Venerdì ventitre agosto
Buongiorno. Dopo il primo giro di incontri, il Colle dà i cinque giorni a Pd e grillini. Martedì le nuove consultazioni. Tensioni durante le trattative tra i due partiti. Zingaretti apre a Di Maio. Ma Renzi se la prende con Gentiloni che vuole far saltare la trattativa. Salvini offre il posto di premier a Di Maio purchè non faccia l’alleanza col pd: pronti a ripartire. Buona lettura a tutti.
Cinque giorni. Il Colle dà 5 giorni a Pd e grillini. Martedì scade l’ultimatum di Mattarella: senza intese si va a votare. Oggi i capigruppo dem e grillini inizieranno a discutere di programma. Se non sarà possibile conferire un incarico di governo, verranno sciolte le Camere. Ugo Magri sulla Stampa. More
Mattarella. Mattarella è deluso partiti troppo prudenti. Il capo dello Stato si aspettava maggiore decisione da M5S e Pd. Il timore che l’Italia resti a guardare sulle scelte Ue. Il fattore tempo: ormai impossibile votare a ottobre. Repubblica a pagina 6. L’irritazione di Mattarella per i due forni 5 Stelle e i leader inconcludenti. «Il ricorso alle elezioni? Una decisione da non assumere alla leggera. Ho il dovere di richiedere, nell’interesse del Paese, decisioni sollecite». Marzio Breda sul Corriere a pagina 3.More
I due forni. L’irritazione del Quirinale per la politica dei due forni. È tornata la strategia andreottiana fondata sull’indifferenza per gli alleati. Sei anni dopo il discorso di Napolitano, il Parlamento non è all’altezza. La Lega, pur di non farsi cacciare all’opposizione, è pronta a cedere molto, perfino a cancellare il veto che l’anno scorso impedì al capo politico pentastellato di arrivare a Palazzo Chigi. Massimo Sorgi sulla Stampa a pagina 8.More
I tre punti del Pd. Tre nodi per dare il via al governo. Il Pd ora vuole rivedere il bicameralismo perfetto ma i grillini hanno fretta. La riforma porta i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. No alla tassa piatta, restano gli 80 euro. Correzioni sul reddito. Per Zingaretti le risorse dovranno arrivare da una seria lotta all’evasione. Cancellare il Dl sicurezza, la trattativa parte dai dubbi di Mattarella. Il Pd ricorda le lettere del Quirinale che citano principi internazionali. Stampa a pagina 3. ll Pd inventa tre paletti suicidi soltanto per far fuori Renzi Zingaretti (e Gentiloni) bloccano il taglio dei parlamentari L’ira dei renziani: «Condizioni messe per farsi dire di no». Giornale a pagina 4.
MaZinga. Per il governo MaZinga si cerca un premier “terzo”. Di Maio-Zingaretti d’accordo: trattiamo. Le tre condizioni del leader dem: via i decreti sicurezza, preaccordo sulla manovra e stop al taglio dei parlamentari. Dai gruppi M5S mandato a discutere, ma ai vertici non tutti sono convinti.
Repubblica a pagina 2.
Tranelli. Il giorno dei tranelli incrociati tra i 5s e il Pd (e dentro il Pd). Fidarsi? Le nuove condizioni di Zingaretti, le mediazioni, il Quirinale non vuole il calvario del 2018. Si decide martedì. Salvini sta alla finestra. Valentino Valentini sul Foglio in prima.
Minzolini e il sabotatore. Caos Pd-M5s, trappola Lega: il nuovo governo va all’asta. Parte dei dem spinge per l’accordo, Di Maio cincischia Salvini prova a sabotare il matrimonio ma è tardi… Scrive Minzolini: “Chi ha incasinato tutto? Quel mito di Gentiloni” dice Renzi. Ieri è stata la giornata dei sabotatori. Il petardo lo ha lanciato Gentiloni nell’incontro con Mattarella al Quirinale che in questi giorni se ne era rimasto zitto zitto, ma tutti sapevano che il suo pensiero propendeva per le elezioni anticipate. Ieri nel colloquio con il capo dello Stato ha preso la parola inaspettatamente per dire che il taglio dei parlamentari non è roba da fare, lasciando di stucco i capigruppo del Pd, che gli erano accanto, Marcucci e Delrio. Zingaretti, invece, ha fatto finta di niente, non si sa se perché complice di Gentiloni o per distrazione. Ora uno per dar vita ad un governo con i grillini può chiedergli tutto, ma proprio tutto, meno di rinunciare al taglio del parlamentari. C’è da vedere cosa si inventeranno ancora «i sabotatori», anche se pure loro corrono rischi da non trascurare: ormai sull’intesa con i 5 stelle si sono spostati tutti i maggiorenti del Pd, da Franceschini a Delrio, da Orlando a Renzi, da Prodi a Veltroni. E l’insofferenza sull’atteggiamento, per alcuni versi ambiguo, di Zingaretti, comincia a lievitare. «Il segretario non ha capito – si infervora Enrico Borghi, deputato del nord del Pd – che se si va ad elezioni e si perde, il primo a cadere è lui. In più si assumerà la responsabilità di aver permesso una svolta autoritaria nel Paese». Augusto Minzolini sul Giornale a pagina 2. More
Nomi. Verso un premier terzo. Si allontana il Conte bis. L’ipotesi di una donna Messaggero a pagina 5. Giovannini e gli altri “tecnici” per Palazzo Chigi. Circolano anche i nomi di Cantone e Cassese. E l’ipotesi della prima donna a Palazzo Chigi. Repubblica a pagina 3. Da Grillo la carta Giovannini. Ma poi si sfiora la rottura. La chiamata di Franceschini dopo le parole di Di Maio: non ha mai parlato di noi. Corriere a pagina 5. I Cinquestelle pronti a sacrificare Toninelli. Conte all’angolo. Proroga per il commissario Ue. Stampa a pagina 5. Commissario Ue, più tempo all’Italia il nodo sarà sciolto dal nuovo governo. Il presidente del consiglio uscente si chiama fuori ma lascia uno spiraglio: «Se me lo chiedono…». Messaggero a pagina 5.
