Daniela Ranieri

Ogni tanto è bene dare una sbirciata a Il Bolscevico, l’Organo del Partito marxista-leninista italiano, che lotta contro “il fascismo e la borghesia dominante” con analisi spesso dotte e puntute, specie su scuola e lavoro. Ci ha colpito però il 2 ottobre leggere una filippica durissima contro Roberto Saviano, una specie di dossier completo di sue lettere alla redazione, alla luce dell’intervista rilasciata dallo scrittore al Venerdì di Repubblica del 20 settembre. In questa intervista, accusa Il Bolscevico, Saviano “non fa cenno del non breve e pur intenso rapporto, durato oltre un anno, che intrattenne con il Pmli e Il Bolscevico nel suo periodo giovanile, nel passaggio tra l’adolescenza e la maturità”. Considerando che oggi Saviano ha 40 anni, si sta parlando di cablogrammi che risalgono a più di 20 anni fa. il Bolscevicorivela che Saviano allora “si definiva, come nella sua prima lettera spedita al Pmli il 3 maggio 1996… ‘un ragazzo da sempre impegnato nella lotta di classe e militante della sinistra rivoluzionaria extraparlamentare ’, di tendenza ‘guevarista/trotzkista’.” Se non basta, che dire di “quando, già compiuti i 17 anni, in una seconda lettera…, rivolgendosi ai ‘cari compagni del Bolscevico’ ”, si definiva anzi ‘un marxista-leninista di Caserta’, precisando di comprare saltuariamente il nostro giornale”? IN FORZA di mille altre prove prodotte, il Bolscevicosostie – ne la tesi che Saviano avrebbe tradito i suoi ideali giovanili (peraltro, inquieta la prassi del giornale marxista-leninista di conservare per 23 anni le lettere di ogni ragazzino che contatti la redazione) per diventare un tiepido borghese riformista. Gli si rimprovera che “nel 1997 affiggeva i manifesti del Partito”, e oggi “deplora e condanna pubblicamente l’uso della violenza rivoluzionaria, come fa nel 2010, attaccando su la Repubblica la battaglia storica degli studenti che in Piazza del Popolo rispondono alla violenza della polizia”. È la stessa accusa che si fa da 50 anni al Pasolini di Valle Giulia, infatti citato. Ma, stante l’aporia che i bolscevichi non sono in grado di produrre nessuna lettera in cui il Saviano adolescente elogi la violenza, l’e s c a la t i o n de l l e imputazioni è feroce. Non è chiaro se si tratti di una specie di outing, di sputtanamento ai danni del Saviano personaggio famoso “accolto dalla classe dominante nei suoi salotti più prestigiosi” (tanto per rovinargli la piazza), o di una reazione a un tradimento affettivo. Nell’i ntervista a Simonetta Fiori Saviano parla dei demoni con cui convive e della sua giovinezza inesistita (“La mia famiglia è come se fosse morta, completamente disgregata, 13 anni fa”), senza nominare i suoi trascorsi filo-bolscevichi; ma, a parte che vi compare in una inequivocabile foto da ragazzo con la maglietta di Che Guevara, perché avrebbe dovuto? Non è pensabile che la sua formazione si sia incarnata nelle battaglie che ha condotto, co-evolvendosi con la sua biografia spezzata? Il giornale gli riconosce le lotte “contro la camorra e tutte le mafie, in difesa dei migranti e dei rom contro il razzismo, la xenofobia e il fascismo… contro l’aspirante duce d’Italia Matteo Salvini”,“il berlusconismo…, mafia capitale, l’attacco alla libertà di stampa del ducetto Di Maio e i suoi ‘taxi del mare’, il demagogo De Magistris e il corrotto De Luca, il decreto fascista e razzista Minniti”; ma gli rimprovera di non condurle “da marxista-leninista”, bensì “da liberale riformista borghese, tutte all’interno del regime capitalista e neofascista”. Sembra la fotografia dei difetti che, a volte anche parodisticamente, si imputano al fideismo massimalista, dal non saper fare i conti con la transitorietà alla spietatezza con cui il collettivo e l’onto – logico sovrastano il personale e il contingente. Non è comprensibile che un uomo che vive sotto scorta per minacce di morte abbia fatto sua la critica della violenza, pure proletaria? EPPURE Saviano è un intellettuale che conduce, secondo la sua accorata testimonianza, una vita del tutto estranea al trafficare e al manipolare correnti (“Vivo la vita d’un malato o d’un carcerato, e sai come riesco a consolarmi? Dicendomi che in realtà sono un privilegiato, libero da patologie e da sentenze di pena”), a meno di non alludere al famigerato “attico a New Yo rk” inventato da Salvini, Meloni ecc. La stoccata finale su un Saviano radical chic contiene un ’allusione fatua: “Perc hé non spiega come si è potuto creare questo oscuro cambiamento tra il Saviano rivoluzionario e antiriformista di ieri e quello riformista, liberale, pacifista e in certi momenti finanche anticomunista e reazionario di oggi? E in ogni caso, perché nascondere questo passato, a meno che non se ne vergogni di fronte alla classe dominante borghese…?”. L’“oscuro cambiamento” di Saviano forse è solo cambiamento. È quella figura che Marx affronta nei Manoscritti economico-filosofici quando parla di ciò che rende un uomo “d ia l et ti ca m en te ” felice; è il divenire che in Materialismo ed empiriocriticismo Lenin associa alla imprescindibilità, in ordine alla rivoluzione, della vita quotidiana. Dice Saviano: “Mi manca poter sbagliare liberamente. Oggi ogni mio errore è osservato, spiato, amplificato, come se la mia vita fosse una cittadella assediata, che non ammette spazi di debolezza”. IL BOLSCEVICO pensa di fare una cosa radicalissima attaccando Saviano sul piano del privilegio individualista piccolo-borghese: esattamente ciò che fanno da 13 anni, dall’uscita di Gomorra, i camorristi, i berlusconiani, CasaPound, Vincenzo De Luca, i devoti a Santa Maria Elena Boschi, i benpensanti borghesi, i troll sui social, i “napoletani veri”, i mafiosi, i salviniani e i semplici invidiosi.