Davide Frattini

Ha aspettato quasi fino all’ultimo. Benjamin Netanyahu avrebbe avuto altre 48 ore per tentare di formare il governo, era evidente che non ce l’avrebbe fatta già da una settimana. O forse fin da quando ha ricevuto il mandato 26 giorni fa dal presidente Reuven Rivlin. È la seconda volta (dopo il voto di aprile e quello in settembre) che il Mago dei negoziati — come lo esaltano i sostenitori — non tira fuori il successo dal cappello. Adesso tocca a Benny Gantz, l’ex capo di Stato maggiore entrato in politica per mandare a casa il primo ministro accusato di corruzione. Anche per lui le possibilità di raccogliere i 61 deputati necessari sono basse. Potrebbe decidere di presentare in parlamento un governo di minoranza: riuscirebbe a sopravvivere grazie all’appoggio esterno dei partiti arabi e all’astensione dell’ultranazionalista Avigdor Lieberman. Numeri e personaggi difficili da tenere insieme. È più probabile che l’ex generale cerchi di spingere il Likud a spodestare l’uomo che ha permesso alla destra di restare al potere senza interruzioni dal 2009. Il calendario politico si sovrappone a quello giudiziario: il procuratore generale dello Stato ha annunciato di voler incriminare Netanyahu e in questo caso il Likud potrebbe decidere di sostituire il leader. Gantz ha già dichiarato di essere disponibile a formare un governo di unità nazionale senza «Bibi». L’intesa permetterebbe di evitare nuove elezioni anticipate.