Nomine. La partita nomine: da Alitalia ai big 400 poltrone entro l’anno prossimo. Quattrocento poltrone da assegnare nell’aricipelago delle società pubbliche. È la dote che la crisi di governo aperta da Matteo Salvini consegna al nuovo esecutivo che verrà, nel quale potrebbe rientrare il Pd, cioè lo stesso partito che ha messo l’imprimatur a quasi tutti gli incarichi in scadenza. Sole a pagina 4.
Si al dialogo. Di Maio crede all’intesa dopo le rassicurazioni sul Parlamento ridotto. Il Pd incassa una legge elettorale proporzionale. I dubbi di Casaleggio. Il sì 5 Stelle al dialogo con il Pd. C’è la fronda degli scontenti. Giallo su una frase attribuita a Casaleggio contro la trattativa. Lui: notizia inventata. Corriere a pagina 6.
Di Battista e Fico. L’imbarazzo di Di Battista che vorrebbe il ritorno al voto e l’«estinzione» dei dem. «Condivido le parole di Luigi». Ma è gelo sulla trattativa. Negli ambienti 5 Stelle il sospetto che voglia le urne per defenestrare il capo politico. Corriere a pagina 6. Conte scende, Fico sale: e adesso fa paura a Di Maio. Fatto a pagina 4).
Intervista a Di Maio. «L’intesa con i dem? Tagliamo gli eletti. E per il mio futuro non cerco poltrone. Ci vuole rispetto per Conte. Noi parliamo di temi, come il taglio dei parlamentari, che è il nostro primo punto. L’obiettivo è dare solidità alla legislatura, serve ai cittadini, serve a evitare che aumentino le tasse». Emanuele Buzzi intervista Di Maio sul Corriere a pagina 7.More
Roma e la Raggi. Stoccata di Raggi al capo politico: «Nei tuoi dieci punti manca Roma». La sindaca interviene sulla proposta dei grillini: «Quale che sia il governo dovrà tenere conto dei poteri alla città». Si allarga la distanza tra il Campidoglio e il leader M5s: «Ormai mi sento le mani libere». Messaggero a pagina 6.
Le richieste dei Cinquestelle. Intesa su ecologia e sociale. I nodi: migranti e Benetton. C’è sintonia su temi come l’ambiente e le autonomie, ma il Pd vuole lo stop ai decreti sicurezza e i 5S incalzano su autostrade. Fatto a pagina 4. Telefonata Zingaretti-Renzi: ora Di Maio chiuda con Salvini. La sfida dei dem “Il nome del premier si sceglie insieme”. Stampa a pagina 3.
Coalizione. La scommessa del Pd trasformare il patto in coalizione politica. Il segretario resta incerto sull’esito del confronto. Ma tra i dem cresce l’idea che le riforme di Costituzione e legge elettorale possano essere base di un’alleanza stabile. Bettini: “Con tre poli l’alternanza è impossibile”. Forse domani l’incontro tra Di Maio e Zingaretti. Repubblica a pagina 3.
Intervista a Matteo Orfini: “Grave aver anticipato ai media la posizione del partito prima delle consultazioni al Quirinale. Il Pd non ha dato un bello spettacolo. Sarà difficile trovare l’accordo col M5S. Se il partito non resta unito è molto rischioso imbarcarsi nell’avventura di un nuovo governo”. (Stampa p.6). La lunga attesa di Zingaretti che alza la posta e poi apre. Le prime mosse avevano suscitato l’ira dei renziani. Sala: io candidato premier? Milano ha bisogno di me. (Corriere p.8). Cuperlo «Giusto provare solo se c’è una svolta. I decreti Sicurezza contro i nostri valori». (Corriere p.8).
