Angelo Carotenuto

Il centravanti si chiama Brianna e ha una fissazione per Giovanna d’Arco. Olivia gioca con il numero 2, la maglia dei terzini destri, e parla con le frasi degli altri: le rubacchia dai giornali perché suo padre ha un’edicola a Norton e lei può finanche ragionare sulla differenza tra una palla e un pallone. Berenice è la figlia di un pastore anglicano e pure Rosalyn è cresciuta fra litanie e preghiere, sentendosi dire più di una volta che lei con il pallone non ci sa giocare, così quando in casa ne vede uno lo afferra e scappa, nessuno ha mai capito bene dove. Sono loro — insieme a Justine, Penelope, Abigail, Haylie, Melanie e l’impacciata Sherill, l’invisibile — le Ladies Football Club del romanzo di Stefano Massini. Ah no, c’è anche Violet, Violet Chapman, il numero 8 della squadra, la ragazza che per prima assesta un calcio al pallone, genere maschile — o alla palla? genere femminile — durante la pausa pranzo in fabbrica, e che fabbrica, il 6 aprile del 1917. Non è un giorno uguale a tanti. Ne succedono di cose, al mondo. Gli Stati Uniti stanno entrando in guerra e Lenin progetta la rivoluzione. Eppure undici operaie della Doyle & Walker Munizioni iniziano a correre dietro un pallone. Il testo di Stefano Massini è un romanzo per teatro. Racconta la nascita del calcio femminile in Inghilterra in mezzo all’ostilità del maschio e delle sue istituzioni, scegliendo il momento giusto per parlarne con un approccio che è certamente e soprattutto politico, come politica è oggi la parabola del calcio femminile, diventato uno dei principali terreni per la denuncia della disparità di genere. Pochi altri temi sono così in luce nella narrazione attuale dello sport. I Mondiali di calcio dell’estate scorsa, con la partecipazione della Nazionale italiana a dodici mesi di distanza dall’assenza dei maschietti dal loro, ha amplificato la materia. Sembra ancora distante il giorno in cui si parlerà di calcio femminile per i gol, le parate, per uno strafalcione in area di rigore. La designazione di un’arbitra per una finale di Coppa europea maschile dell’estate scorsa era una notizia liquidata in una colonna di spalla sul quotidiano francese l’Équipe e un evento epocale qui da noi, dove non più tardi di qualche giorno fa un dirigente della Roma è andato in tv a dire che «il calcio non è un gioco per signorine», frase da inizio Novecento, frase da romanzo di Massini (La Roma — per inciso — ha una delle squadre femminili più forti d’Italia). Questo è il quadro, questo è il campo in cui gioca Massini. Il calcio femminile pare condannato (ancora) (sempre) a raccontare se stesso in termini di gap. L’ultima discriminazione venuta alla luce riguarda gli studi sui danni cerebrali alle atlete come conseguenza dei colpi di testa. È emerso che nel centro di Boston che se ne occupa, i ricercatori lavorano solo su un 5% di cervelli femminili. Ci sono più spesso assenze e mancanze da raccontare che gemme preziose come Megan Rapinoe, la campionessa Usa Pallone d’oro così schierata politicamente in modo aperto (contro Trump), una figura che il calcio maschio e conformista se la sogna. Eppure quanto gli farebbe bene averne una. Massini mette in scena le vite di donne allevate per essere figlie o al massimo madri, operaie senza prìncipi azzurri — qualcuno sta al fronte — ma capaci di trasformare una pausa pranzo in un atto politico. Leggono Marx (come forse Megan Rapinoe) e sfidano il mondo virile da cui sono circondate, perché se aspetti che sia il mondo del maschio ad aprirti la porta, hai voglia di restare con il dito attaccato sul citofono. Le porte si sfondano. Il potere si conquista. «A fregare le donne non è la debolezza: è la compassione». Ciascuna delle giocatrici di Massini ha un suo carattere. Rosalyn per esempio sta in porta ma vorrebbe istituire le rotazioni: perché lei non può far gol? Sono fragili, unite dalle loro debolezze e perciò fortissime, moderne, ironiche, commoventi, coi pensieri rivolti ai molti eroi che nelle pagine si affacciano: da Gengis Khan a Carlo Magno. Sister K è la bomba preparata per le simulazioni di lancio. È la metafora che Massini lancia tra i piedi delle sue eroine pronte a sfidare Ercole, i nemici che sono sempre più numerosi a bordo campo e le convenzioni. Undici ragazze pronte a prendersi il pallone e portarselo via per sempre. Nel nome di tutte le altre.