Goffredo De Marchis
Anche la legge elettorale assume un suo fascino perverso e sorprendente quando Arturo Parisi spiega che sarebbe pronto a scendere in piazza con Salvini, a raccogliere le firme con lui, a stare ai banchetti accanto al segretario della Lega, al “fascista”, al “sovranista”. «Ma io mi alleo anche con il demonio per difendere il sistema maggioritario. Sapendo che il diavolo ha i suoi disegni sia ben chiaro». Quando nascerà la legge proporzionale, che insieme al taglio dei parlamentari, è una delle basi del nuovo governo giallo-rosso, l’ex ministro dell’Interno ha già annunciato una chiamata alle armi dei cittadini per riaffermare il principio «che chi prende un voto in più governa». Nella battaglia potrebbe trovarsi al fianco il fondatore dell’Ulivo. «Prima voglio vedere se alle parole seguono i fatti. Però le regole si concordano con gli avversari. Lo scrivemmo al primo punto del programma quando il “nemico” di allora era Berlusconi e lo additavamo come un pericolo per la democrazia. Se ci sono forze politiche che si alleano per il ritorno al proporzionale, non vedo perché altre forze politiche non possano accordarsi per sfidarsi col maggioritario. Non avrei esitazioni a stare dalla parte di Salvini in questo caso». La bomba legge elettorale è destinata a esplodere. È successo che il Partito democratico sta lavorando a un proporzionale puro, come nella Prima repubblica. Il sistema preferito dai 5 stelle, quello che elimina le coalizioni, consente di formare maggioranze solo dopo il voto, dunque anche il giochetto di prestigio che ha portato i grillini dal sostegno all’esecutivo giallo-verde a un nuovo giro di valzer con i nemici del Pd. Mena le danze della “restaurazione” Dario Franceschini che «legittimamente è figlio di un’altra storia, non di quella dei referendum maggioritari degli anni ‘90», dice Parisi. Invece i padri nobili della stagione cresciuta nel solco di quei referendum si ribellano. Walter Veltroni: «Se torniamo al proporzionale sarà il festival della frammentazione e del ricatto. Rivivremo scene di governi che cadevano perché un partitino voleva la presidenza dell’Eni». Romano Prodi: «Il Paese si regge solo nella continuità che può dare il maggioritario». Più chiari di così. Ma sono le uniche voci levatesi in difesa di un pilastro costituente dell’Ulivo e poi del Pd, nato appunto per mettere sotto lo stesso tetto ex Dc ed ex Pci che con il proporzionale avrebbero potuto tranquillamente stare separati e stringere patti dopo le elezioni. «Siamo quattro gatti per ora — ammette Parisi — . C’è anche Mario Segni». E Salvini, se fa sul serio. Manca Matteo Renzi, ovviamente, che immagina un suo partito. Nicola Zingaretti, visto il calibro dei frenatori, sta cercando di rallentare un treno già lanciato tipo Frecciarossa. «Non c’è nessuna decisione presa». Eppure, mentre non si era ancora votata la fiducia al Conte bis in Senato, Franceschini ha riunito i capigruppo del Pd e Andrea Giorgis, responsabile delle riforme, per mettere a punto una road map. Legando la legge elettorale alla discussione sul taglio dei parlamentari. «Zingaretti è figlio della stagione degli amministratori locali eletti direttamente — osserva Parisi — . Dovrebbe rendersi conto che la spinta maggioritaria non si ferma a Roma. Che ci sono i comuni, le regioni». Potrebbe essere quella una base capace di far cambiare idea ai vertici. Giorgis ha promesso un percorso trasparente: voteranno il progetto di riforma la segreteria, la direzione, i gruppi parlamentari. Sarà coinvolta la base e gli amministratori. Su di loro ricadono le speranze dei tifosi del maggioritario. Ma anche qualche sindaco vacilla. «Io sostengo il doppio turno come nei comuni, la soluzione più chiara — dice il primo cittadino di Bergamo Giorgio Gori — . Il maggioritario però non ha garantito la stabilità in questi anni. Allora è più efficace un proporzionale con una soglia di sbarramento alta». Un modo per ridurre i partiti presenti in Parlamento. Ma morirebbero le coalizioni, le alleanze dichiarate prima del voto, «i programmi comuni», come spiega Veltroni. Un’intera storia verrebbe cancellata. «Il Pd è pieno zeppo di dirigenti contrari al proporzionale. Ma sta funzionando la narrazione del pericolo salviniano — sottolinea Parisi – e un cambiamento epocale sembra quasi un fastidio discuterlo».