Alessandro Campi
La nascita del nuovo partito renziano comincia a produrre i suoi primi (e inevitabili) effetti sul quadro politico nazionale. Per cominciare, il quotidiano controcanto dello stesso Renzi alle scelte del governo che ha contribuito a far nascere e che dichiara pubblicamente di voler sostenere. Talmente insistente da aver suscitato l’immediata irritazione non solo del premier Conte, ma anche dei leader degli altri partiti che compongono l’attuale maggioranza. Il timore, nemmeno tanto velato, è che si possa produrre il medesimo copione che nel febbraio 2014 portò alla caduta del governo guidato da Enrico Letta proprio a causa del fuoco amico proveniente dallo stesso Renzi. Che prontamente si insediò a Palazzo Chigi come adesso gli alleati temono che possa voler fare a scapito di Giuseppe Conte. L’accusa che si rivolge a Renzi è sempre la stessa: di agire mosso da un innato protagonismo. Di non riuscire a fare gioco di squadra a causa della sua ambizione sfrenata e del suo desiderio di voler essere sempre il primo della classe, se non il capo unico e indiscusso. L’aspetto caratteriale in effetti non va trascurato. Grazie alla crisi agostana scatenata da Salvini, Renzi si è ripreso con prepotenza la scena dopo un lungo periodo di relativo silenzio, seguito alla sconfitta politica alle elezioni del marzo 2018 e alle successive dimissioni da segretario del partito. In quelle poche e concitate giornate, a smentita di coloro che lo davanoper politicamente indeclino,hachiaramente mostratodi possedereun’abilità tattica euna determinazione superiori a quelle dei suoi più diretticompetitori (compresi quelli appartenenti al suostesso campopolitico). Pensareche oggi,dopo averdato un apporto determinate alla formazione dell’impossibile alleanza rosso-gialla,possa giocare il ruolodell’alleatodiminoranza, come tale remissivo e accomodante, significa davvero nonconoscerlo. Ma l’attitudine e la psicologia dell’uomonon sono tutto. Rispetto alcelebre (o infausto) “Enricostai sereno” stavolta le cosestanno inmaniera abbastanzadiversa.Renzi non è piùnelPd.Ha definitivamente sciolto il rapporto ambiguocon quest’ultimo e si è appunto fatto un suo partito: ItaliaViva. Accreditatonei sondaggi del 4-5%ma ancora tutto da costruire: sul piano dell’immaginecome su quello deicontenuti.Per lui distinguersi e rendersi riconoscibile agli occhi degli elettori è dunqueunanecessità vitale.Chi oggi glichiede dinon criticare l’attuale governo,per nonminarne lastabilità e il fragile equilibrioche lo regge, gli chiededunque l’impossibile. Accadràsemmai ilcontrarioda qui ai prossimimesi e forse anni: su ogni puntopoliticamente dirimenteRenzinon potràche marcare la suapeculiare posizione.Rispetto all’esecutivo,non potràche ricavarsi il ruolo dell’alleato tanto leale quanto critico. Ilche ovviamentenon significa automaticamente desiderarne la fine: significapiù semplicementecrearsi uno spazio di autonomia e di riconoscibilità pubblica, avendo curaovviamente dinon tirare troppo lacorda. Unascelta strategica obbligata, essendo il partito di Renzi l’ultimo arrivato sul mercatopolitico, cheperò implica ancheuncalcolo (eun vantaggio) tattico.Col suo voler essere,percosì dire, sempre criticamentecostruttivo rispetto alleposizioni delPd e delM5SRenzi siconfermacome il vero dominus delnuovo esecutivo.Loha fattonascere: secondomolti sulla basediuna suapersonaleconvenienza politica travestitada emergenza democratica (andare al voto anticipato avrebbe infatti impedito al suo partito di decollare e radicarsi, senza considerare la falcidia annunciatadei gruppi parlamentariche gli erano fedeli).Ma può anche farlo cadere. Ilche non vuole dire che lo facciaoche intenda farlo,ma ilsolo detenere questacarta nellesuemani gliconferisce un potere dicondizionamento certamentesuperiore alla sua forza reale (e ancora tuttada valutare). Sempre sulpiano tattico è poi adirpoco evidentequello che è successo in questi giorni.A confrontarsi e a polemizzare tra loro – dunque a riconoscersi come interlocutori ecome figurepolitiche di riferimento – sonoormaiConte eRenzi, con DiMaio eZingarettiche,pur essendonei fatti i detentoridella maggioranzache sostiene il governo, appaiono semprepiù spesso relegati sullo sfondo. Alleatodel Pd edelM5S, Renzi haperò tutto l’interesse a indebolirli, a partiredalle rispettive leadership.Oggi in politicaconta (anche elettoralmente)chimeglio occupa la scenapolitica. SostenereConte inParlamento facendogli tuttavia le pulci e incalzandolo ad ogni passo risponde esattamente a questa necessità: giocare un ruolo da protagonista assolutopur essendo a capo diunpartito ancora piccolo.Renzi sostiene questo governo,ma ovviamente pensa già a quando – probabilmente al termine naturaledella legislatura – si tornerà al voto. Tuttociò detto sulperché il controcanto renziano è destinato acontinuare,c’è ancheda dire che tale controcanto forse andrebbe preso sul serio dai suoi alleati (in particolare dalPd) invece di essere rubricato alla stregua di un irritante desiderio di originalità a tutti icosti.Ci sono molti segnaliche fanno temere che l’alleanza di governo traPd e M5Spossadeterminare, a dispettodelle intenzioni dichiarate,un aumentodella spesapubblica e dei livelli (già assai alti in Italia)di imposizione fiscale. L’assistenzialismodi Stato spacciatoper politiche di equità sociale è,come l’esperienza insegna, lascorciatoia ideologica alla quale i partiti italiani spesso ricorrono quando voglionoconquistare faciliconsensi:un governonato daun pattopolitico assai fragile e tutto interno alPalazzo,come quello rosso-giallo,potrebbe essere facilmente tentato dal perseguirequesta strada. Sempre l’esperienzaci dice inoltreche quandonon sisache pesciprendere ci si riduce a tartassare fiscalmente le categorie socialiproduttive, invecedi perseguire inmodo serio gli evasoripiccoli e grandi. Conquesto governoc’è altresì il rischio cheunmalinteso ambientalismo (anch’esso trasformato inuna bandiera ideologica allamoda) finiscaper bloccareciò dicui l’Italia avrebbe in questomomento più bisogno:politiche industriali che favoriscano realmente la produttività e l’occupazione e investimentipubblici finalizzati allamodernizzazionedella rete infrastrutturale italiana. Perdirla grossolanamente, questo è un governo che presentauno slancio riformista (sul lato economico-sociale) assai ridotto euna accentuata vocazione statal-dirigista: la vecchia socialdemocraziasi è alleatacon i fanatici del Leviatano tecnologico. In questo quadro, le sciabolatedimarca liberal-riformista diRenzi, per quanto le si voglia giudicare strumentali,dovrebbero anche essereconsideratecome un utilebilanciamentocritico, come si è visto nelcasodella polemicasull’aumento dell’Iva (Renzi ècontrario a qualunque ipotesi di rimodulazionedelle attuali aliquote) o diquella sul cuneo fiscale (per il leader di ItaliaViva la riduzionedelle tasse sul lavoro ipotizzata dal governo è ancora troppo modesta). Renzi in fondo sta dicendo unacosa semplice:un governo troppoorientato a sinistra è il migliore regaloche si possa fare alla destra.Una provocazione inutile o un avvertimento che i suoi alleati per primi dovrebbero meditare?