Chiara Giannini

Lo scandalo è di quelli che fanno tremare le fondamenta dei palazzi. Tremila e duecento per l’esattezza, secondo i bene informati. Tanti erano infatti gli immobili dati in garanzia dai Democratici di sinistra utili ad assumere un debito milionario del giornale per eccellenza della sinistra, L’Unità, verso un gruppo di banche. Debito garantito dalla presidenza del Consiglio dei ministri il 5 febbraio del 2000. La notizia è che ora quel debito, che oggi ammonta a 81,6 milioni di euro, pesa proprio sulle spalle di Palazzo Chigi, ma che alla fine a pagare saranno i cittadini italiani. La storia inizia a cavallo del nuovo secolo. All’epoca Massimo D’Alema è presidente del Consiglio dei ministri e anche presidente dei Ds (Democratici di sinistra). L’Unità ha contratto molti anni prima (si parla di 31 anni fa) un debito di 200 milioni di euro con le banche, ma i soldi non ci sono, quindi i Ds propongono alla presidenza Consiglio, cioè a D’Alema, di assumere su se stessa quel debito grazie a una legge del 1998, frutto del governo Prodi, che però concedeva la garanzia statale all’editoria. Le banche accettano, in quanto il partito si dimostra capiente perché titolare di immobili. Circa la metà della cifra viene saldata con le entrate del finanziamento pubblico ai partiti, il resto manca. Peccato che quel patrimonio immobiliare da tempo non esista più. Risulta anche da una perizia dell’ingegner Marco De Angelis fatta per il Tribunale di Roma che, nei giorni scorsi, con tre sentenze ha rigettato tre ricorsi fotocopia presentati dall’Avvocatura dello Stato in opposizione ai decreti ingiuntivi di Intesa, UniCredit, Bpm e Bnl e legati al rimborso dei crediti utilizzando la garanzia dello Stato. Come si legge nelle sentenze, il giudice Alfredo Maria Sacco ha dato autorizzazione alle banche a rivalersi sui debitori per inadempimento e quindi non per insolvenza. Il tutto nonostante l’Avvocatura dello Stato avesse chiesto e ottenuto dal magistrato di valutare a quanto ammontasse il patrimonio del partito, che il consulente del giudice di Roma ha censito in una perizia molto accurata e per certi aspetti incompleta, atteso che lo stesso giudice ha disatteso la richiesta di poter proseguire le indagini peritali. Nonostante questo, però, il magistrato ha deciso che a pagare i debiti dei Democratici di Sinistra dovrà essere la presidenza del Consiglio dei ministri, appurato che, si legge nelle sentenze, il partito di D’Alema & C., ha posto in essere una serie di condotte «apparentemente elusive (e forse fraudolente), per sottrarre i propri beni dalla garanzia, patrimonio» che poi, nel 2007, l’allora tesoriere Ds Ugo Sposetti, poi senatore Pd, ha provveduto a «collocare» in 57 fondazioni e che, a dire dello stesso Sposetti, non è più aggredibile dalle banche. Palazzo Chigi ha anche chiamato in giudizio i Ds, oggi presieduti da Antonio Corvasce, che si sono costituiti con il nuovo tesoriere Vito Carlo D’Aprile il quale, da tempo, per poter fare fronte a tutti i debiti, ha chiesto il conto della sua gestione al senatore Sposetti, nel 2008 parlamentare del Pds, senza esito. Dalle carte risulta che le banche coinvolte devono avere indietro diversi milioni di euro: UniCredit 22 milioni circa, Intesa San Paolo 35 milioni, Bpm 14,7 milioni di euro e Bnl 14 milioni. Già nel 2014, all’epoca del governo Renzi, la presidenza del Consiglio aveva presentato opposizione, facendo ricorso attraverso l’Avvocatura dello Stato, perché non sussistevano «i presupposti per l’escussione della garanzia stessa chiedendo e ottenendo di chiamare in manleva l’associazione Democratici di Sinistra, già Partito democratico della Sinistra». Ma il decreto fu dichiarato immediatamente esecutivo. Con le sentenze del 10 settembre si chiude il primo capitolo della vicenda. Tocca allo Stato, che potrà rivalersi sui Democratici di sinistra, che sono i recenti antenati del Partito democratico. Solo che non c’è più un euro, visto che il patrimonio un tempo millantato non è che una scatola vuota. Dove sono finiti quei 3.200 immobili di cui solo una piccola parte è stata censita nella perizia fatta fare dal Tribunale di Roma? Che farà il premier Giuseppe Conte? Darà ordine di rivalsa sul partito dei Ds o andrà in appello? Il rischio è che a pagare i debiti di un partito siano i cittadini.

