Marco Bresolin

Ieri mattina Giuseppe Conte ha consegnato nelle mani di Ursula von der Leyen una lista. È l’elenco dei funzionari italiani che il governo intende “sponsorizzare” nelle posizioni-chiave della prossima Commissione. Già, perché una volta distribuite le deleghe a tutti i commissari, ora inizia un’altra delicata partita. Meno visibile, ma altrettanto importante (se non addirittura di più). Quella per “occupare” i gabinetti è una vera e propria sfida a scacchi con gli altri governi, Francia e Germania in primis, che determinerà gli equilibri di potere all’interno dell’istituzione. La mossa di Conte ha certamente il suo peso politico, ma ci sta lavorando anche Paolo Gentiloni. Piazzare nelle posizioni che contano gli uomini e le donne che l’Italia considera capaci di lavorare nell’interesse del Paese lo aiuterà a gestire al meglio l’altra partita. Quella per conquistarsi il suo spazio all’interno dell’esecutivo, dove la figura di Valdis Dombrovskis rischia di essere piuttosto ingombrante. L’inattesa nomina a vice-presidente esecutivo ha creato parecchi malumori. Frans Timmermans, in particolare, si è molto risentito. L’ex premier italiano è ben consapevole di trovarsi all’inizio di un percorso complicato, ma sa anche di poter spendere il suo bagaglio politico e diplomatico per conquistare spazi un passo alla volta. Un po’ come era successo con il salto dalla Farnesina a Palazzo Chigi: arrivato con l’ombra di Renzi sulle spalle, piano piano è riuscito ad emanciparsi. Cercherà la massima collaborazione con il collega lettone proprio per evitare contrasti. L’obiettivo è instaurare un rapporto alla pari, lavorando in modo “complementare”, per portare avanti i dossier che gli sono stati assegnati. Il lavoro da fare non manca, visto che Gentiloni avrà il controllo su tre direzioni generali (Affari economici, Fiscalità ed Eurostat). Sul monitoraggio dei conti pubblici, come già succede oggi, ci sarà un lavoro a quattro mani. E così dovrebbe essere anche per la partecipazione ad Eurogruppo ed Ecofin (la gestione delle presenze è competenza del vice-presidente). Oggi ci vanno sia Pierre Moscovici che Dombrovskis. «Nulla è stato deciso – spiega una fonte Ue -, ma mi aspetto continuità». Sulla riforma del Patto di Stabilità certamente emergeranno le due visioni contrastanti, però ieri il gruppo di esperti indipendenti incaricato dalla Commissione è tornato a chiedere una revisione del Patto. Per semplificarlo, ma anche per introdurre una norma che consenta lo scorporo degli investimenti dal deficit. Musica per le orecchie di Gentiloni. Che intanto sta lavorando alla sua squadra. A Bruxelles, il team di transizione del presidente Pd è guidato da Marco Piantini, suo consigliere per gli Affari Ue quando era a Palazzo Chigi. Indiscrezioni lo indicano come possibile capo di gabinetto. Per quel ruolo si parla anche di Marco Buti, oggi a capo della direzione generale Affari economici. Con l’arrivo di Gentiloni dovrà lasciare l’incarico e dunque potrebbe affiancarlo in Commissione. La sua è una figura puramente tecnica, diversa da quella di Piantini, figura più politica. Timmermans ha puntato su questa seconda opzione, portandosi a Bruxelles Diederik Samson, storico attivista di Greenpeace ed ex leader dei laburisti. Per l’Italia sarà fondamentale avere una forte presenza nei posti chiave, a partire dal gabinetto della Von der Leyen. Dovrebbe entrarci come consigliere diplomatico Stefano Grassi, oggi braccio destro di Federica Mogherini, che prima era stato nell’ufficio di Juncker (si parla di lui anche come capo di gabinetto all’Energia). Resta da capire se Dombrovskis confermerà l’attuale capo di gabinetto, l’italiano Massimo Suardi. Sarà un gioco di incastri e di scambi che inevitabilmente coinvolgerà anche il team di Gentiloni. Nella scorsa legislatura Roma era ben rappresentata, con 17 connazionali nei gabinetti dei commissari (tra cui un capo e quattro vice), oltre quattro direttori generali. La sensazione generale è che a questo giro non sarà facile ripetere il risultato di cinque anni fa.