Il puzzle del programma. I 10 punti grillini e i 3 di Zingaretti ecco dove si incontrano e dove no. Dal taglio dei parlamentari alla riforma elettorale, dall’ambiente all’immigrazione fino all’autonomia differenziata e al conflitto di interessi Progetti, idee e culture diverse tra Pd e M5S. Che potrebbero trovare una mediazione. (Repubblica p.4)
Ne resterà solo uno. Zinga contro Renzi, e viceversa. La guerra di scacchi all’ultimo sangue per prendersi il Pd. All’ombra della crisi. Salvatore Merlo sul Foglio in prima.
Conte in campagna: “M5S e Lega? Sarebbe sindrome di Stoccolma” (Fatto p.6).
Bersani tra ricordi e consigli. «Fare lo streaming fu utile. Ora serve molta generosità». Il protagonista dell’incontro di 6 anni fa con il M5S: niente regali alla destra. (Corriere p.9).
No alla Gronda, è già lite Pd-M5s Poi Toninelli frena: si farà corretta Costi-benefici. Scontro dopo il rapporto ministeriale. Morassut (Pd): segnale che non aiuta il dialogo Noi vogliamo fare le opere strategiche. Nota dura di Aspi. Confindustria: irresponsabile comprometterla. (Sole p.4)
Salvini lancia l’ultima offerta. L’apertura su Di Maio premier. La mano tesa del ministro: io non porto rancore. Poi il summit con i fedelissimi. «Sono tranquillo». Ritenevo e ritengo che Luigi Di Maio abbia lavorato bene. Agli insulti di altri preferisco non rispondere. Tutto pur di non vedere arrivare al governo il Pd. Tutto pur di non ritrovarci con Renzi e la Boschi. (Corriere p.10). Salvini tenta Di Maio: pronto a farti premier. Il leader della Lega rilancia: governo di 4 mesi per sterilizzare l’Iva, ridurre i parlamentari, rifare la legge elettorale. Nel Carroccio non si escludono nuovi contatti con i 5 Stelle. (Stampa p.7). Salvini all’angolo offre Palazzo Chigi a Di Maio per salvarsi. La proposta del leghista: l’ex alleato presidente del Consiglio, Conte commissario Ue e lui vicepremier unico dal Viminale. Il no dei 5S. Giorgetti: “Ma perché fa tanta paura restare all’opposizione?” (Repubblica p.10).
Si mette male: Salvini non sa che fare Adesso tutto è nelle mani di Pd e M5S: solo la cabina elettorale può saIvare l’ex vicepremier. Alessandro Giuli su Libero (p.8).
L’Aventino di Giorgetti. Gli avvertimenti lanciati prima della crisi. Scrive nel suo retroscena Francesco Verderami sul Corriere (p.10). Prova l’ultima trattativa con il grillino Stefano Buffagni, così fuori tempo massimo da apparire, più che un vero tentativo di intesa, un espediente per dividere i Cinquestelle e sabotare il loro accordo con i democratici. «Anche perché — dicono nel Carroccio — se oggi provassimo a rimetterci con Di Maio scoppierebbe il Nord. E allora non ci resta che confidare in quel pezzo di Pd desideroso come noi di andare alle elezioni: chi mai l’avrebbe detto che avremmo fatto il tifo per Zingaretti?». (Corriere p.10).
Lo strappo del Nord. “La Lega di Roma ha tradito le imprese”. Partite Iva, artigiani e commercianti restano attratti dal richiamo sovranista ma le grandi industrie ora non vogliono scontri con l’Europa. (Repubblica p.13).