Lo scandalo dei 3.200 immobili spariti Con la fine dei Ds il patrimonio finito in fondazioni e associazioni. Rivalsa impossibile.

Si tratta di un patrimonio enorme, a occhio di 3.200 immobili, finiti chissà dove e serviti per la garanzia data dalla presidenza del Consiglio dei ministri per salvare L’Unità. Nella relazione Ctu fatta dall’ingegner Marco De Angelis su richiesta del Tribunale di Roma appare chiaro che sono finiti in fondazioni o altro e che, quindi, la scatola è totalmente vuota. Il perito è riuscito a recuperare informazioni effettive su 250 unità, un campione del totale. La ricerca è stata estesa alle varie federazioni dei Ds presenti sul territorio nazionale. Un lavoro certosino, che avrebbe potuto riguardare anche circoli Arci e sportivi, ma che di fatto ha portato all’individuazione solo di una parte delle ex proprietà immobiliari del partito da cui è nato l’attuale Pd. Il perito dice che «al momento dell’escussione della garanzia esistevano 1.651 unità immobiliari tra catasto fabbricati e catasto terreni». Questo al 2008. A marzo 2009 erano scesi a 1.002 e ad aprile 2009 a 994. Ma i bene informati assicurano che sono molti di più. Nel testo si legge chiaramente che «a partire dall’aprile 2007 le singole federazioni provinciali dei Ds, su indicazione della sede centrale, costituiscono delle fondazioni alle quali viene donato a titolo gratuito l’intero patrimonio immobiliare». Gli enti territoriali hanno quindi ceduto gli immobili alle fondazioni. Un’operazione probabilmente pensata e ben studiata, così da rendere il patrimonio immobiliare dei Ds una scatola vuota. «Dall’analisi delle trascrizioni – si legge poi – delle costituzioni di fondazioni, si evince che all’atto della costituzione delle fondazioni erano stati donati 983 unità immobiliari e 156 terreni». Il totale dei beni donati ammonta a 1.736 unità (1.506 immobili e 230 terreni). Ciò significa che al momento dell’escussione di garanzia questi beni erano di proprietà dei Ds, ma intestati a fondazioni. Il primo quesito del giudice chiedeva che si verificasse l’effettiva appartenenza degli immobili ai Ds al momento della presentazione della garanzia. L’elenco è stato ripreso «dal contratto di cessione del complesso aziendale de L’Unità al 30 dicembre 1997 con cui L’Unità spa in liquidazione cede alla Beta immobiliare srl (legata ai Ds, ndr) il proprio complesso aziendale immobiliare». Vi sono palazzi e appartamenti a Napoli, Villa San Giovanni, Roma, Bergamo, Tivoli, Lucca. C’è persino la sede di via delle Botteghe oscure. Che a oggi non appartiene più al partito. Ma ci sono appartamenti e case anche in piazza Campitelli a Roma, in via dell’Aracoeli, in via Coghetti e via Leoncavallo a Bergamo, in piazza Francesco Napoli a Palermo (dove c’era la sede de L’Ora, ndr), in via Fulvio Testi e via Giovanni Suzzani a Milano e molti altri. «Alcuni sono stati venduti – si legge ancora – prima di tale data (3 agosto 2000) e pertanto non potevano essere oggetto della prestazione di garanzia». Nella perizia l’ingegnere specifica chiaramente che «gli immobili che possono farsi risalire ai Ds al momento dell’escussione della garanzia (giugno 2008) sono innumerevoli, ma a quel momento la quasi totalità degli immobili dell’elenco dell’accollo non erano più di proprietà dei Democratici di sinistra o di persone giuridiche risalenti a essi».