Domenico Agasso
Velocizzare i tempi dei processi Oltretevere, in modo che non calpestino il diritto a un procedimento «giusto». Lo vuole il Papa, soprattutto in questa fase di sterzata per bonificare la Chiesa dalla corruzione e renderla più trasparente. Perciò ha chiesto un’accelerata alle autorità competenti. Da chi svolge le indagini, il promotore di Giustizia Gian Piero Milano, si aspetta inchieste eseguite «con prontezza», spiega a La Stampa un alto prelato. E allo stesso tempo il Pontefice ha affidato «con piena fiducia» a chi celebra i processi, il presidente del Tribunale vaticano Giuseppe Pignatone, nominato un mese fa, la missione di snellire le tempistiche giudiziarie. A cominciare dalla vicenda londinese, «opaca», come l’ha definita il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin. Gli ultimi presunti scandali finanziari scoppiati in ottobre attorno ai palazzi di lusso nel centro di Londra sono legati ai fondi propri della Segreteria di Stato e al loro uso, che appare perlomeno «spericolato». Chi conduce l’investigazione dunque è il pm Milano, che ha nella Gendarmeria il «braccio» operativo. Quando terminerà le operazioni consegnerà gli atti al Tribunale, e solo a quel punto il presidente inizierà a lavorare. E si capirà se si potrà arrivare a un processo. Senza voler mettere eccessiva e controproducente fretta, a Santa Marta si attende con crescente trepidazione la decisione della magistratura. Anche perché papa Francesco desidera svoltare, imponendo alla Santa sede un nuovo corso basato su trasparenza e caccia ai corruttori. Con il necessario garantismo. Per il Papa «non può più capitare di avere un procedimento giudiziario lungo otto mesi come quello di Vatileaks 2, durato da novembre 2015 a luglio 2016», sostengono nelle Sacre Stanze. Secondo Bergoglio la celerità massima possibile è parte sostanziale del diritto umano ad avere un giudizio giusto. «A poco o nulla servono condanne o assoluzioni dopo anni», afferma un monsignore. «Questa problematica papa Francesco la conosce bene perché è una piaga di vari paesi dell’America Latina, in particolare la sua Argentina e il Cile», ci spiega. E poi c’è la questione mediatica: Bergoglio vive «con angoscia» le situazioni che diventano scandalo soprattutto perché non arriva una risposta chiara dalle autorità. «Se si trascina tutto in modo confuso o ambiguo, il clamore cresce, si crea la sensazione di impunità – evidenzia un suo collaboratore – e rimane nell’immaginario collettivo l’idea che anche il Vaticano sia “un porto delle nebbie”». È l’espressione con cui veniva definita la Procura di Roma segnata negli anni Ottanta da insabbiamenti e misteri. I magistrati devono essere «i primi ad affermare la superiorità della realtà sull’idea», aveva detto il Papa incontrando l’Associazione nazionale Magistrati a febbraio. Nei Sacri Palazzi rimbalza la sensazione che, «senza nulla togliere al predecessore, Giuseppe Dalla Torre, il Tribunale adesso ha una guida con un prestigio e un’esperienza inediti. Non è un caso: Pignatone è stato chiamato dal Papa per fare in modo che il Vaticano non venga considerato un “porto delle nebbie”». Intanto, sul versante della trasparenza, il cardinale Peter Turkson ha annunciato che «presto potrà esserci un documento che fisserà i criteri di gestione finanziaria dei dicasteri vaticani e delle diocesi».