Carmelo Lopapa
Il bollettino della disfatta è stato recapitato ad Arcore a fine giornata e raccontano che Silvio Berlusconi non poteva credere ai suoi occhi. Del resto, era il resoconto della debàcle forse finale, quasi il sigillo su un tramonto politico ormai compiuto. L’ordine rivolto due giorni fa dall’anziano leader ai consiglieri regionali di Forza Italia, di astenersi sulla mozione della Lega per promuovere un referendum elettorale pro-maggioritario in primavera, è stato disatteso da tutti. L’intero esercito dei rappresentanti forzisti nelle regioni ha voltato le spalle al Cavaliere votando a favore e adeguandosi al diktat di Matteo Salvini. Ormai unico capo riconosciuto della coalizione, da chi milita nel centrodestra. A nulla è valso il tentativo in extremis di trasformare con una nota (a firma Tajani, Gelmini, Bernini e Giacomoni) l’ordine di scuderia del giorno prima, pur di salvare almeno l’apparenza: «Votate a favore del referendum, ma con un ordine del giorno pro-presidenzialismo». La strada ormai era segnata. La mozione è stata approvata intanto nelle quattro regioni guidate dalla Lega: in Sardegna (perfino con i voti di due grillini), nel Veneto di Luca Zaia, nella Lombardia di Attilio Fontana e nel Friuli di Massimiliano Fedriga. Ma è questione di ore nel Piemonte dove anche il governatore forzista Alberto Cirio ha dato indicazione a favore. Si attende l’ok dell’Abruzzo, mentre resta in bilico la Liguria, dove Giovanni Toti può contare su un solo voto di maggioranza (e oggi uno dei consiglieri sarà assente). Le mozioni andavano approvate in tempo utile per consentire il deposito del quesito referendario entro lunedì 30 ma già il leghista Roberto Calderoli, artefice dell’iniziativa, può esultare: «Lunedì mattina andremo in Corte di Cassazione a depositare il quesito referendario». E così Matteo Salvini, dall’Umbria: «Mentre Pd e M5s tolgono il diritto di voto agli italiani, noi l’offriamo nella prossima primavera». Forza Italia invece, dopo ieri, è un partito ancor più terremotato. In serata riunioni dei gruppi parlamentari per serrare le file e alla Camera la capogruppo Gelmini – dopo le voci di dissenso e la cena dei 50 con Mara Carfagna – ha preteso un documento di pieno sostegno ai vertici, a Berlusconi e alla sua presidenza del gruppo. «Poco senso metterlo ai voti quasi a insinuare il dubbio di infedeltà di alcuni – ha stigmatizzato proprio Carfagna – Farlo poi nel giorno in cui nei consigli è stata disattesa l’indicazione che il presidente aveva dato può essere a maggior ragione un boomerang». Ma il documento è stato preteso e alla fine è stato votato da tutti. Il Cavaliere tuttavia resta un leader sempre più solo