Alberto D’Argenio
Europa spaccata e sotto ricatto. Con il rischio che alla fine oltre a non comminare sanzioni a Erdogan per l’invasione della Siria settentrionale, si trovi anche costretta a versare altri 3 miliardi di euro al Sultano. È lo scenario che in queste ore tormenta diplomazie e Cancellerie del continente. Troppa la paura dei paesi esposti sulla Rotta balcanica di ritrovarsi di nuovo sotto la pressione di centinaia di migliaia di profughi come nel 2015. Mentre Francia, Italia e Olanda spingono per non chinare la testa di fronte a Erdogan, Germania, Bulgaria e i quattro di Visegrad non ne vogliono sapere: l’importante è evitare che la Turchia riapra i rubinetti dei migranti. «Non accetteremo ricatti sui rifugiati, le operazioni in Siria devono cessare», dichiarava il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. Dura la Francia, che con il viceministro de Montchalin chiedeva «sanzioni» contro Ankara. Sulla stessa linea il titolare della Farnesina Luigi di Maio, che invocava «misure», mentre il premier Conte ribadiva il no al ricatto turco. E l’Olanda sospendeva la vendita di armi alla Turchia. Ma la situazione in Europa non è facile. Nel 2016 la Ue ha stretto un accordo con Erdogan secondo il quale la Turchia avrebbe chiuso la Rotta balcanica ospitando 3,6 milioni di rifugiati siriani in cambio di due tranche da 3 miliardi di euro. Oggi la paura è che riapra le frontiere, come ha minacciato di fare l’altro ieri. Che il Sultano non accetti critiche, figurarsi sanzioni, lo dimostra il conflitto diplomatico per le trivellazioni turche nelle acque di Cipro: è bastato che Bruxelles chiedesse di fermarle perché a settembre in Grecia arrivasse la cifra record di 11.500 profughi. Lunedì i ministri degli Esteri nel Lussemburgo e poi i leader giovedì e venerdì a Bruxelles discuteranno la richiesta di Cipro di sanzioni contro Ankara per le trivellazioni. Sarebbero anche un segnale sulla Siria. Ma stando ai contatti in corso non dovrebbero passare. Forte l’opposizione della Germania (Paese nel quale vivono milioni di turchi, generalmente pro Erdogan) e dei Visegrad: potrebbero far mancare l’unanimità per le sanzioni. Inoltre Erdogan vuole sostituire i curdi nel nord della Siria con circa 2 dei 3,6 milioni di siriani ora in Turchia di sangue sunnita. E chiede all’Europa di finanziare l’economia delle cittadelle dove realizzerà questa sostituzione etnica. Il presidente della Commissione, Juncker, ha escluso l’ipotesi. Almeno su questo punto le capitali sono d’accordo. Il problema è che Erdogan chiede anche una terza tranche, sempre di 3 miliardi, per continuare a ospitare i siriani che resteranno in Turchia. E Berlino ha messo in campo fortissime pressioni sui partner: preferisce pagare che rischiare nuove colonne di migranti al confine. Non senza un tasso di ipocrisia, l’escamotage sarebbe di spiegare all’opinione pubblica che i soldi non andrebbero direttamente a Erdogan, ma ai progetti di accoglienza. Punto sul quale è sostenuta dai Visegrad: gli stessi governi che nel nome del sovranismo hanno negato solidarietà all’Italia, ora sono pronti a inginocchiarsi al cospetto del Sultano. Non è ancora possibile stabilire se da qui a fine anno la terza tranche passerà o meno, ma le diplomazie ritengono che sarà difficile dire di no alla Merkel.