Carlo Bonini & Tommaso Ciriaco
La Russia di Vladimir Putin ha condotto e continua a condurre campagne di ingerenza e disinformazione nelle dinamiche politiche del nostro Paese e in quelle dell’Unione Europea. E per questo, il nostro presidente del Consiglio le indica come una minaccia. Si scopre infatti – per come ricostruiscono a Repubblica fonti qualificate – che durante la sua audizione del 23 ottobre al Comitato parlamentare di controllo sui Servizi (Copasir) Giuseppe Conte ha dedicato un articolato passaggio delle oltre duecento pagine della sua relazione semestrale sulle attività della nostra intelligence (Aise, spionaggio all’estero, e Aisi, controspionaggio) proprio alle operazioni di manipolazione del consenso e di raccolta di informazioni condotte da Mosca in grado di condizionare gli equilibri politici del Parlamento europeo. E, con loro, la «dinamica interna» della discussione nel nostro Paese. Sempre con un unico obiettivo: ingrossare le fila di quegli schieramenti politici che in Europa e in Italia premono per la cancellazione delle sanzioni economiche a Mosca per la guerra in Ucraina. Che Conte abbia scelto quella seduta del Copasir per accendere un faro sulla Russia non appare casuale. E, in qualche modo, spiega anche a posteriori la conferenza stampa successiva a quella audizione. Nel dare conto di quanto accaduto al capitolo Russiagate (l’affaire che ruota intorno alla collaborazione italiana fornita alla contro-inchiesta condotta dall’attorney general William Barr, e che vorrebbe Donald Trump vittima di un complotto) il premier aveva infatti giustapposto un affondo a Salvini – apparentemente incongruo rispetto all’oggetto della sua audizione – sui suoi legami con Mosca. Si spiega insomma meglio, ora, la riproposizione di un assioma che ha definito e continuerà a definire il peso delle due vicende russe nella battaglia politica di queste settimane. E che, all’osso, suona così: se è vero che va ancora messo un convincente punto alla storia della collaborazione fornita da Conte alla contro-inchiesta di Barr, a maggior ragione il leader della Lega non può continuare a fuggire dai fatti del Metropol e dalla sua dichiarata sintonia di interessi e prese di posizione con Mosca per far cadere le sanzioni Ue alla Russia. Torniamo alla relazione al Copasir, dunque. Sempre secondo quanto riferito a Repubblica dalle stesse fonti, il premier, facendo riferimento all’intelligence raccolta dall’Aise, ha indicato al Comitato l’esistenza di evidenze per cui Mosca avrebbe condotto, ancora in occasione delle recenti elezioni europee del maggio scorso, «attività di informazione e ingerenza sui dispositivi dell’Unione europea» per condizionare l’esito del voto. Una circostanza, questa, peraltro ulteriormente accreditata, non più tardi di tre giorni fa a Bruxelles, dalla Commissaria europea al digitale Mariya Gabriel, che ha sottolineato come «le elezioni per il Parlamento Ue del maggio 2019 non siano state esenti da disinformazione». Una modalità tipica, come ormai pacificamente acclarato, delle centrali di intossicazione con sede in Russia. Il quadro, sempre secondo quanto riferito dal premier al Copasir, non cambia se ci si muove all’interno dei nostri confini. Con un riferimento alle attività di intelligence svolte dall’Aisi (il nostro controspionaggio) Conte ha menzionato in modo volutamente generico «attività ostili» condotte dalla Federazione russa. Il premier non è sceso nel dettaglio di queste «attività ostili» nei primi sei mesi del 2019 (quando peraltro, e non è un dettaglio, Salvini era il suo vicepremier). Anche se è verosimile che il riferimento sia all’attività di cyber-war, la guerra informatica, con cui vengono regolarmente aggrediti server e banche dati del nostro Paese che custodiscono informazioni sensibili. È certo che, nella sua disamina del rischio Russia, Conte abbia fatto cenno all’uso della «propaganda» per «indebolire il fronte Ue sul mantenimento delle sanzioni» e «modificare le politiche Nato sulla Russia». Sollecitato da Repubblica, Palazzo Chigi non fornisce alcuna indicazione sul merito dei passaggi della relazione semestrale dedicati a Mosca. «La legge non ci consente di confermare o smentire qualsiasi contenuto coperto da segreto nell’interesse nazionale». Diverso il discorso sul capitolo Russiagate-Washington. Qui, Palazzo Chigi lamenta la manipolazione, nei giorni scorsi, dell’intervista concessa da William Barr alla cable tv Fox News. «Nelle parole del ministro Usa – fa dire il premier – non c’era alcun riferimento esplicito a informazioni utili raccolte in Italia. Si parla infatti genericamente di “Paesi” cui gli Stati Uniti hanno chiesto collaborazione». Che la precisazione sia arrivata a distanza di quasi due giorni non deve sorprendere. È infatti contestuale alla notizia dell’apertura della procedura di impeachment del Congresso Usa nei confronti di Trump. Ed è la prova del timore di rimanere incastrati con la vicenda Russiagate in una partita mortale – lo scontro sull’impeachment – che si giocherà a Washington. Una partita che Roma non può evidentemente controllare.