è inevitabile l’aumento dell’Iva” (Stampa p.9). Iva, una bomba da 23 miliardi sulla manovra. Sarà molto difficile disinnescare le clausole di salvaguardia. E ne vanno trovati altri 20 per flat tax, cuneo fiscale e spesi indifferibili (Repubblica p.12). Nord Est, allarme imprese. «Così fabbriche più a rischio». Gli industriali: «Si eviti l’incremento dell’Iva. Ricucire con l’Ue» (Corriere p.10). L’aumento dell’Iva costa 541 euro in più a famiglia Fisco. Con l’incremento di aliquota ordinaria e ridotta più colpiti Nord-Est e Lombardia. Effetto pesante sul budget dei nuclei familiari con due figli (Sole p.4).
Migranti. Richard Gere sale a bordo dell’Open Arms. “Io coi migranti” (Stampa p.17). Richard Gere in mare con l’Ong: «A questi migranti serve un approdo». L’attore Usa sulla nave al largo di Lampedusa Corriere p.15). “Aiutiamo i nostri fratelli”. L’attore offre scorte di cibo. “Ora devono avere un porto”. Salvini lo attacca: “Un radical chic, spero si abbronzi” (Repubblica p.20).
Ani, capo di Open Arms: “Se salvare è un reato io sono una trafficante”. Preferisco invecchiare con la chiara coscienza di aver fatto la cosa giusta. Non importa cosa può accadermi se loro sono in salvo (Repubblica p.20).
Salvini bocciato. Residenza ai profughi bocciato il Viminale. (Repubblica p.21). More
La residenza ai richiedenti asilo va concessa, il decreto Sicurezza non lo può impedire. Per la seconda volta i giudici bocciano la linea Salvini. Lo fa il tribunale di Bologna dichiarando inammissibile il reclamo del ministero dell’Interno contro l’ordinanza che aveva imposto al Comune di iscrivere all’anagrafe una donna armena di 60 anni, in fuga dal suo Paese. E nuovamente il leader leghista s’infuria: attacca i magistrati e immaginandosi già premier dice: «Il prossimo governo dovrà fare una vera riforma della Giustizia, non viviamo in una “repubblica giudiziaria”». Lo scontro sui migranti scivola così sull’ennesimo conflitto sulla giustizia tra Salvini e le toghe. Replica il segretario dell’Anm Giuliano Caputo: «Ancora una volta, in modo preoccupante, Salvini invoca una riforma della giustizia che nelle sue intenzioni, dovrebbe assicurare che le decisioni giudiziarie siano sempre gradite alla maggioranza politica. Ogni aspirazione al controllo della magistratura è in contrasto con i principi fondamentali della democrazia». Il caso era scoppiato con i ricorsi presentati dagli Avvocati di strada e dell’Asgi. I primi pronunciamenti a favore dei richiedenti asilo hanno poi permesso ai sindaci di iscriverli all’anagrafe. Salvini aveva definito le sentenze vergognose e reagito accusando le giudici Luciana Breggia, del tribunale di Firenze, e Matilde Betti, presidente della prima sezione del tribunale civile di Bologna, di essere di sinistra. «Ancora una volta il ministro dell’Interno reagisce ad una decisione giudiziaria alludendo al fatto che sia motivata da ragioni politiche», rileva Caputo. Il sindaco dem di Bologna, Virginio Merola, incassa: «Andiamo avanti con la serenità di chi rispetta la legge e non si arrende alla propaganda».
Razzismo. Pietro, cacciato dal lido solo perché nero: “Tira un vento razzista”. Parla il 18enne italiano escluso dallo stabilimento di Chioggia poi chiuso. More
“Mi hanno detto: tu qui non entri. Sembrava uno scherzo, ma era vero”. All’inizio ridevo, poi ho visto altri due respinti come me e ho capito. È terribile sentirsi diverso, è la prima volta in vita mia che mi accade. Ho superato lo shock grazie ai miei amici, che sono usciti con me per solidarietà, e ai miei genitori. A chi vivrà la stessa cosa dico: denunciate (Repubblica p.21).
Diabolik. No ai funerali pubblici. Il questore: sicurezza a rischio. Il delitto dell’ultrà della Lazio. La famiglia protesta: faremo ricorso al Tar. In arrivo nella Capitale anche tifoserie rivali. More
Indagini sui video e i tre telefonini della vittima (Corriere p.20). Il killer è fuggito su una moto. «Lo ha aspettato un complice». Nei tabulati il nome del traditore (Messaggero p.17).
L’conomia arranca… Azienda Italia, la grande frenata. Cresce poco e si ferma l’export. Rapporto Mediobanca sulle principali società industriali e dei servizi. Nel 2018 bruciata la metà dell’aumento del fatturato dell’anno precedente.More
In salita utili e cedole grazie al calo delle tasse (Repubblica p.34). La manifattura batte i servizi. La crescita è del 29% in 10 anni. Il valore aggiunto del terziario è sceso del 5%e il pubblico del 7%. A tirare la volata le imprese medie, con un aumento delle vendite pari al 4,1% (Corriere p.39). Mediobanca: rischio dazi sull’economia in frenata (Stampa p.18).
…anche in Germania. Il gelo dell’export frena la Germania. (Corriere p.40).
