La Libia continua a essere la principale fonte di preoccupazione del governo Conte nel Mediterraneo. Il generale Haftar è sordo agli inviti di pace e continua ad assediare Tripoli da sei mesi. Le notizie che hanno segnato questa settimana sono pessime. L’1 ottobre Haftar ha prima attaccato l’aeroporto di Mitiga e poi quello di Misurata. All’alba di giovedì 3 ottobre, ha bombardato la parte sud di Tripoli, a cui ha fatto seguire cinque raid aerei contro la periferia di Sirte. Secondo gli ultimi dati dell’Onu, l’avanzata di Haftar ha causato 1100 morti mentre le persone che hanno dovuto abbandonare le proprie case sono centoventimila. Durante l’amministrazione Obama, nonostante la Libia fosse divisa in due governi rivali, uno a Tobruk e l’altro a Tripoli, la situazione non era mai degenerata in uno scontro aperto, per ragioni di pudore più che per calcoli politici. Per quanto il pudore non conti niente in politica internazionale, sotto Obama, ebbe incredibilmente un ruolo. Obama riteneva che la Libia rappresentasse una grande vergogna per l’Occidente e non voleva che tale vergogna fosse accresciuta da una nuova guerra. In un’intervista a “The Atlantic”, nell’aprile 2016, Obama aveva accusato Francia e Inghilterra di avere voluto abbattere il regime di Gheddafi, ma di non avere poi fatto niente per risollevare il Paese dalle sue miserie. Distruzione sì, ricostruzione no: questa, in sintesi, era la critica di Obama alla fine del suo secondo mandato. Jeffrey Goldberg, l’intervistatore, rivelò che, in pubblico, Obama definiva la situazione in Libia “un casino” (mess). In privato, invece, la sua rabbia per il fallimento occidentale si spogliava di ogni abbellimento diplomatico. Il comportamento dei Paesi europei in Libia, parola di Obama, aveva dato vita a “uno spettacolo di merda” (shit show). Obama si era fidato degli europei. A suo dire, sarebbe spettato a loro il compito della ricostruzione, data la vicinanza geografica con la Libia. Un anno dopo i bombardamenti, Sarkozy non fu rieletto, mentre Cameron fu distratto da altre faccende, referendum sulla brexit incluso, che avrebbe portato alle sue dimissioni. Con Trump, ogni pudore si è dissolto e la Libia è sprofondata nel caos della guerra. Trump ha annunciato il proprio disimpegno dalla Libia e, siccome non la reputa importante per gli interessi americani, ha utilizzato quel Paese martoriato per migliorare i rapporti con tre Paesi arabi che gli sono utili per combattere contro l’Iran. Stiamo parlando di Arabia Saudita, Egitto ed Emirati Arabi Uniti, i quali vorrebbero imporre il proprio dominio sulla Libia utilizzando Haftar come testa d’ariete. Una volta conquistata Tripoli, ammesso che ci riesca, Haftar darebbe vita a un governo, i cui ministri verrebbero concordati con i governi da cui è armato e finanziato. Dal canto suo, l’Italia, che protegge il governo di Tripoli, non ha saputo bilanciare le forze di Tobruk per molte ragioni, di cui due sono evidenti. La prima è che i governi italiani sono cambiati troppo di frequente proprio mentre la Libia richiedeva un’Italia molto stabile. La seconda è che i rapporti tra l’Italia e i principali Paesi europei sono peggiorati precipitosamente durante il primo governo Conte che, soprattutto dopo la vittoria della Lega alle Europee, ha iniziato a essere percepito all’estero come il governo Salvini. Non a caso, l’assedio di Tripoli è iniziato il 4 aprile 2019, mentre Salvini cercava di costruire un’alleanza europea contro la Merkel e Macron ovvero la Germania e la Francia, i Paesi più potenti d’Europa. Nessuno dei quali aveva un interesse a stabilizzare la Libia in favore dell’Italia. La legge immutabile della politica stabilisce che nessun governo favorisce chi cerca di abbatterlo. In sintesi, Salvini ambiva alla caduta di Merkel e Macron, che ambivano alla caduta di Salvini. La conseguenza è che l’Italia si è trovata isolata in Libia. Pochi sanno che il governo di Tripoli sarebbe caduto da tempo, se non fosse intervenuto Erdogan in sua difesa. Se la Turchia si ritirasse, Tripoli cadrebbe. Oggi i rapporti tra l’Italia e l’Europa stanno migliorando ed è lecito nutrire la speranza che tale miglioramento si ripercuota anche sulla Libia. Questo però richiede un grande sforzo diplomatico che, finora, Luigi Di Maio non ha profuso. Egli è un ministro degli Esteri molto assorbito dalla politica interna, essendo il leader del movimento 5 stelle.