Donato Masciandaro

La politica economica del presidente Trump rischia di destabilizzare l’economia americana attraverso i due canali del protezionismo commerciale e del lassismo fiscale, ponendo la Federal reserve di fronte a un antipatico dilemma: faccio gli interessi dei cittadini, con una politica monetaria che metta in luce le potenziali contraddizioni della politica presidenziale, oppure faccio finta di niente, assecondando le pressioni del presidente per un accomodamento monetario? I dati sulla salute dell’economia americana continuano a dare segnali contrastanti. Le notizie positive giungono dalla dinamica della domanda aggregata: il profilo dei consumi delle famiglie rimane regolare, così come la fiducia e i comportamenti sul mercato immobiliare. La domanda traina la vendita dei beni e dei servizi, che si riflette sull’andamento dell’occupazione. Le incertezze iniziano quando si guardano le tendenze effettive e prospettiche dei salari e dei prezzi, che continuano a essere anemiche. Salari e prezzi trascinano i piedi, e la ragione principale viene individuata nelle aspettative: se non ho fiducia nel futuro, tendo a posticipare sia le rivendicazioni salariali che le spese. La tossina che sta intaccando le aspettative è l’incertezza. A sua volta, l’incertezza viene alimentata da più di una fonte. Il problema principale è la stessa politica economica del presidente Trump, che accresce l’incertezza attraverso due sorgenti. La prima è la politica protezionistica sugli scambi commerciali. Anzi, questa sorgente inquina la fiducia attraverso due canali, che si rafforzano l’un l’altro. Il primo canale è quello più citato: il protezionismo riduce gli scambi, incidendo sulla domanda aggregata, quindi sulla produzione di beni e servizi. Ma c’è un secondo canale che è meno dibattuto sui media, ma non per questo meno potente: il legame tra il rischio protezionismo e l’incertezza. Il solo rischio che una guerra commerciale venga avviata può incidere negativamente sulle aspettative degli operatori. Quanto pesa questo secondo canale? Di recente, e in generale, l’analisi economica sta esplorando la possibilità di misurare l’incertezza provocata dalla politica economica sulle capacità di crescita economica. All’interno di questo perimetro di ricerca, è stato elaborato lo Us trade policy uncertainty index, uno specifico indice dell’incertezza legata alla politica commerciale. Se si guarda il periodo che va dagli anni 80 a oggi, l’indice schizza in alto, e di molto, in sole due occasioni. Il primo picco è raggiunto nei mesi che vanno dall’agosto 1992 al marzo 1995, come riflesso dell’incertezza che circondava i negoziati internazionali che hanno portato prima alla firma e poi all’implementazione degli accordi Nafta. Poi regna la calma piatta, fino al novembre 2016, mese dell’elezione di Donald Trump. Da quel momento l’indice si impenna, e rimane stabilmente alto, a segnalare una perdurante incertezza che, a sua volta, incide negativamente sulle aspettative. Un indicatore può essere quello della volatilità della Borsa. Econometricamente si può verificare se la volatilità dei prezzi azionari è correlata con l’incertezza “da protezionismo”. Bastano pochi numeri per almeno riflettere: negli anni tra il 1900 e il 2017 ci sono state 1.103 anomalie nella volatilità di Wall Street, di cui solo 7 correlate a picchi dell’incertezza da protezionismo; dal quel momento e fino all’agosto 2019 le anomalie sono state 13, di cui ben 5 correlate al rischio protezionismo. Ma la politica di Trump ha contribuito all’incertezza anche attraverso il disegno della politica fiscale. Il presidente americano ha deciso e implementato una politica fiscale espansiva in un momento in cui l’economia statunitense cresceva regolarmente, quindi attuando una scelta prociclica. Qualunque possa essere il giudizio complessivo su tale scelta, almeno su un aspetto c’è consenso: i suoi risultati sono inferiori rispetto anche alle più prudenti attese. Di nuovo, il meccanismo delle aspettative può aver giuocato a sfavore di una strategia – quella prociclica – che è rischiosa. Ma se la politica economica produce strappi da incertezza, come si deve comportare la Fed? La banca centrale deve evidenziare tali strappi – come ha auspicato William Dudley, già presidente della Fed di New York – o metterci ampie toppe, avviando – come reiteratamente auspicato dallo stesso Trump – un’aggressiva politica monetaria espansiva? La risposta lineare dovrebbe essere invece simile a quella data dalla Banca d’Inghilterra tutte le volte che ha dovuto affrontare il rischio di incertezza da Brexit. Ovverosia dare la risposta alle due seguenti domande: qual è l’impatto della fonte di incertezza sulla funzione obiettivo della politica monetaria? Quali saranno le possibili opzioni che la banca centrale potrà considerare? Un simile modo di procedere implica che la banca centrale abbia una funzione obiettivo trasparente e credibile. Ma questo non è il caso della Fed. Inoltre un tal modus operandi mette in conto le reazioni – anche scomposte – dei politici. È quello che è accaduto alla Banca di Inghilterra. È il costo di essere indipendenti, nell’interesse del Paese. È un costo che Powell è disposto ad affrontare?