E a Londra… Effetto Brexit. Londra verso la recessione. Per la prima volta da 7 anni, l’economia britannica si restringe. Nel trimestre aprile-giugno il Pil è sceso dello 0,2 per cento, portando il Regno Unito sull’orlo della recessione (definita da due trimestri negativi di seguito). La Gran Bretagna si avvicina dunque all’uscita dalla Ue, prevista per il 31 ottobre prossimo salvo rinvii, confermando i timori espressi dalla stessa Banca d’Inghilterra che la Brexit provocherà una crisi economica (Repubblica p.34).
Giappone. Giappone, il Pil cresce più del previsto e in ottobre scatta l’aumento dell’Iva (Sole p.13).
Petrolio. L’Agenzia internazionale dell’energia taglia le stime. A settembre il Wti era a 74 dollari al barile, ieri a 54,5. “Il prezzo del petrolio calerà ancora”. E gli Usa crescono a spese dell’Opec
(Stampa p.18).
Web. Facebook apre a giornali e tv: “Pagheremo i vostri contenuti”. Il social network cerca l’intesa con alcuni media americani (Stampa p.18). Il potere sottile (e pericoloso) dei colossi del web. Il commento di Daniele Manca sul Corriere (p.32).
Autostrade, tramonta la revoca “impossibile”. L’iter per ritirare la concessione mai partito. E la crisi di governo lo affossa. Una forzatura sarebbe costata allo Stato 25 miliardi di indennizzo (Messaggero p.14).
Boom di case all’asta. Ma i prezzi dimezzati colpiscono i debitori. Le nuove regole aiutano le banche e tagliano i tempi di esecuzione. Anna Greco su Repubblica (p.35).
Uber. Sharing economy. Uber crolla a Wall Street dubbi su conti e futuro (Repubblica p.35).
Hong Kong, Pechino all’attacco: “Gli Usa fomentano i disordini”. L’ambasciatore in Italia contro Washington: “Così soffia sul fuoco delle proteste” (Repubblica p.32). La protesta dei giovani arriva in aeroporto. “Appello ai turisti” (Stampa p.17). «Gli Usa dietro il caos a Hong Kong». Funzionari americani muovono i fili. La replica: estranei, regime criminale (Corriere p.12).
Trump contro gli 007. Non c’è pace per i vertici dei servizi Usa. Dopo Coats, il presidente silura anche la sua vice Gordon, per 25 anni alla Cia. Ma ora l’ex numero due dell’Fbi fa causa (Repubblica p.15).
Il superdrone di Putin, un “Cacciatore” dei cieli per i vent’anni al potere. Mosca presenta il nuovo velivolo da combattimento: va a 1000 km all’ora. Un armamento che può rimettere in discussione gli equilibri militari. L’S-70, secondo i produttori, ha un’autonomia di 5 mila chilometri (Repubblica p.16).
Amazon. Fornitori di Amazon nei guai: sfruttano gli studenti. Inchiesta del Guardian sulla cinese Foxconn: ragazzi al lavoro di notte per 10 ore e pochi yuan (Corriere p.12).
Francia. Emergenza sanità pubblica. Tagli e pochi medici in corsia. Bloccati oltre 200 pronto soccorso. Scioperi a catena: non ci sono abbastanza camici bianchi. Pazienti abbandonati sulle barelle (Stampa p.10).
Indagato. Americano bendato in caserma indagato il carabiniere della foto. C’è un nuovo carabiniere indagato per rivelazione del segreto d’ufficio nella vicenda della fotografia del ragazzo bendato. More
La foto scattata a Gabriel Natale Hjorth, 18 anni, negli uffici del reparto operativo dei carabinieri di via In Selci nel giorno del suo interrogatorio, il 26 luglio scorso. Un’immagine che lo ritrae ammanettato dietro la schiena, con un foulard sugli occhi. «Due ore dopo quello scatto i ragazzi hanno confessato: in che condizioni di libertà e di garanzia lo hanno fatto?» dice l’avvocato Roberto Capra, difensore di Elder. Qualcuno durante quell’interrogatorio scattò la foto: ed è proprio il militare a cui la procura è arrivata ieri dopo aver analizzato centinaia di messaggi e aver sentito in tutta Italia militari che avevano ricevuto il WhatsApp con l’immagine. Sul caso indaga anche la Procura militare (Repubblica p.33).
I Prefetti del mare. Un Corpo nobile, votato a salvare vite e a governare i porti. Cosa resta della Guardia costiera ai tempi di Salvini, “Capitano”, mai ammiraglio
Foglio p. IV
Borsa. La borsa s’è svuotata. Sono sempre di più i piccoli risparmiatori e gli imprenditori che si tengono lontani da Piazza Affari. Per investire i soldi ci vuole fiducia. E allora meglio il materasso, i gioielli o i titoli di stato tedeschi. Stefano Cingolani sul Foglio (p.I).
Il citazionista. Non c’è post senza Oscar Wilde. Ecco l’homo sapiens nell’epoca dei social. Poco importa chi ha scritto l’aforisma che l’avventore di internet riporta nella sua bacheca tra un tramonto e un drink. E’ stato Shakespeare o forse Freud, Carlo Marx o Tiziano Terzani? Foglio p. VI