Andrea Biondi Gedi
La risposta di Gedi è duplice: nelle prime righe del comunicato con i dati dei nove mesi del gruppo, ma anche in una lettera, dai toni molto duri, inviata ai dipendenti. Sono puntini sulle “i” di un certo peso quelli che il cda di Gedi e il suo presidente Marco De Benedetti hanno voluto mettere nella vicenda scatenata dall’offerta di Carlo De Benedetti che domenica 13 ottobre ha palesato un tentativo di “riprendersi” il gruppo – che edita, fra gli altri, La Repubblica, l’Espresso, la Stampa, Il Secolo XIX, 13 quotidiani locali e un polo radio – dal quale si era allontanato a favore dei figli anni fa. Una vicenda che affonda anche nel profondo di questioni affettive, personali, come spiega lo stesso Marco De Benedetti nella lettera ai dipendenti commentando l’intervista del padre Carlo al Corriere della Sera la scorsa settimana, «che contiene un attacco a mio fratello Rodolfo (presidente della holding Cir, ndr.) e a me, un tema per noi doloroso, che si colloca sul piano personale». Non tanto quelli però, quanto piuttosto «i giudizi sul gruppo e sulla sua situazione» definiti «infondati e gravi», sono alla base della risposta che il figlio Marco manda al padre, ma passando per una lettera interna. «Non siamo un gruppo sconquassato, non siamo un gruppo da risanare, non siamo una barca senza timoniere», si legge nella missiva ai dipendenti che termina con una frase tranchant rispetto all’idea di passare la mano: «Continueremo con impegno, io, mio fratello Rodolfo, e Monica Mondardini (ad della controllante Cir, ndr.) a svolgere il nostro ruolo di azionisti della società in modo da garantirle il miglior futuro». Che un domani si possa vendere o meno non è oggetto della discussione. Il tema è invece la proposta del padre Carlo, che del resto è stata rispedita al mittente già dopo qualche ora dalla Cir che ha il 45% dei diritti di voto di Gedi, di cui i De Benedetti possiedono «il 30%, mentre il restante 70% è di altri azionisti che ci hanno affidato la gestione e di cui dobbiamo tutelare interessi». Il niet è stato ieri spiegato facendo leva su varie considerazioni, come il lavoro fatto finora da Gedi, scrive Marco De Benedetti, con risposte a «sfide enormi, con sacrifici, ma senza traumi» fra cui l’aver «preservato testate e mezzi», l’aver «mantenuto l’unità del gruppo» e il non aver fatto ricorso a «formule o architetture suggestive (la fondazione ad esempio) che non risolvono di per sé i problemi». La lunga lettera è preceduta dal comunicato sui conti da parte del cda che ha indicato una Gedi con «una solida leadership nella stampa quotidiana, nel digitale e nelle radio, e adotta misure idonee ad affrontare il futuro, l’investimento e lo sviluppo e creare valore sostenibile». Sul fronte dei numeri al 30 settembre la società vede i ricavi in calo (-6%) a 441,5 milioni a causa della flessione di vendite (-4,8%) e pubblicità (-7%). Il risultato netto è in rosso, con una perdita di 18,3 milioni dovuta alla cessione di Persidera e agli oneri di ristrutturazione. Negli ultimi tre mesi dell’anno Gedi non vede «evoluzioni di mercato diverse da quelle dei primi nove mesi» ma prevede, al netto delle componenti straordinarie, un risultato positivo per il 2019. Nei primi nove mesi, al netto proprio di Persidera e oneri straordinari il risultato netto consolidato sarebbe positivo per 2,2 milioni . In Borsa il titolo ha chiuso in calo del 6,1% a 0,293 euro.