L’Aventino di Giancarlo Giorgetti nella Lega è la sua postura. È il modo plateale con cui in questi giorni tenta di sfuggire alle foto di gruppo con Salvini. Sono le battute surreali usate persino con i ministri del Carroccio, che liquida con un «non so nulla, chiedete a Matteo, è lui il capo». L’eclissi del sottosegretario alla Presidenza è il suo cellulare che squilla a vuoto. Sono i vani tentativi del governatore lombardo di parlargli in vista delle riunioni preparatorie per l’Olimpiade di Milano e Cortina. È la sua assenza alle consultazioni al Quirinale. Lì dove era salito in luglio per parlare con Mattarella, e non solo per spiegargli che si tirava fuori dalla corsa per la Commissione europea. Allora — raccontano fonti autorevoli — Giorgetti aveva preannunciato al capo dello Stato che l’esperienza del governo gialloverde stava per consumarsi, e d’intesa con il segretario del partito aveva delineato un percorso che faceva prevedere una deadline dell’esecutivo in settembre. Invece Salvini ha precipitato tutto in agosto. E sta (anche) nella gestione della crisi il motivo di una rottura che si evidenzia in piccole frasi e grandi gesti di dissenso, e che i leghisti avvertono epidermicamente quando sentono il Capitano scagliarsi contro «gli statisti del giorno dopo». Eppure, per quanto Giorgetti non ci sia, alla fine c’è sempre. Prova l’ultima trattativa con il grillino Stefano Buffagni, così fuori tempo massimo da apparire, più che un vero tentativo di intesa, un espediente per dividere i Cinquestelle e sabotare il loro accordo con i democratici. «Anche perché — dicono nel Carroccio — se oggi provassimo
a rimetterci con Di Maio scoppierebbe il Nord. E allora non ci resta che confidare in quel pezzo di Pd desideroso come noi di andare alle elezioni: chi mai l’avrebbe detto che avremmo fatto il tifo per Zingaretti?». A tale proposito, ieri Giorgetti aveva vissuto come un bagliore di speranza la presenza di Gentiloni nella delegazione dei dem che era salita al Colle… Per il bene del partito si augura di sbagliare, ma teme l’avverarsi della profezia che aveva confidato a Salvini quando all’inizio dell’estate lo invitava a staccare la spina a Conte: «Matteo, i nostri avversari si stanno organizzando. Non ti faranno fare le elezioni la prossima primavera». Non tutti erano d’accordo nella Lega. Nell’ultima riunione, prima del vertice di Salvini al Viminale con le parti sociali, il ministro dell’Agricoltura, Gian Marco Centinaio, aveva detto: «Occhio, che in giro la gente non è preparata alla crisi». La risposta di Borghi fu sferzante: «Frequento altri tipi di mercati, e quelli dicono che dobbiamo rompere». Ma in politica i tempi sono decisivi, e il tempo giusto era passato, nonostante la Bongiorno insistesse con Salvini: «O molliamo, o do le dimissioni». Ieri i dirigenti della Lega hanno trascorso la giornata come una volta si trascorreva la domenica: con l’orecchio teso ad ascoltare i risultati di calcio. Il cellulare al posto della radiolina, hanno saputo che Mattarella era stato «freddo e scettico con Salvini» ma che «se il Quirinale non presserà Partito democratico e Movimento5Stelle, ci sono ancora possibilità di arrivare al voto». Il fatto che si sia chiusa la finestra di ottobre, affievolisce le loro aspettative. E per il due di novembre Giorgetti ha preso già un impegno: sarà a Manchester, a vedere il City giocare contro il suo Southampton. Cattivo presagio.
I sondaggisti: con la crisi calo di consensi per la Lega. In attesa delle nuove rivelazioni sulle intenzioni di voto, che per tutti gli istituti arriveranno non prima di una settimana, molti sondaggisti concordano sul fatto che la crisi abbia generato un calo del consenso per Lega e per Matteo Salvini. (Stampa p.5).
La Bestia. Il suo team digitale costava 316 mila euro l’anno allo Stato, adesso torna a carico del partito Matteo fa gli scatoloni, ora la “Bestia” chi la paga? La macchinetta di Morisi pesava 170 mila euro, in 14 mesi sono diventati quasi il doppio. (Fatto p.8).
E ora “la Bestia” chi la paga? Tra i tanti ottimi motivi per cui Matteo Salvini vorrebbe incatenarsi al Viminale ci sono i soldi, ovviamente. Da ministro ha compiuto un’operazione rischiosa, mescolando pubblico e privato: la macchina della propaganda politica che ha fatto le sue fortune è stata trasferita in blocco a Roma. È LA FAMIGERATA “Bestia”, appunto. Un’invenzione di Luca Morisi, capo della comunicazione digitale del “Capitano”: è il team che orienta le parole d’ordine del leader seguendo gli impulsi del web e che inonda i suoi profili social con video, foto, dirette e dichiarazioni. È stato il motore dell’incessante campagna che ha portato la Lega al 34% delle Europee. Prima della nomina di Salvini agli Interni, Morisi e i suoi venivano pagati dalla Lega con un contratto privato da 170 mila euro l’anno alla società Sistema Intranet srl. Dopo le Politiche del 4 marzo, “il Capitano” se li è portati tutti al ministero: il loro stipendio al momento lo paga lo Stato. Morisi è stato assunto come “consigliere strategico per la comunicazione” a 65 mila euro l’anno. Il suo socio storico Andrea Paganella è il capo della segreteria del ministro e prende 85 mila euro. Con loro al Viminale c’è anche il figlio del presidente della Rai: Leonardo Foa, già nell’organico di Sistema Intranet dal settembre del 2017. Con i fasti romani però “la Bestia” s’è ingrossata e nello staff che cura i social sono entrati altri tre “ragazzini”: Fabio Visconti, Andrea Zanelli e Daniele Bertana. Tutti e quattro (compreso Foa) guadagnano 41.600 euro l’anno. Li paga il Viminale, malgrado la comunicazione digitale di Sal
