Dirk Schümer

uropa con pervicacia tale da far pensare che non esista altro tema di dibattito politico. Al più tardi dalle migrazioni di massa del 2015 ha monopolizzato l’agenda incentrando la critica sull’immigrazione, le comunità europee, la distribuzione del welfare, l’indulgenza della giustizia. Il grande successo riportato alle urne, da ultimo nelle elezioni regionali in Brandeburgo e Sassonia, è legato a una grave carenza dell’establishment. Se milioni di persone si orientano agli estremi del panorama politico, deve esserci per forza un grande vuoto al centro. Ma quando ultimamente i nazionalisti di destra in Europa sono andati al potere o hanno almeno sostenuto ufficialmente il governo, è andata piuttosto male. Il Fpoe austriaco è stato defenestrato dal governo per via di una conversazione ebbra e compromettente del suo leader Strache a Ibiza. In Italia il partito di maggioranza M5S ha dato il benservito alla Lega di Salvini prendendo come partner il Pd, di sinistra. E la Brexit, fiore all’occhiello dei nazionalisti di destra, dopo il trionfo al referendum, nel caotico passaggio alla realtà, si sta rivelando sempre più un incubo per tutto il Paese. La nuova destra però non è una fastidiosa meteora. I problemi delle migrazioni, dell’Euro, della criminalità, sono virulenti ovunque in Europa occidentale. I populisti di destra sono venuti per restare e possono arrogarsi il merito di aver spinto partiti in pericoloso declino, come i socialdemocratici in Danimarca, a ostacolare l’accesso degli immigrati allo stato sociale, riavvicinando gli elettori non proprio di destra al loro vecchio partito di riferimento e dimostrando in che misura il programma della nuova destra fosse in effetti socialdemocratico. L’aspetto più irritante dell’ascesa del nazionalismo di destra sta nella polarizzazione della vita politica. In Germania già prima del 2015 un partito ancora relativamente moderato come la Afd di Bernd Lucke è stato investito da un odio palese e isolato come qualcosa che non era: un insieme di nazisti. Questa demonizzazione sommaria ha fatto comodo ai vecchi partiti, evitando loro il necessario confronto con le istanze della nuova destra. Inoltre, tutti gli “antifascisti” dichiarati si possono fregiare del titolo di combattenti della resistenza contro l’ipotetico pericolo dell’hitlerizzazione. Si è visto ancora di recente con l’accorato appello del bardo Herbert Grönemeyer a un concerto a Vienna. Per contro c’è un vittimismo trito anche a destra. I nazionalisti, da Höcke a Salvini, si trincerano in una narrazione che li vede esclusi dal potere e messi in cattiva luce dai media e così facendo riescono a rimuovere più facilmente i loro insuccessi. Chi esagera la portata di questi movimenti popolari in realtà di scarso successo e straparla di una presa di potere per mano di finti fascisti, sfrutta la polarizzazione politica solo per pigrizia mentale e per autoesaltarsi. L’aspetto tragico è che Höcke e Grönemeyer si somigliano molto di più di quanto entrambi vorrebbero, un finto gigante e un antifascista per finta.