Cesare Zapperi
È una separazione politica, certo. Ma quando condividi anni di impegno e di scelte c’è un coinvolgimento personale che nel momento dell’addio aggiunge sale alla ferita. Perché Matteo Renzi per alcuni non era solo il leader di riferimento ma anche un amico. «È un passaggio molto doloroso politicamente e umanamente» ammette Matteo Biffoni, sindaco di Prato, seguace della prima ora dell’ex segretario dem. «Mi sono riavvicinato alla politica nel 2013 grazie a Matteo — spiega il primo cittadino di Bergamo Giorgio Gori —E certamente sono diventato sindaco nel 2014 sull’onda del suo successo. Ho condiviso tante battaglie, compresa quella persa del referendum, ma ora le nostre strade si separano perché non sono portato ad aderire a progetti che si basano su una persona». Forse proprio perché nell’esperienza politica di Renzi i sindaci hanno sempre avuto un peso particolare, è da questi, specie da quelli a lui più vicini, che vengono le parole più severe rispetto ad una scelta che non si riesce a condividere. «Non si sbatte la porta di casa propria e si va via per sempre—osserva il sindaco di Rimini Andrea Gnassi — soprattutto quando è in atto una discussione ed è viva una sfida come quella di governo. Non ci sono se né ma». «È un errore enorme — rincara la dose Matteo Ricci, dal 2014 alla guida di Pesaro e vicepresidente dell’Anci — Non credo nei partiti personali e le divisioni portano sempre male». Con una stoccata velenosa: «I sindaci popolari aggregano, non dividono». Se in Parlamento Renzi ha trovato un seguito, seppur numericamente poco superiore al minimo indispensabile per costituire i gruppi alla Camera e al Senato, nei municipi il reclutamento dell’ex premier al momento fa molta più fatica. Nei Comuni medio-grandi ragioni delle scissioni e nemmeno l’utilità — dice Simone Giglioli, sindaco di San Miniato — Rimango ancorato al concetto togliattiano “extra ecclesia nulla salus”, fuori dalla Chiesa nessuna salvezza, poi mi sento ancorato al riformismo e per me c’è tutta l’esigenza di avere il Pd come partito del riformismo». Insomma, per quanto in fase di ristrutturazione dopo le scosse telluriche subite negli ultimi anni (anche,osoprattutto, durante la gestione renziana), la vecchia casa rimane ancora la più «sicura» per affrontare le sfide del futuro. «Ad una condizione — mette in guardia Gori — che il Pd tenga alta la bandiera riformista. Tanto più riusciremo a proseguire su questa strada, non arretrando sui tanti fronti aperti in questi anni (dalle riforme del lavoro all’immigrazione), tantomeno avrà spazio l’altro progetto». Concetto fatto proprio da Gnassi nell’auspicare per il suo partito «uno spazio democratico allargato, in grado per la sua anima inclusiva di contrapporsi nella maniera più estesa al pericolo del sovranismo becero, del partito azienda, del partito di un capo». «Il Pd — riassume il sindaco di Modena Gian Carlo Muzzarelli — è l’unica vera alternativa alla destra di Salvini». Allora, il progetto renziano è destinato al fallimento? Se i sondaggisti non si sbilanciano, Biffoni lancia un avvertimento: «Attenti a non sottovalutare Matteo. Lo conosco bene, so di quanta forza, di quante energie sia capace. Alla Leopolda di metà ottobre sicuramente aggiungerà altra benzina, siamo solo ai primi passi. Ha agito d’impulso perché si sentiva politicamente ingabbiato e allora ha buttato il pallone nell’altro campo. Aspettiamoci altri passi».