Dario Di Vico

Ieri è suonato un nuovo campanello d’allarme. La rilevazione Istat sulla produzione industriale di luglio ha fatto segnare -0,7% sul mese precedente e fa seguito al -0,3% di giugno. La frenata riguarda tutti i comparti tranne l’energia — favorita dalle alte temperature — e colpisce in particolare i beni strumentali (-1,6% mese su mese e -3 anno su anno) e la meccanica (addirittura -6,9% anno su anno). La caduta della manifattura non è compensata dai servizi che restano deboli e incapaci di dar vita a una vera staffetta. Se poi affianchiamo i dati Anfia a quelli Istat veniamo a sapere che a luglio la produzione di auto in Italia è crollata del 19%. Allargando la visuale all’intero settore automotive la frenata è del 7,5%. I dati Istat e Anfia sono peggiori delle attese e riflettono in pieno le incertezze del quadro internazionale legate alla querelle sui dazi e alle ombre della Brexit che compromettono l’efficienza delle grandi catene del valore. Ma è anche vero che le aziende italiane non stanno investendo come dovrebbero, che questo rallentamento mette a rischio la trasformazione digitale e, infine, che si prospetta una vera crisi di settore perché il mercato delle 4 ruote è davanti a una lunga «traversata nel deserto». Le conseguenze a livello di Pil sono ovviamente negative. In sostanza nei prossimi due trimestri difficilmente ci schioderemo da quota zero e chiuderemo il 2019 negli stessi termini. Per aspettare qualche decimale di ripresa bisognerà attendere il 2020 che, secondo le previsioni che circolano, dovrebbe regalarci un +0,3%. Detto che agricoltura, servizi e costruzioni non riescono a salvare il Pil perché quando va bene portano a casa, sommati, qualche decimale, secondo Ref Ricerche ne risentiremo anche in termini di occupazione. Se il part time volontario ha tenuto su i numeri almeno a livello di teste (e non di ore lavorate) si fa avanti un grosso problema di bassa produttività del lavoro.

Il nuovo governo dovrà quindi confrontarsi con un quadro economico che è in peggioramento come del resto dimostrano le segnalazioni su nuove crisi aziendali e le ore di cassa integrazione. Ma il banco di prova per le politiche manifatturiere della compagine giallorossa sarà rappresentato proprio dalla crisi dell’auto. La Confindustria ha messo a punto, già nelle settimane a cavallo dell’estate, un documento che si conclude con la richiesta dell’apertura di un tavolo di concertazione. L’elaborato dovrebbe arrivare ad ore al ministero dello Sviluppo economico all’attenzione del neo-ministro Stefano Patuanelli, che avrà così il suo primo stress test. Vista però la complessità del settore automotive e le implicazioni dirette sul Pil è facile che quella che si prospetta come una «vertenza» finisca in tempi brevi tra le carte della presidenza del Consiglio. Una richiesta esplicita in questa direzione è venuta ieri dal segretario nazionale della Fiom-Cgil Michele De Palma con l’idea di costituire una task force a palazzo Chigi per l’individuazione delle strategie «per l’occupazione e l’innovazione ecologica nella produzione di auto».