vini non abbia nulla di istituzionale. I conti sono semplici. Prima la “Bestia” costava 170 mila euro e li pagava la Lega. Ora la macchinetta di Salvini costa 316 mila euro l’anno, quasi il doppio, e li paga lo Stato. COSA succederà quando “il Capitano” avrà fatto gli scatoloni? Non si sa: Salvini ha altro a cui pensare e non ha dato indicazioni sul destino di chi ha il contratto in scadenza. Il bilancio leghista non concede voli pindarici: i famosi 49 milioni da restituire all’erario sono stati spalmati in 76 rate a interessi zero, ma pesano per 600 mila euro l’anno. L’ultimo esercizio (2018) si è chiuso con un disavanzo di 16,5 milioni. La Lega oggi vive dei contribuiti pubblici del Parlamento e delle donazioni private dei suoi onorevoli. Se si andasse a votare – e venissero confermati i sondaggi – aumenterebbero entrambi in modo esponenziale. Per il resto non ci sono certezze. IL PROBLEMA, peraltro, non riguarda solo “la Bestia”: oltre a quelli impiegati nei social, ci sono molti altri professionisti portati da Salvini in Viminale e Palazzo Chigi (in qualità di vicepremier). C’è soprattutto Matteo Pandini, capo ufficio stampa agli Interni (90 mila euro l’anno) che dopo aver guidato l’aggressiva comunicazione del leghista sui migranti, è entrato a tutti gli effetti nella squadra della comunicazione leghista, ma rischia di dover tornare al vecchio lavoro di giornalista a Libero. Poi i vari consiglieri come Stefano Beltrame, ex console italiano a Shanghai, chiamato al Viminale per 95 mila euro, Gianandrea Gaiani (65 mila euro), esperto di Difesa e volto dei salotti televisivi, l’ex parlamentare leghista Luigi Carlo Maria Peruzzotti (41.600 euro) e il giovane Andrea Pasini (41.600 euro), blogger e imprenditore (i salumi dell’azienda di famiglia riforniscono il ristorante PaStation del figlio di Denis Verdini). A Palazzo Chigi invece Salvini ha messo a libro paga, tra gli altri, la sua storica portavoce Iva Garibaldi(120 mila euro), il sondaggista Alessandro Amadori (65 mila euro) e il consigliere Claudio D’Amico (65 mila euro), l’uomo che si occupa degli affari russi, presente al famoso incontro del Metropol di Mosca con Salvini e Savoini.
Silvio e Meloni vogliono il voto: «La Lega non faccia retromarce». Il Cav: «Sapevo che di Matteo non ci potevamo fidare, ma senza di noi non vince» La presidente di Fratelli d’Italia: «Basta bazar, le elezioni unico esito possibile». (Libero p.8). Berlusconi alza la voce con Matteo: senza di me il centrodestra non vince. Controffensiva del Cav: «Carroccio in calo, un pugno di responsabili 5Stelle può darci la maggioranza». I timori dell’ex premier e dei suoi per le proposte dei pentastellati su editoria e tv. (Messaggero p.9). Berlusconi, un’ora di incontro. «L’incarico al centrodestra oppure si va subito alle urne». Il sondaggio che rassicura Forza Italia: la Lega senza di noi non può vincere. (Corriere p.11)
La crisi e gli italiani in spiaggia: la politica supera il calciomercato. Il boom dell’informazione su La7. Sul sito del Corriere 4 milioni di utenti unici in media su smartphone, pc e iPad. (Corriere p.11). La crisi di governo manda in crisi anche la Rai sovranista, tutti sul chivalà, finite le spavalderie. Il destino del presidente imposto da Salvini. (Foglio prima).
Lettera al Corriere dell’amministratore delegato di Apple. «Più etica nel mondo digitale. L’eredità dell’amico Buttarelli». Tim Cook e il Garante della privacy scomparso: il suo lavoro darà frutti per anni. Si erano conosciuti nel 2015 aMilano «Non scendeva mai a compromessi sui suoi valori e sul pubblico interesse». (Corriere p.21).
ECONOMIA
“Vivendi fa scendere i nostri titoli in Borsa”. Mediaset presenta un esposto alla Consob. Il gruppo francese replica a Cologno Monzese: “Stiamo proprio zitti, visto che ci accusano di parlare troppo”. Il biscione attacca: il mercato ci premia, il nostro progetto è valido. L’ira di Bolloré per l’intesa tra Berlusconi e tf1. (Stampa p.20).
Tre opzioni per l’Iva. Possibili risparmi fino a 5 miliardi. Le valutazioni tecniche. Nel menù il rinvio di due o quattro mesi del blocco degli aumenti. Altre ipotesi: «rimodulazione» dei beni e possibile mix con l’aumento parziale di una delle aliquote. Effetto aumenti sulla crescita: Pil in frenata dello 0,3-0,4%. Gli incrementi di aliquota ridurrebbero il debito pubblico. (Sole p.5).
