Carlo Bertini e Ilario Lombardo

A Giuseppe Conte il compito di guardare negli occhi Laksshmi Mittal e Aditya Mittal e capire «quali sono le loro reali intenzioni». Appuntamento questa mattina alle 11, alla presenza dei ministri dello Sviluppo economico e del Sud Stefano Patuanelli, M5S, e Giuseppe Provenzano, Pd. Il premier pubblicamente indossa la maschera dura dell’avvocato pronto a tuffarsi in una causa giudiziaria per dimostrare che ArcelorMittal non aveva ragioni a supporto della sua volontà di recedere. Semplicemente perché lo scudo penale, evaporato lo scorso 23 ottobre dal decreto Salva imprese per volontà di una pattuglia di 5 Stelle irriducibili, non era previsto nel contratto sull’acciaieria ex Ilva. Ma a quel tavolo, oggi, se davvero una trattativa ci sarà, entrambi le parti dovranno essere disponibili a cedere qualcosa. E Conte avrà in mano una doppia offerta: la reintroduzione in forma più temperata e temporanea di una tutela legale, e la possibilità di condividere i costi di un mercato in affanno aiutando l’azienda sul lato dell’occupazione con una possibile cassa integrazione. Strumento al quale si riferisce implicitamente Patuanelli quando dice che «i cicli produttivi in flessione possono essere accompagnati con mezzi di sostegno, non licenziando le persone». Questi i paletti oltre i quali il divorzio con Arcelor sarà certo e doloroso. Ma se, come molti nel governo temono, la storia con i franco-indiani è ormai avviata sul viale del tramonto, l’Ilva tornerà nelle mani dello Stato. E nel Pd, dove l’angoscia di trovare una soluzione è al massimo grado, spunta pure l’idea di affidare la gestione ad un «supercommissario» come fu Enrico Bondi, che rimetta a posto i conti, completi il risanamento ambientale e nel frattempo cerchi una cordata disposta a rilevare l’azienda di qui a un anno. È uno sbocco, ipotizzato da uno dei ministri Dem che stanno gestendo la partita, e non escluso da chi, come il governatore pugliese Michele Emiliano, non vedrebbe male un ritorno alla gestione diretta dello Stato. Fonti del Mise però parlano di un’amministrazione straordinaria affidata, come previsto dalla legge, a tre commissari. Questo affanno alla ricerca di un piano B è sintomatico di un clima di passione in cui si sta vivendo alla vigilia dell’incontro clou. Il primo punto da chiarire è se serva reintrodurre lo scudo penale per i manager Ilva. In quel caso il governo è pronto a fare la sua parte: quando il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri dice che uno Stato serio deve fare «qualunque cosa serva», si riferisce a questo. Un “lodo» di mediazione, in mano a Provenzano, prevede una norma per cui chiunque sia impegnato in un piano di risanamento ambientale, non può essere ritenuto responsabile di quanto fatto dai suoi predecessori. Il battello potrebbe essere il decreto fiscale all’esame della Camera o un nuovo decreto più vasto. Attorno al provvedimento si è già creata la calca con una polemica che investe la voglia di rivalsa di Matteo Renzi. Il leader di Italia Viva ha smentito la notizia di lavorare a una cordata alternativa con in testa il colosso indiano dell’acciaio Jindal, nel cui Cda siede l’amico Marco Carrai, e che fu avversaria di Arcelor ai tempi della gara sull’Ilva. Ma Jindal sarà in Italia giovedì e potrebbe incontrare i commissari straordinari. La smentita di Renzi però è arrivata a seguito di quella di Cdp, tirata in ballo all’insaputa della società proprio dai renziani, e assieme al sostegno, inatteso in questa forma, a Conte: «Quando dice che Mittal deve onorare il contratto, noi stiamo con il premier». Solo se l’azienda accetterà di trattare, a quel punto l’alibi dell’immunità penale potrà essere tolto. Come? Maria Stella Gelmini ha fatto sapere che Forza Italia aveva già presentato un emendamento al Dl Fiscale alla Camera. Simile a quello con il quale Renzi punta a spogliare di ogni scusa l’azienda, presentato dalla deputata di Iv Raffaella Paita. Invotabili entrambi per i grillini, perché ripristinerebbero l’immunità bocciata a Palazzo Madama dalla fronda sfuggita a Luigi Di Maio. L’apertura di Patuanelli a una versione soft dello scudo si può spingere a una leggina che salvaguardi gli attuali concessionari «senza cedere a norme ad personam». Con il M5S in subbuglio e i numeri in bilico in Senato, Davide Faraone chiede alla Lega di votare l’emendamento dell’immunità. Il centrodestra è pronto a votarlo: supplirebbe ai voti mancanti tra i grillini ma fotograferebbe le divisioni della maggioranza.