Alesssandro Barbera

Quando l’allora premier Romano Prodi ridusse il famigerato cuneo fiscale per sei miliardi di euro, se ne accorsero in pochi. «Nessuno mi ha detto grazie», raccontò con la proverbiale autoironia. Eppure ci sono molti modi per ridurre lo scarto fra lo stipendio lordo – quello che le aziende erogano comprensivo di tasse e contributi – e quello che va in tasca ai lavoratori dipendenti. Allora il beneficio – correva l’anno 2007 – fu distribuito fra imprese e lavoratori. Questa volta lo sgravio andrà tutto a vantaggio dei lavoratori. Ma i fondi a disposizione sono comunque pochi: due miliardi e mezzo quest’anno, cinque dal 2021. Come distribuirli, non è stato ancora deciso. «Fateci una proposta», ha detto il sottosegretario al Tesoro Pierpaolo Baretta in un incontro ieri con i sindacati. La platea dei possibili beneficiari al momento va da chi non presenta nemmeno dichiarazione – sotto gli ottomila euro l’anno – e i trentacinquemila, ovvero sopra la soglia alla quale oggi (a ventiseimila) si riceve il bonus ottanta euro. Oggi quel bonus lo ricevono 9,6 milioni di italiani. Fra i ventiseimila e i trentacinquemila ci sono altri 4,5 milioni di contribuenti. Nell’ipotesi di accontentare tutti, non resterebbero nemmeno i soldi per un caffé al giorno. Le ipotesi intermedie sono almeno due: destinare mediamente venti euro a tutti gli esclusi dagli ottanta euro, o trasformare il bonus Renzi in una maxidetrazione, come ipotizzato dalla Lega. Infine c’è una soluzione ancora più mirata: destinare i venti euro agli esclusi, sommandola ad una detassazione al dieci per cento di tutti gli aumenti contrattuali firmati fra aziende e lavoratori. Un’operazione che avrebbe il pregio di incentivare gli accordi. L’unico paletto che ha messo il governo è sui tempi: poiché i fondi quest’anno sono pochissimi, il bonus scatterà solo dal primo luglio. Nelle ore in cui Baretta parlava con i sindacati i colleghi del governo tentavano di far tornare i conti della Finanziaria 2020: mancano all’appello almeno tre miliardi di euro. Renzi e Di Maio non vogliono l’aumento delle aliquote Iva (anche se ci potrebbero essere un po’ di spostamenti all’insù e all’ingiù per alcuni beni), non vogliono tagli severi alla spesa, non vogliono tasse visibili per i cittadini. Ecco perché qua e là spuntano ipotesi di tasse che durano lo spazio di un mattino. Prima la tassa sulle colf (smentita), poi quella sugli zuccheri (forse arriverà in Parlamento), oggi si è sparsa la voce di una mini-stangata sui telefoni aziendali. Gettito atteso: un miliardo di euro. Inutile dire che anche questa ipotesi è stata derubricata a fake news dal ministero dello Sviluppo. Ed è altrettanto inutile dire che per sapere la verità occorrerà attendere un testo definito in ogni dettaglio della Finanziaria. Lunedì il governo spedirà a Bruxelles il cosiddetto Documento programmatico di bilancio – una sorta di bozza semplificata della manovra – e dovrebbe approvare un testo di massima. Negli anni Ottanta, quando al Tesoro c’era Cirino Pomicino, la si definiva «la copertina». Per il testo finale – quello che verrà trasmesso in Parlamento – ci vorrà un’altra settimana, forse dieci giorni. Il governo è indietro, e solo domani un vertice di maggioranza cercherà di risolvere le ultime grane.