Ettore Livini
Il Partito socialista (Ps) di Antonio Costa vince le elezioni in Portogallo ma si ferma a un soffio dalla maggioranza assoluta. Un risultato che – se confermato dai dati finali dello spoglio- potrebbe aprire la porta a una Geringonça 2.0, una riedizione, forse in edizione ridotta, dell’alleanza a sinistra che ha governato il Paese negli ultimi 4 anni. Il Ps – a scrutinio quasi ultimato – è al 37%, il 5% in più del 2015, e dovrebbe conquistare 110 seggi su 230. Premiati dalle urne anche il Bloco de Esquerda (9,1%) e – in misura minore – la coalizione tra comunisti e verdi (5,7%), i due partner che nell’ultima legislatura hanno garantito sostegno esterno al governo di minoranza del Ps. Crolla invece l’opposizione di centrodestra del Psd guidata da Rui Rio, scesa dal 38,5% al 29,4%. Il pallino è ora in mano a Costa che, numeri alla mano, può decidere con chi governare e ha bisogno di un solo partner per controllare il Parlamento. I negoziati dovrebbero cominciare nelle prossime ore ma ripartiranno con ogni probabilità dal cantiere a sinistra che ha portato il Portogallo fuori dalla crisi. Il Bloco de Esquerda e i comunisti riuniranno tra domani e dopodomani i vertici di partito. E forse già a metà settimana incontreranno il Ps per cercare un’intesa sul programma di governo. I temi di convergenza sono chiari: l’aumento degli investimenti pubblici e dello stipendio minimo e un piano per affrontare l’emergenza casa. Ma a complicare le trattative potrebbero essere proprio i tentativi di forzare la mano dell’ex-premier che può permettersi il lusso di scegliere solo uno dei due ex-alleati. Il suo obiettivo è evitare con un accordo forte e blindato i cortocircuiti degli scorsi mesi, quando l’alleanza di governo ha rischiato di saltare sulla riforma del lavoro e sugli aumenti di stipendio al settore pubblico. I socialisti, in teoria, hanno in mano anche altre alternative: potrebbero cercare un’intesa con Livre, altra formazione di sinistra radicale che sarebbe in grado di trovare per la prima volta spazio in aula. Oppure – ipotesi poco probabile – calare il sipario sull’esperienza degli ultimi 4 anni e cercare un asse con gli ambientalisti del Pan. Costa non ha voluto scoprire le carte durante la campagna: «L’unica cosa di cui sono certo è che il Portogallo ha bisogno di un governo stabile e non di uno a breve termine». Il voto di ieri, con l’affluenza alle urne crollata al 53%, segna una sconfitta storica per la destra con il crollo del Psd e il flop del Cds, a rischio sorpasso del Pan come quarto partito del paese. Assunçao Cristas, leader del partito, ha rassegnato le dimissioni .
Il difficile, per Antonio Costa, inizia ora. E l’austerity “light” che ha portato il Portogallo fuori dalla crisi senza far saltare gli equilibri di bilancio affronta da oggi la sua sfida più complicata: quella con il rallentamento economico del Vecchio continente. Il 58enne leader del Partito Socialista può in queste ore legittimamente far saltare i tappi dello champagne: il risultato delle urne gli consente di scegliere con chi governare e l’esecutivo prossimo venturo, almeno sulla carta, parte molto più robusto di quello che l’ha preceduto, un governo di minoranza nato dopo la sconfitta del Ps alle elezioni del 2015 (vinte in realtà dal centrodestra). All’appello però manca il più importante dei suoi alleati: quella brillante congiuntura che dal 2015 ad oggi ha garantito a Lisbona i miliardi necessari per “voltare la pagina sull’austerità”. Alzando il salario minimo, ritoccando all’insù le pensioni, ripristinando 35 ore e quattro festività soppresse e presentandosi a Bruxelles – malgrado tutto – con un rapporto deficit/pil da primo della classe, ridotto dal 7,2% del 2014 allo 0,2% previsto per il 2019. I motori di questo miracolo sono stati tre: il primo l’eccellente stato di salute negli ultimi quattro anni delle economie mondiali, una manna per un Paese che fonda buona parte delle sue fortune sull’export, salito dai 49 miliardi del 2015 ai 61 del 2018. Il boom del turismo ha garantito un altro po’ del tesoretto utilizzato per cancellare alcune delle misure imposte dalla Troika in cambio di 78 miliardi di prestiti: nel 2015 le entrate legate a questo settore – che ormai vale quasi il 20% del pil – erano pari a 14 miliardi. Lo scorso anno i miliardi sono stati 22 (quasi 4 punti di prodotto interno lordo in più, uno all’anno). Il terzo fattore dei successi della sinistra portoghese è stato il rallentamento “controllato” – almeno all’inizio della legislatura – degli investimenti pubblici: nel 2016 i soldi spesi dallo Stato in a questa voce sono scesi al minimo storico. E solo da allora il governo ha ripreso ad aprire un po’ i cordoni della Borsa rimanendo però ben al di sotto della media degli anni pre-crisi. Il vento, purtroppo per Costa, è ora girato: la guerra dei dazi ha paralizzato gli scambi globali, sull’Europa c’è la spada di Damocle della Brexit. «E un paese piccolo come il nostro è molto più esposto a queste tempeste», ammette persino Mario Centeno, ministro delle Finanze e presidente dell’Eurogruppo che è stato il regista dello spettacolare risanamento dell’ultimo quadriennio. Il problema è se (e quanti) soldi il nuovo esecutivo avrà a disposizione per finanziare le sue promesse elettorali. L’elenco è lungo: un raddoppio degli investimenti pubblici – un cavallo di battaglia del Bloco de Esquerda e dei comunisti – un altro ritocco all’insù del salario minimo, un piano per calmierare i prezzi di case e affitti, balzati del 37% in 4 anni per la domanda turistica, più finanziamenti a sanità ed educazione. La partita di Costa e dei suoi futuri eventuali alleati, da domani in poi, è chiara: servirà un prudente gioco di acceleratore e freno per continuare le politiche “sociali” senza compromettere la stabilità dei conti dello stato. Il Portogallo, dicono Ue e Fondo Monetario, dovrebbe continuare a crescere più del resto d’Europa: + 1,7% quest’anno, più 1,9% il prossimo. L’arrivo a Lisbona di molti big stranieri (da Mercedes a Google a Bosch a Volkswagen) dovrebbe garantire continuità di investimenti esteri e di posti di lavoro. Ma sullo sfondo resta – come per l’Italia – lo spettro di un debito pubblico che viaggia ancora al 127% del pil e fatica a scendere. Una bomba ad orologeria che – in caso di bufere impreviste – potrebbe rovinare i sogni e i progetti di Costa e della sinistra portoghese.