Alessandro Barbera
Se il buongiorno si vede dal mattino, promette fulmini e saette. Fra dieci giorni Mario Draghi uscirà con gli scatoloni dal piccolo ufficio a vetri del grattacielo della Banca centrale europea. In attesa di entrare con i suoi, Christine Lagarde si è fermata a Omaha Beach, in Normandia. Lì si è fatta intervistare da John Dickerson di «60 Minutes», il più autorevole degli approfondimenti televisivi della Cbs. E così gli americani hanno assistito in prime time alla scena di un’elegante signora francese che in perfetto inglese si scatena contro il loro presidente: «La stabilità dei mercati non può dipendere da un tweet: richiede decisioni pesate e misurate». «Gli Stati Uniti rischiano di perdere la loro leadership nel mondo». E ancora: «La guerra commerciale con la Cina rischia di costare settecento miliardi di dollari al Pil mondiale». Per cui, caro presidente Trump, si sieda ad un tavolo e risolva il problema: «Le tensioni con Pechino sono una delle chiavi per risolvere le incertezze». Il caso vuole che l’ex ministro francese e numero uno del Fondo monetario internazionale sia cresciuta non lontano dalla spiaggia da cui partì la liberazione americana dell’Europa. Dall’intervista si intuisce che lo stile con cui guiderà la moneta unica sarà più aggressivo di quello che ha scandito gli otto anni di Draghi. L’ormai ex numero uno della Bce ha polemizzato più volte con Trump — soprattutto sul tema dei cambi – ma sempre e solo in risposta agli attacchi, senza mai scendere in valutazioni politiche. Vedremo se una volta insediata Lagarde si atterrà a toni più istituzionali, ma nel frattempo ne approfitta per difendere anche il collega della Federal Reserve Jerome Powell, da mesi oggetto dei tweet compulsivi del presidente americano perché – a suo dire – troppo timido nel tagliare i tassi. «Quando la disoccupazione è al 3,7 per cento non si può accelerare troppo». La signora prima spiega che «la faccenda è delicata tanto quanto guidare un aereo», poi fa a Trump una lezione base di economia. «C’è un limite a quello che le banche centrali possono fare, e il limite è quello dei tassi negativi. Il rischio è che i prezzi inizino a salire». Lagarde ha ragione, ed è la questione che oggi anima il dibattito fra economisti e banchieri centrali. Le grandi recessioni di solito iniziano così: in un angolo del mondo esplode all’improvviso una bolla speculativa che trascina con sé al ribasso le borse di mezzo mondo. Di recente ne hanno parlato l’ex segretario al Tesoro americano Larry Summers, ma anche Ignazio Visco e la scorsa settimana a Washington Mario Draghi. «Ci sono lievi segnali di sopravvalutazione nei mercati finanziari e immobiliari della zona euro, i quali generano un rischio per la stabilità in un momento in cui l’economia sta rallentando». Quel che Draghi non può dire è che questa è anche conseguenza della linea seguita fin qui da Francoforte. Quando i rendimenti di titoli di Stato e obbligazioni sono particolarmente bassi, il rischio aumenta. Nell’era dell’inflazione zero, è opinione comune che si tratti in ogni caso del male minore rispetto alla scelta di stringere i bulloni della politica monetaria nel momento sbagliato. Ma non tutti la pensano così, perché l’altra faccia della medaglia è non avere munizioni in caso di crisi. Ed è per questa ragione che i governatori di Francia, Germania, Olanda ed Austria hanno votato contro l’ultima decisione di Draghi di riaprire il piano di acquisto di titoli pubblici.