Andrea Pasqualetto

«Non è possibile una superficialità così spinta dopo il 14 agosto, ciò vuol dire che la gente coinvolta non ha capito veramente un c…, ma proprio eticamente». È il 19 ottobre 2018, due mesi dopo il disastro del ponte Morandi. Andrea Indovino, responsabile della sorveglianza di Spea, oggi indagato per falso ideologico e interdetto ieri dal gip di Genova Angela Maria Nutini, parla in questi termini con una collega della stessa società, Serena Alemanni. Oggetto della conversazione telefonica è il viadotto Pecetti sulla A26, gestito da Autostrade per l’Italia, dove la notte tra il 21 e il 22 ottobre doveva transitare un trasporto eccezionale di 141 tonnellate. Indovino, che non sa di essere intercettato, si dice preoccupato perché dalle analisi eseguite, l’opera è «estremamente tirata». Segnala che la verifica di transitabilità non è soddisfatta. «Più andiamo oltre e più rosicchiamo i margini di sicurezza… soprattutto perché siamo tutti consapevoli che nessuno ha fatto la tac a quel viadotto… è un viadotto che ha delle problematiche… alcune sono manifeste…». Indovino parla di mancanza di «sensibilità» con una struttura che viene portata «al limite della sua resistenza… con un ponte che è appena venuto giù». Due giorni prima il manager aveva inoltrato una mail alla stessa collega, scrivendole che «il viadotto restituisce esiti appena superiori all’ammissibilità e quindi privi di significativi margini di sicurezza… riceviamo incongruenza nei documenti d’archivio». Ci sarebbe un’incongruenza fra progetto e costruzione. «Non avendo livelli di sicurezza soddisfacenti… risulterebbe una bocciatura del transito» aggiunge. La decisione è difficile, Indovino sente di dover bloccare il tir, anche il collega Ferretti (responsabile della direzione opere d’arte di Spea, finito a i domiciliari) gli consiglia di rimandare tutto al mittente, cioè Autostrade (Aspi), ma lui però tentenna perché «il mittenteèpesante». Pesanteespregiudicato, secondo il gip di Genova, che ricorda come Gianni Marrone, il direttore dell’ottavo tronco di Aspi arrestato ieri peril ponte Paolillo, eviti deliberatamente di consegnare all’ispettore del ministero dei Trasportiealla polizia giudiziaria della documentazione su quella struttura. «La logica di un simile generalizzato comportamento sembra da ricondurreauno spirito di corpo aziendale, probabilmente motivato dal tornaconto economico», scrive il giudice, ricordando una conversazione fra Paolo Berti e Michele Donferri, l’ex numero tre e l’ex direttore manutenzioni di Aspi indagati per il disastro del Morandi, nella quale il primo «manifesta il proprio disappunto per essere stato condannato ad Avellino, lamentandosi che avrebbe potuto dire la verità e così mettere nei guai altre persone. Donferri gli risponde che non ci avrebbe guadagnato nulla mentre così può “stringere accordi col capo”». Spirito di corpo che, tornando alla vicenda del camion da 141 tonnellate, avrebbe spinto Indovino, nonostante la preoccupazione, a temporeggiare «prima di dire no secco (al transito, ndr), perché poi alla fine ti chiedono nuovamente il perché, mi sembra corretto esplorare tutte le possibilità in modo razionale». Richiede, dunque, più informazioni sul ponte. E decide di scrivere una mail a Massimiliano Giacobbi (domiciliari) e Massimo Meliani di Spea, nella quale sottolinea «la situazione di non perfetta efficienza del manufatto…». Risultato? Spea firma per il transito, il tir passa nella notte tra il 21 e il 22 ottobre. E tutti tirano un sospiro di sollievo. «È transitato». «Ok va bene».