Benedict Mander
Appena una settimana prima che il Cile subisse i peggiori disordini civili da quando è cessata la dittatura di Augusto Pinochet negli anni 80, il presidente Sebastián Piñera – in u n’intervista peraltro ottimista sulle prospettive del suo Paese – aveva lanciato un avvertimento: “Dobbiamo fare un grande sforzo per includere tutti i cileni”, ammetteva l’ex uomo d’affari miliardario, pur sottolineando che il Paese stava “guidando la classifica della crescita in America Latina”. Ma Piñera non si aspettava una dimostrazione così rapida e violenta causata dal rischio della diseguaglianza. Santiago del Cile è stata sconvolta da rivolte, saccheggi e incendi dolosi, innescati da un aumento del 3% delle tariffe della metropolitana che il governo è stato costretto a sospendere. Le proteste hanno messo in luce una rabbia molto radicata tra i cileni, che un sistema disuguale ha escluso dalla straordinaria performance economica del Paese negli ultimi decenni. “A voi politici doveva succedere davvero tutto questo perché la smetteste di rubare soldi alla gente?” chiedeva una donna davanti a una telecamera mentre aiutava a ripulire una delle stazioni della metropolitana di Santiago vandalizzata dai manifestanti. “ Qualcosa di profondo sta accadendo in Cile ” , spiega Marta Lagos, sondaggista e analista politica. Una parte enorme della popolazione si è sentita lasciata indietro: “Q ue st o non è solo un gruppo di bambini violenti, è molto di più. Siamo solo alla punta dell’iceberg. E questo produce una situazione molto instabile che tutti stavano ignorando”. Il governo non è riuscito a valutare l’impatto che gli alti livelli di disuguaglianza e precarietà occupazionale hanno avuto sulla società, secondo Lagos: “Piñera pensa che le proteste siano un problema di sicurezza, un problema di violenza e saccheggio. Non si rende conto che esiste un profondo malessere sociale che persisterà. Non può essere risolto con un coprifuoco”, ha detto, riferendosi alle misure di emergenza adottate per controllare le proteste durante il fine settimana. A causa dei disordini finora ci sono stati tre morti. Una persona è stata colpita dalle forze di sicurezza e altre due sono morte in un incendio mentre saccheggiavano un supermercato ai margini di Santiago. Ora, il governo di centrodestra di Piñera –a cui la mancanza di una maggioranza al Congresso ha impedito di attuare molte delle sue riforme a favore del mercato – p otrebbe incontrare ostacoli ancora maggiori da parte dell’op posi zione. “Il governo Piñera è un’anatra zoppa. Non sarà in grado di portare avanti le sue riforme al Congresso”, sostiene Patricio Navia, politologo alla New York University. Mentre alla fine può essere approvata un ’importante riforma delle pensioni, aggiunge, ciò è dovuto al fatto che il disegno di legge di Piñera sarà annacquato a tal punto che probabilmente assomiglierà molto a una proposta del precedente governo di centrosinistra. Eugenio Tironi, consulente politico a Santiago, ha confrontato le proteste della scorsa settimana con il movimento dei Gilet gialli scoppiato in Francia l’anno scorso, innescato da un aumento dei prezzi del carburante. “In Cile non si è trattato esattamente di un aumento sproporzionato delle tariffe. Sembra piuttosto quel tipo di aumento avvenuto regolarmente in passato. Ma oggi si somma alla sensazione generalizzata che gli sti pendi non siano al passo con l’aumento del costo della vita, soprattutto quando aumentano gli oneri del debito”, ha detto. “È tutt’altro che esaurito. È enorme”. “Sebbene negli ultimi giorni anche gli ecuadoriani si siano ribellati alle misure di austerità, le proteste in Cile sono diverse”, afferma Tironi. “In Ecuador ci sono almeno chiari movimenti contro il governo. Qui non c’è nulla di tutto ciò. Come nel caso dei Gilet gialli, sostiene Tironi, le proteste cilene sono più spontanee e decentralizzate. Ciò ha reso più difficile per le forze di sicurezza prevenire la violenza, anche se Navia afferma che è stato un errore non rafforzare il potere dei militari, dando loro la possibilità di usare la forza necessaria dopo aver dichiarato lo stato di emergenza. Ciò potrebbe aver esacerbato il saccheggio, che invece il governo di Michelle Bachelet era stato in grado di controllare dopo la sommossa del 2010. Navia traccia un parallelismo tra il Cile di oggi e il Venezuela di trent’anni fa, alla vigilia delle rivolte del C ara ca zo causate dagli aumenti dei prezzi del carburante che facevano parte del piano di austerità del Fmi. Questi hanno spianato la strada all’ascesa di Hugo Chávez e alla sua “rivoluzione bolivariana”, economicamente disastrosa. Come allora il Venezuela, oggi il Cile è “l’economia più stabile dell’America Latina, ma ha tre problemi: elevata disuguaglianza, elevata dipendenza da una sola merce e una classe politica sempre più distante e corrotta”. Mentre le sfide di oggi potrebbero non essere così gravi come quelle del Venezuela di 30 anni fa, Navia mette in guardia dalla promozione del Cile nel club delle nazioni ricche dell’Ocse: “In realtà – spiega – il Cile ha ancora problemi di tipo molto latinoamericani”.