Ettore Boffano
li Stati Uniti, che la salvarono ai tempi del patto Obama-Marchionne; la Svizzera, a lungo piccolo “p a r a d iso fiscale” per la dinastia Agnelli. Arrivano da quei mondi, solo all’ap parenza lontani, le cattive notizie che si addensano attorno a un’azienda che fu italiana e che in molti, e non soltanto a Torino, si ostinano a chiamare ancora Fiat. Fca ha una proprietà ex italiana, vende e produce soprattutto negli Usa (ma con più di un problema legale, come vedremo), svolge le sue assemblee ad Amsterdam e regola a Londra i suoi conti col fisco. Cattive notizie che riguardano il futuro della produzione automobilistica in Italia, oggi in condizioni che sembrano non sfuggire neppure al nuovo governo, se il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, intervistato dal Sole 24 Ore, ha parlato per la prima volta della necessità di un tavolo ministeriale “p er contenere e se possibile invertire la tendenza”. ANDIAMO CON ORDINE. Da – gli Usa, dopo il recente arresto del manager accusato di aver mentito sull’effettiva capacità dei sistemi di emissione montati sui veicoli diesel di Fca, è appena arrivata un’altra tegola giudiziaria. La Sec, la Consob statunitense, ha inflitto al gruppo una multa di 40 milioni di dollari. Una sanzione sopportabile, ma legata a una contestazione grave: aver gonfiato le vendite tra il 2012 e il 2016 presentando come nuove quelle di anni precedenti. Le notizie elvetiche partono, invece, da Ubs che due giorni fa ha diffuso un report nel quale annuncia di aver tagliato il target price del gruppo da 12 a 11 euro, provocando un immediato calo in Borsa. Le motivazioni di questa decisione sono l’analisi oggettiva delle difficoltà di Fca. Il problema delle emissioni nell’area del mercato europeo (dopo l’acquisto per centinaia di milioni di “diritti verdi” da Tesla per evitare le sanzioni Ue); il fallimento della trattativa con Renault-Nissan e l’in – capacità di trovare un partner in grado di rimediare all’arre – tratezza tecnologica, le difficoltà di vendita per la Jeep in Cina e il tracollo del marchio Maserati. Un vero e proprio bollettino di guerra che, se da una parte pone rimedio all’esagerato “fiancheggiamento” nei confronti di Fca da parte di molti analisti italiani, descrive uno scenario che pare proprio evocare l’emergenza del “ta – volo” indicato da Patuanelli. Oggi Fca è un’azienda sostenuta dagli ammortizzatori sociali (cassa integrazione straordinaria in tutti gli stabilimenti). “Io, in Italia, preferisco la cassa integrazione alla scelta di licenziare”, aveva spiegato Marchionne ai suoi interlocutori americani e così è stato sino a oggi: ma può tutto ciò assicurare ancora un futuro anche alla filiera italiana? La risposta di Fca alla battuta del ministero sul tavolo ministeriale, sostiene la Fiom, sarebbe stata quella di annunciare investimenti per 1,6 miliardi di euro a Torino, Modena e Cassino per l’auto elettrica col marchio Maserati e un modello suv. “È ancora una volta il ri-annuncio di un annuncio già fatto a suo tempo da Marchionne – commenta Giorgio Airaudo della segreteria della Fiom piemontese – e che presenta due difetti che ricalcano, come per i modelli Alfa a Pomigliano, i rilievi di Ubs: a luglio, il marchio Alfa aveva perso il 41% sul mercato europeo, Maserati il 29 e ad agosto è andata peggio. Poi, sul fronte dell’elettrico, resta l’as – senza di tecnologie proprie e il bisogno di un’alleanza strategica che non si vede”. LA REALTÀ di Fca sembra legata sempre di più alla vera intenzione degli azionisti di maggioranza: gli eredi Agnelli. “Anche alla luce della trattativa con Renault-Nissan poi fallita, pare quella della diluizione, di un lento distacco – aggiunge Airaudo – Basta pensare alla vendita di Magneti Marelli, che sarebbe stata indispensabile per la svolta elettrica, e adesso lo spin-off di Iv ec o ”. Una decisione, quella sui veicoli industriali, che proprio ieri ha prodotto il primo effetto negativo: l’annun – cio della chiusura, entro l’aprile 2020, dello stabilimento New Holland di San Mauro Torinese e della sua possibile trasformazione in un grande Nel guado Il presidente di Fca, John Elkann. Sopra, l’impianto di Mirafiori Ansa centro logistico, lasciando fuori almeno 120 dipendenti. Le ultime indiscrezioni parlano di un report giunto in Italia a luglio, redatto da alcuni analisti che lavorano per i soci americani di Fca: indicherebbe la necessità di chiudere almeno uno stabilimento in Italia. L’Alfa di Pomigliano? L’inse – diamento di Grugliasco (Torino) dell’ex Bertone, dopo la d éb â cl e del polo del lusso? Nessuno ha mai confermato queste voci, così come quelle di un ricorso, per evitare la chiusura, a pensionamenti incentivati, magari sfruttando al massimo Quota 100. Al contrario, altri commentatori sottolineano come, se quelle ipotesi fossero vere, è possibile che sia stato proprio Elkann a rifiutarsi di attuarle. Patuanelli e il governo andranno avanti sull’ipotesi di un tavolo ministeriale sull’au – to? “Se sarà così –conclude Airaudo – il punto di partenza dovrà essere l’emergenza del settore. A Fca si dovrà chiedere se e quanto vuole ancora investire in Italia, per uscire prima dagli ammortizzatori sociali e poi per ridare fiato alla filiera automobilistica. Riflettendo anche se non sia possibile favorire l’ingresso di investitori e di marchi stranieri, guardando soprattutto alle startup dell’auto elettrica”.