Alessandro Trocino

Si chiude a notte, dopo due ore di vertice, con una soluzione salomonica, che consenteatutti di cantare vittoria, demandando al Parlamento le correzioni che ogni partito vorrà chiedere di adottare. Una conclusione resa possibile dalla mediazione del premier ma anche dall’intesa tra Dario Franceschini, come sempre abile nel tessere accordi, e Luigi Di Maio: i due si incontrano riservatamente prima del vertice collettivo e siglano l’intesa. La giornata non era cominciata nel migliore dei modi. E del resto le tensioni dei giorni scorse erano arrivateaun punto tale che serviva un faccia a faccia di chiarimento. Giuseppe Conte decide di incontrare per primo Luigi Di Maio. Hanno diverse cose da dirsi, dopo l’aspro confronto sull’evasione fiscale. Il premier rimprovera al ministro degli Esteri l’assenza durante il vertice dei giorni scorsi, spiegando che i ministri dei 5 Stelle c’erano e avevano detto sì alla manovra. Di Maio replica senza troppe cerimonie: «Io non c’ero, ma tu sai benissimo quali sono le battaglie del Movimento. Ci conosci bene, ti abbiamo messo lì noi». Scambio franco, come si dice, che si risolve in una tregua. Siglata, prima bilateralmenteepoi collettivamente, con i quattro partiti della coalizione, nessuno dei quali pronto a immolarsi nelle urne anticipate. Di Maio porta a casa un mezzo successo, visto che, nonostante le resistenze del premier, fa riaprire una manovra che sembrava già chiusa. Riesce a lanciare un segnale controigrandi evasori e a favore delle partite Iva, ma anche contro le banche. Porta a casa un risultato che gli consente di sottrarre spazio mediatico a Matteo Salvini e allo stesso Renzi, reduci dalla sbornia di piazza il primo e dalla Leopolda il secondo. Ma Di Maio è costretto al compromesso sul carcere per i grandi evasori: entrerà in vigore dopo la conversione in legge, consentendo a Italia viva e agli altri di presentare e discutere emendamenti in Aula. Dentro il M5S però le critiche contro il leader politico si fanno sempre più feroci. In chat ci si chiede apertamente: «Stiamo diventando il partito che giustifica i piccoli evasori fiscali?». I deputati della commissione Bilancio sono in subbuglio: «Perché siamo stati fatti passare come fiancheggiatori di chi non paga le tasse?». Si riparla di una fronda pronta ad abbandonare il Movimento nelle prossime settimane. Si aspetta il voto delle regionali in Umbria, temendo il peggio. Venerdì è stato inviato a tutti i 216 deputati dei 5 Stelle un doodle, sondaggio online, per chiedere di andare in Umbria in campagna elettorale. Hanno risposto solo in dieci. Un disastro. Così come è sempre più complicata la situazione del capogruppo alla Camera, che non si riesce ad eleggere. Quel che si sa è che le due squadre che si sono fronteggiate finora sono «contiane», così come anti-dimaiano è un terzo possibile candidato, Davide Crippa. Il ministro Teresa Bellanova e Luigi Marattin, per Italia viva, si fanno sentire soprattutto sulla questione del carcere ai grandi evasori. Il Pd, invece, abbozza. Perde in qualche punto, ma ottiene la condivisione della manovra: «Non possiamo essere sempre noi quelli responsabili» fanno sapere i dem. A notte si torna a casa e la sintesi la fa Federico Fornaro, di Leu: «Bisogna che ci si abitui a pensare che i provvedimenti che si approvano sono del governo, non delle singole parti politiche».