Alessandro Trocino

Alcuni storcono il naso, poi se lo turano. Alla fine sono pochissimi i senatori che votano in dissenso rispetto al proprio gruppo ed esprimono un voto diverso.

Tra loro c’è il 5 Stelle Gianluigi Paragone. Nei corridoi del Senato definisce «vanesio» il presidente del Consiglio (concordando, di fatto, con il leghista Borghi, secondo il quale il premier «ha rotto»). Poi, in Aula, attacca i colleghi: «Dalle parole guerriere sono passati al linguaggio mite. Non mi dite che cambierete l’Europa, perché l’Europa vi ha già intellettualmente corrotti. E il Pd è la garanzia italiana del fanatismo europeo». Paragone cita Ionesco, dice che questo è diventato «il governo dell’assurdo e Conte è il rinoceronte, contro il quale prima ci si indignava perché faceva danni e poi ci si identifica». La conclusione è questa: «La tentazione di votare no è forte, mi asterrò solo per rispetto di chi, in ipnosi in buona fede, pensa che funzioni la rivoluzione della pochette». Astensione che gli consentirà di non essere espulso. Tra i suoi colleghi ce ne sono altri scontenti. Mario Giarrusso si scaglia contro il ministro Bellanova che vuole ratificare il trattato Ceta e contro Gentiloni, «che ha vivacchiato finora nel sottobosco romano». Ma poi vota sì. Come il collega Alberto Airola, sensibile alla Tav e indignato perché ai Trasporti c’è finita la dem Paola De Micheli. Il pugliese Lello Ciampolillo, che contesta il taglio degli alberi per la xylella, diserta l’Aula, assente ingiustificato, come altri sette. Paradossale il caso di alcuni ex M5S, espulsi proprio perché avevano posizioni vicine al Pd, che hanno votato la fiducia. Tra loro ci sono Gregorio De Falco e Paola Nugnes.

Originale la posizione di Emma Bonino, che schiera +Europa per il no, anche se alla Camera Riccardo Magi aveva detto sì. Nel Pd è Matteo Richetti, già diversamente renziano, a dire no. Un no «costruttivo» perché, dice riferendosi al premier, «non mi fido dell’abilità dell’avvocato del popolo che quando cambia il popolo rimane avvocato». Richetti assicura che «Salvini e la destra saranno sempre i miei avversari», ma dice di non voler partecipare ad «alleanze maldestre con chi ha consentito alla Lega di raddoppiare i voti. Andrò nel gruppo misto per rispetto al mio gruppo e ho messo nel conto di lasciare il Pd. Comincerò a costruire un nuovo spazio, magari con Calenda».

Si astiene, invece, la senatrice di Forza Italia Donatella Conzatti, «perché non posso trovarmi dalla stessa parte di chi è per la democrazia illiberale».