Crescita 2019 ferma allo 0,2%. Crescita dimezzata per l’anno in corso e inferiore rispetto alla precedente previsione per il prossimo. Moody’s ha tagliato le stime di crescita dell’Italia sia per il 2019 che per il 2020. Per l’anno in corso la proiezione è di una crescita modesta pari allo 0,2% rispetto al +0,4% atteso a giugno; per il 2020, invece, l’agenzia di rating si attende un’espansione al ritmo dello 0,5%, ovvero tre decimi in meno delle stime di due mesi fa. (Corriere p.28).
Pubblica amministrazione. Tremila vincitori di concorso, ma soprattutto 86 mila idonei in lista di attesa da anni potrebbero non entrare nella Pubblica amministrazione. Migliaia in graduatoria che, pur non avendo vinto il concorso, sono stati giudicati «idonei». Ma l’ultima manovra ha stabilito che le graduatorie avranno una scadenza. (Corriere p.28).
Tassi e Fed, nuovo affondo di Trump. Il presidente Usa: bene la Germania, uscire dalle sabbie mobili. Oggi l’intervento di Powell a Jackson Hole. (Sole p.16).
Ora si chiamano “prestiti magri”. Li favorisce la deregolamentazione Ma restano un pericolo per la stabilità del sistema finanziario Tornano i mutui subprime Negli Stati Uniti già 21 miliardi di prestiti. (Stampa p.21).
L’ombra della recessione. L’economia globale sta rallentando. E per l’Italia è già stagnazione. Ieri la Banca centrale europea ha lanciato un allarme sui crediti deteriorati in possesso delle banche: “Liberatevene prima che la situazione peggiori”. La grave frenata tedesca. (Repubblica p.12). Dalla Bce regole meno rigide per smaltire i crediti deteriorati. Ma i sindacati bancari avvisano: più difficile finanziare le imprese. Accolti i rilievi Ue per i nuovi prestiti. In cinque anni dimezzate le sofferenze. (Stampa p.21).
Nuova emergenza Ilva: per salvarla serve un altro Cdm. Stallo senza precedenti, mecessaria la presenza dei ministri leghisti. (Sole p.4).
I super aumenti dell’Iva a cui si è impiccata la manovra 2019 rischiano di schiacciare l’economia italiana verso un nuovo anno di stagnazione. Ma anche le misure alternative da mettere sul tavolo per evitare la lievitazione delle aliquote, nell’impossibilità di finanziare integralmente a deficit il mantenimento dell’Iva attuale, presentano un dazio in termini di crescita: perché anche i tagli di spesa hanno un effetto recessivo, così come l’aumento della pressione fiscale che arriverebbe da una revisione delle tax expenditures senza un taglio Irpef. Il tutto mentre la gelata tedesca, gli allarmi sul rischio di recessione Usa e le altre crescenti incognite internazionali spingeranno a rivedere al ribasso il +0,6% tendenziale stimato ad aprile dal governo per il prossimo anno. Su questo problema è saltato il fragile equilibrio del governo giallo-verde. Dallo stesso problema dovrà ripartire il prossimo governo, qualunque sia la via d’uscita dalla crisi. Per questa ragione tutti i partiti sostengono ora l’esigenza di fermare gli aumenti Iva; ma nessuno per ora spiega come farlo.
Cervelli in fuga, addio startup. Ogni mille persone che lasciano il Paese per via della crisi perdiamo dieci aziende innovative. Il 40 % di chi se ne va è laureato. Dalle 410 mila nuove imprese del 2010 siamo passati alle 348 mila del 2018. Penalizzate soprattutto Veneto e Lombardia. (Repubblica p.34)
9 Giornali
Facebook vuole iniziare a informare i suoi 2,4 miliardi di utenti in modo esaustivo e corretto. E per farlo ha bisogno di giornalisti e accordi con gli editori. Secondo la stampa americana, negli Stati Uniti il colosso di Menlo Park sta creando una piccola squadra di giornalisti per selezionare le notizie più importanti e metterle in evidenza. Dove? In uno spazio alternativo al News feed degli aggiornamenti degli amici che si chiamerà News Tab. Sarà soprattutto l’algoritmo a organizzare i contenuti di testate con cui Facebook è pronto a sottoscrivere accordi milionari. La squadretta di giornalisti, come detto, dovrà occuparsi solo degli argomenti caldi ed evitare quello che è successo tre anni fa nella sezione Trending, antesignana dello scandalo fake news con l’accusa di diffondere storie vecchie o false o fuorvianti, poi soppressa nell’estate del 2018. Il nuovo flusso verrà testato negli Usa a fine ottobre e debutterà, sempre negli States, all’inizio del 2020. La strategia segue quella di Apple (News) e se Facebook la perseguirà con costanza potrebbe migliorare la qualità informativa della piattaforma e dare nuove opportunità di monetizzazione ai giornali.
