Carmelo Lopapa
Nasce il Pdl di Matteo Salvini. E nasce sulle note trionfali del Vincerò pucciniano. Il leader della Lega si prende Piazza San Giovanni, «questa che era la piazza di Luciano Lama, di Berlinguer e della Cgil, adesso è nostra». Ne fa uno scalpo, a fine kermesse, dopo che sul palco sono saliti anche Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi. C’è la foto a tre che non si vedeva dalla Piazza Grande di Bologna del 2015, ma quella era preistoria. Ora i rapporti di forza si sono invertiti. Non saranno i 200 mila che vengono proclamati dagli organizzatori, ma l’enorme spianata è piena a perdita d’occhio. La prova di forza è riuscita. Se si trasformerà in spallata a un governo giallorosso, fragile mai come in queste ore, dipenderà solo dall’autolesionismo dei suoi protagonisti. Il capo leghista è padrone unico e incontrastato. Non pronuncerà mai la parola “centrodestra”, quella è storia archiviata. Sul palco campeggiano solo simbolo e bandiere del suo partito. Gli altri due leader sono qui, ma da ospiti. Non alza mai la voce, Salvini, nella mezzora e passa di intervento dopo gli otto governatori (Toti, Zaia, Fontana, Musumeci e gli altri). Ma la svolta moderata che qualcuno si attendeva, dal nuovo capo del centrodestra, non c’è affatto. Appare piuttosto aspro, scalpitante, smanioso di buttare giù gli ex alleati: «Questa è la piazza contro il Palazzo, contro la Leopolda». «A casa, a casa», ripete più volte. Rivolto a “Giuseppi” ma anche alla sindaca Raggi (contro la quale vengono raccolte migliaia di firme) e al governatore Zingaretti. «Noi al governo torneremo e presto, torneremo dalla porta principale – promette ai suoi – vinciamo le regionali e li mandiamo a casa». Pronostica la crisi nei primi mesi del 2020, insomma. Lui attenderà in riva al fiume perché «la calma è la virtù dei forti». Per il resto, non c’è un guizzo, non uno slancio inedito rispetto alla solfa della decina di comizi giornalieri del leghista. Tono della voce pacato ma contenuti da piccolo Orban italiano: «Io credo che chi davvero applica gli insegnamenti del Vangelo sia colui che impedisce che i migranti si mettano in mano agli scafisti, al governo abbiamo gente sporche di sangue». Tra i militanti che affollano la piazza, Crocifissi esibiti e immagini della Madonna. Il padrone di casa fa presto a scaldarli, con un colpo basso sui problemi giudiziari dei genitori di Matteo Renzi, «avrei dovuto ricordarglieli nel confronto tv». Ha voglia di vendetta, di rivalsa, dopo l’auto espulsione dal governo. La piazza la vive come occasione di riscatto, in attesa dell’Umbria domenica prossima. Lancia un video con Oriana Fallaci, fa aprire il comizio a Maria Giovanna Maglie. Alberto Bagnai, prima di lui, torna alle sortite no-euro di un tempo: «Moneta unica irreversibile? Lo è solo la morte…». Salvini ha cura di presentare personalmente alla folla Berlusconi per scongiurare il rischio dei fischi, dopo la spaccatura dentro Fi sulla piazza di destra. «Il forfait di Carfagna e Brunetta? Un’occasione mancata», diranno a margine Gelmini e Bernini. Sul palco accanto al Cavaliere si piazzano Tajani, Mulé, Gasparri. «Qui mi sento veramente a casa», confessa Annagrazia Calabria. Alle spalle dell’ex premier il fido Roberto Gasparotti piazza strategicamente decine di “giovani di Fi” con bandiere: faranno da claque a comando, “Silvio, Silvio”, dato che la piazza non dà segni di vita durante l’intervento. «Uniti conquisteremo una grande vittoria, siamo tutti indispensabili», dice il Cavaliere al microfono, rivolto a chi, si può immaginare. Sembrano tutti affetti dalla sindrome di Stoccolma, i forzisti, mentre Salvini li sta fagocitando, pur con parole suadenti: «Vince la squadra e non si vince mai da soli, l’abbraccio della piazza vada anche a Silvio e Giorgia», dirà in conclusione. Chi si trova davvero a proprio aggio è la presidente di Fdi, la retorica di destra è nelle corde della folla: sarà la più applaudita tra gli ospiti. «Sono madre e cristiana», «no all’islamizzazione», «se servono muri, si costruiranno, se servono blocchi navali, si faranno». Sottinteso, col loro governo. Ce n’è abbastanza per entusiasmare Marine Le Pen, che da Parigi saluta «l’immenso raduno dell’amico Matteo».