Ha aspettato quasi fino all’ultimo. Benjamin Netanyahu avrebbe avuto altre 48 ore per tentare di formare il governo, era evidente che non ce l’avrebbe fatta già da una settimana. O forse fin da quando ha ricevuto il mandato 26 giorni fa dal presidente Reuven Rivlin. È la seconda volta (dopo il voto di aprile e quello in settembre) che il Mago dei negoziati — come lo esaltano i sostenitori — non tira fuori il successo dal cappello. Adesso tocca a Benny Gantz, l’ex capo di Stato maggiore entrato in politica per mandare a casa il primo ministro accusato di corruzione. Anche per lui le possibilità di raccogliere i 61 deputati necessari sono basse. Potrebbe decidere di presentare in parlamento un governo di minoranza: riuscirebbe a sopravvivere grazie all’appoggio esterno dei partiti arabi e all’astensione dell’ultranazionalista Avigdor Lieberman. Numeri e personaggi difficili da tenere insieme. È più probabile che l’ex generale cerchi di spingere il Likud a spodestare l’uomo che ha permesso alla destra di restare al potere senza interruzioni dal 2009. Il calendario politico si sovrappone a quello giudiziario: il procuratore generale dello Stato ha annunciato di voler incriminare Netanyahu e in questo caso il Likud potrebbe decidere di sostituire il leader. Gantz ha già dichiarato di essere disponibile a formare un governo di unità nazionale senza «Bibi». L’intesa permetterebbe di evitare nuove elezioni anticipate.