Al. G.
Quasi 2 miliardi di euro. A tanto ammonta la quota di utili lordi che le maggiori banche italiane realizzeranno nel 2019 grazie alle cedole sui titoli di Stato italiani. Passando dal lordo al netto, il contributo dei «govies» domestici è pari al 13% dei 10 miliardi di profitti netti che le prime 9 banche italiane realizzeranno complessivamente nel 2019. Un dato medio che tiene conto di alcuni picchi: BancoBpm e Popolare Sondrio, per esempio, realizzeranno ben il 35-36% dell’utile netto grazie ai BTp. E anche Ubi Banca potrà contabilizzare circa un quarto dei profitti annuali (24%) grazie ai bond sovrani. Più contenuto il contributo percentuale per le due grandi banche: l’8% per l’«italianissima» Intesa Sanpaolo e il 10% per la «paneuropea» UniCredit (i dati completi sono pubblicati nella tabella a fainco). Le stime, che tengono conto del portafoglio di titoli di Stato in pancia alle banche nell’anno in corso, sono state elaborate da Giovanni Razzoli di Equita Sim. Come si vede, il legame tra banche e BTp continua a essere forte e determinante – in tempi di calo degli interessi dall’attività creditizia – per il conto economico dei maggiori gruppi. Per le piccole banche non quotate, su cui non esistono stime di analisti, il fenomeno dovrebbe essere ancora più accentuato poichè – come ha ricordato al Forex di gennaio il Governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco – «le banche meno significative in genere investono in titoli di Stato una quota degli attivi più elevata». Se il contributo dei BTp resta tuttora determinante per gli utili delle banche, la riduzione dello spread e il rialzo dei prezzi per la contrazione del rischio «Italexit» non devono essere un pretesto per nascondere i pericoli di un’eccessiva concentrazione degli investimenti bancari in titoli sovrani (spesso, quasi solo italiani). Secondo le elaborazioni di Razzoli di Equita Sim, l’esposizione delle prime nove banche italiane ai «domestic govies» è in media pari al 137% del capitale primario di vigilanza (Cet1). Ma anche in questo caso le punte estreme evidenziano concentrazioni del rischio sproporzionate al Cet1: si pensi che il Credito Valtellinese ha un’esposizione ai titoli di Stato italiani che è pari al 364% del Cet1. E Mps, BancoBpm e Popolare Sondrio del 250%. Il clima di «bonaccia» sui mercati sta creando condizioni favorevoli per la riduzione dell’esposizione. E in parte è quello che sta accadendo, con alcune banche che nelle ultime settimane hanno preso ad alleggerire l’esposizione ai BTp. Guardando al mancato contributo agli utili, però, pare difficile pensare che le banche si privino troppo degli interessi derivanti dai titoli di Stato. Malgrado le pressioni della Vigilanza che, in particolare per le banche monitorate direttamente dalla Bce, richiede una riduzione del rischio sovrano come premessa per il completamento dell’Unione Bancaria e l’assicurazione unica dei depositi. Per le banche non esiste alcun obbligo regolamentare internazionale che imponga la riduzione dei titoli di Stato in portafoglio. Il lungo dibattito tra le Autorità globali per la riduzione dei rischi bancari dopo la crisi del 2007- 2008 si è concluso a fine 2017 con il varo delle nuove norme cosiddette di Basilea 4, da cui è stato stralciato qualsiasi riferimento al trattamento dei titoli di Stato presenti nei portafogli bancari, tema particolarmente sentito da molte istituti europei, tra cui quelli italiani in testa, e da quelli giapponesi. Ma l’eccessiva concentrazione del rischio sovrano nelle banche, e in particolare la scarsa diversificazione, è oggetto di moral suasion della Vigilanza Bce. Negli ultimi diciotto mesi, in due fasi l’impennata dello spread ha determinato contabilmente un’erosione temporanea dei Cet1 delle banche italiane che hanno parzialmente tamponato i danni patrimoniali “arbitraggiando” con le due modalità di classificazione contabili concesse (immobilizzati o disponibili per la vendita). Non è detto che la “bonaccia” sullo spread resti in eterno. E l’eccessiva concentrazione del rischio evidenziata dalle elaborazioni di Equita dovrebbe portare alcune banche ad approfittare del clima favorevole sui mercati per ridurre la rischiosità del portafoglio.