Fuga dal giornale tradizionale
Ricomincia il 20 settembre il “tour” del giornale più bello d’America, che rispondendo a un’esigenza diffusa – un giornale non lo vogliamo neanche regalato, ma faremmo a pugni per vedere i suoi giornalisti in carne e ossa in una cornice come si vuole splendida ed esclusiva per le masse – furbamente esce quasi solo in versione “live”. Si chiama California Sunday Magazine ed è un mensile smilzo distribuito negli Stati Uniti in accoppiata coi maggiori quotidiani (e spedito scaltramente ai Cap o Zip più abbienti e interessanti) ma soprattutto in versione dal vivo che si chiama Pop Up Magazine. Si svolge in teatri, nulla è registrato e può essere registrato o twittato, tutto avviene in diretta. “Devi essere lì, è una cosa che nasce e muore lì” ci aveva detto il direttore Doug McGray, ex New Yorker. “Spesso vai a vedere spettacoli che sono progettati per la tv, invece noi volevamo fare il contrario, per questo non li filmiamo, sono fatti per il pubblico teatrale, tu compri il biglietto, porti gli amici o una fidanzata, è un evento irripetibile, ascolti le storie perché sai che non sarà mai uguale. Qualcosa che vieni a vedere apposta”. “Non siamo in cerca dei tuoi trenta secondi di attenzione, mentre armeggi su cinque device diversi. Né del tuo tempo mentre sei a casa, con amici e famiglia mentre guardando la tv chatti o twitti, qui invece devi farti coinvolgere”, dice invece Chas Edwards, che è l’editore, quello che ci ha messo i soldi. E’ anche lo startupparo del gruppo: precedentemente ha lavorato a CNet e ha fondato il portale Digg, oltre a essere il cofondatore di Federated Media, una delle aziende pioniere nella pubblicità online. Anche le pubblicità sono estemporanee e “live”, una diversa per ogni spettacolo. Quest’anno per la rentrée che parte dalla California per arrivare dall’altra costa c’è una novità, il Pop Up Magazine diventa tematico, e il tema è la fuga. “Escape” è il titolo, e prevede fughe “dalla politica. Dal passato. Da paesi ostili. Dal climate change. Da Internet. Forse anche da noi stessi”. I biglietti si trovano online, e sono abbastanza cari.
Newsletter delle vanità “AIR MAIL”, LA NUOVA AVVENTURA EDITORIALE DI GRAYDON CARTER
Nella lotta per inventarsi giornali camuffati da non giornali, non somiglianti insomma a quei manufatti radioattivi che nessuno tollera più neppure gratuiti, adesso arriva “Air mail”, la newsletter diretta da Graydon Carter. Settant’anni da poco compiuti, ha guidato Vanity Fair America per venticinque, diventando la cosa più simile ad Anna Wintour (per temibilità, influenza, capigliatura che resiste alle mode). Ha inventato il party post Oscar, la Hollywood Issue, l’ossessione per celebrità e politica, insomma il modello del Vanity Fair che si è amato. Adesso, l’idea di questa newsletter, nata come “l’edizione del weekend di un giornale internazionale che non esiste”, secondo le intenzioni del fondatore. Arriva nella casella della posta col mittente “Graydon Carter”, che potrebbe servire come marketing snobistico. Ma non è la trovatina di un ex direttore star, anzi è, per usare un milanesismo, “tanta roba”. Sono circa venti articoli per volta, si parla di viaggi, celebrità, stili di vita, politica, perfino di Trump (Carter, che nel suo ufficio a Vanity Fair aveva un muro con incorniciati i 49 tweet che il presidente gli ha scagliato contro negli anni, “l’unico muro che è riuscito a costruire”, vagheggiava una newsletter “ideata per un mondo Trump-free”. Non ha mantenuto la promessa). Questo nuovo mondo postale di Carter costa 50 dollari all’anno, che andranno a retribuire trentuno giornalisti, tra fissi e collaboratori, la cofondatrice Alessandra Stanley (ex New York Times), il cartoon editor Bob Mankoff (ex New Yorker); e tanti, ovviamente, ex Vanity Fair.
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ESTERI
Macron si prepara a un G7 senza accordi. Ricette anti-crisi e Iran spaccano i Grandi. Domani a Biarritz si apre il summit. Non ci sarà il documento finale. I timori per la frenata dell’economia. (Stampa p.11). G7, nell’Ue vince la linea di Berlino e Londra. «Porte chiuse ai russi». Bocciata la proposta di Trump. Via al vertice di Biarritz, tra i temi l’uguaglianza uomo-donna: per il Fmi «fa crescere il Pil mondiale» (Messaggero p.12). G6e mezzo. Da domani Biarritz blindata per il summit dei Sette Grandi. L’Italia ci arriva in piena crisi. E con un premier dimezzato. (Giornale p.10).
Stremati al G7. Conte, Trump, Merkel e tutti gli altri arrivano stropicciati e poco utili al vertice di sabato in Francia Bruxelles. Emmanuel Macron non poteva trovarsi in situazione peggiore per presiedere un vertice del G7. Il presidente americano, Donald Trump, è già lanciato in campagna elettorale e moltiplica i conflitti verbali minacciando perfino la gentile Danimarca dopo il rifiuto di vendergli la Groenlandia. La cancelliera tedesca Angela Merkel è a fine regno e alle prese con una probabile recessione. Il primo ministro britannico, Boris Johnson, è Boris Johnson e deve fare i conti con la Brexit tra due mesi. Il premier canadese, Justin Trudeau, è indebolito da scandali interni. Quello giapponese, Shinzo Abe, si è messo a fare il Trump asiatico con una piccola guerra commerciale contro la Corea del sud. Il presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, si sarà anche liberato dal peso salviniano ma ha dato le dimissioni. Non c’è da stupirsi se il presidente francese abbia rinunciato alla tradizione del comunicato finale del G7, ironizzando sui documenti “che nessuno legge”. (Foglio in prima).
Brexit, Macron non offre nulla a Johnson. Se Boris Johnson sperava di ottenere da Macron quel che Merkel non è disposta a concedergli, o viceversa, il suo viaggio tra Berlino e Parigi è stato abbastanza inutile. Il presidente francese e la cancelliera tedesca si sono mostrati uniti e compatti di fronte alle richieste del neo primo ministro britannico: niente cedimenti sul «backstop», niente concessioni al di fuori dei negoziati già conclusi da Theresa May e, ahilei, respinti dal parlamento. Ma, se il nuovo inquilino di Downing Street ha qualche brillante idea dell’ultim’ora per un’uscita concordata dall’Unione ben venga. (Corriere p.15).
Il popolo di Hong Kong: una catena umana come nell’Urss del 1989. Oggi gli attivisti comporranno un serpentone di 40 km nella città. L’iniziativa s’ispira a quanto fecero i Baltici esattamente 30 anni fa. (Stampa p.10).
Mosca porta l’energia nell’Artico con la centrale nucleare galleggiante. Salpa oggi la prima struttura mobile. La Cina raccoglie la sfida: 20 impianti nel prossimo decennio. I timori degli ambientalisti: rischiamo una Chernobyl sul mare. (Stampa p.11).
Amazzonia devastata dai roghi. Bolsonaro: “Sono state le Ong”. Il presidente incolpa le organizzazioni ambientaliste: “Hanno perso i finanziamenti, così seminano il panico”. Sui social e in piazza scatta l’indignazione: accuse false. I “fazendeiros”: pronti a occupare le terre bruciate. Ad Altamira solo il 10 agosto si sono registrati 194 incendi in poche ore. (Stampa p.13). Al ritmo di tre campi da calcio al minuto brucia il «polmone» del mondo. Bolsonaro: «Bufale per sottrarci la sovranità». Oslo e Berlino bloccano gli aiuti. Il presidente: «Merkel piuttosto riforesti la Germania». (Corriere p.15).
“L’Amazzonia muore nel fuoco. La colpa è di Bolsonaro”. Parla Galvão l’ex direttore dell’istituto brasiliano di ricerche spaziali che è stato licenziato dal presidente per aver diffuso dati che denunciano il drammatico livello di deforestazione: gli incendi sono aumentati dell’83% in un anno. Non crede al riscaldamento globale e neanche all’influenza dei nostri spazi verdi sui cambiamenti climatici. Ci porta verso il disastro. Se il governo non agisce rapidamente, in poco tempo è finita. Non solo per noi, ma per il mondo intero. La foresta tra dieci anni sarà arida come la savana. (Repubblica p.15). Ma l’Amazzonia è di tutti. Un commento di Federico Rampini su Repubblica (p.38).
Usa, le città ostaggio degli hacker. Il dilemma: pagare il riscatto? Telefoni, biblioteche, bollette bloccati. Chi non cede spende di più per rimettersi in piedi. (Corriere p.12)
I bambini soli del Mississippi: genitori (clandestini) in carcere. Centinaia si offrono di aiutarli. Gli adulti arrestati durante i raid nelle fabbriche. Solidarietà per i piccoli. (Corriere p.13).
Corridoio umanitario a Idlib. Assad prepara l’attacco finale. Damasco apre la strada ai civili che vogliono lasciare l’ultima roccaforte ribelle. (Repubblica p.24).
Un nuovo caso Regeni “Al Cairo gli arrestati spariscono nel nulla”. Sparito 74 giorni fa. Solo silenzi sull’attivista arrestato Ibrahim Ezz el-Din. La denuncia di Mohamed Lotfy, consulente legale della famiglia di Giulio. “C’è il rischio concreto che l’inchiesta su Giulio venga dimenticata. Almeno qui è tutto fermo. La strategia del regime è lasciar passare il tempo”. (Fatto p.16).