Eugenio Scalfari

Mi è venuto il desiderio di fare un elenco di nomi che in parte diano una visione italiana ma con lo sguardo rivolto a tutto il mondo, culturalmente e moralmente agitato. Sottoporrò ora gran parte di questi nomi ai nostri lettori e poi tirerò, come posso, le conclusioni che derivano da questa visione. Dico subito che il mondo è sempre stato caotico e non soltanto nella fase moderna, ma da quando gli umani esistono. Un tempo l’agitazione era limitata perché gli umani erano isolati, ciascuno pensava a se stesso e semmai alla donna che era con lui o ai figli o ai singoli amici. Col passare dei secoli e dei millenni gli umani diventarono popoli. La storia del mondo comincia molti millenni dopo la comparsa sulla Terra del genere umano. Ma a noi interessa il presente o il passato prossimo e addirittura un eventuale futuro. Cosa siamo stati nell’ultimo millennio? Cosa siamo oggi e cosa saremo domani? Faccio questa premessa perché è molto utile un’analisi del passato che incide sul nostro futuro sempre di più man mano che analizziamo il presente, suggerisce un comportamento che utilizza l’esperienza per vivere un presente accettabile e un futuro auspicabile. Le personalità che guidano il nostro presente italiano sono le seguenti: Matteo Salvini leader del partito oggi più forte. Cominciò ai tempi della Lega Nord ma oggi riscuote a dir poco il 34 per cento perché dalle terre del Lombardo-Veneto si è esteso all’Italia intera.

Di fatto rappresenta la destra italiana dalle Alpi alla Sicilia ed ha anche un gruppo di alleati che portano la cifra totale a superare il 40 per cento, sia pure con notevoli oscillazioni. Questi alleati sono Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi, che in passato pesava di più. C’è anche un gruppo di fascisti del genere CasaPound, che tende ad appoggiare Salvini. C’è stata ieri una vasta manifestazione in piazza San Giovanni che Salvini ha riempito. Mi domando quali sono i rapporti attuali tra la Lega di Salvini e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Per un anno Conte fu una specie di burattino nelle mani di Salvini e di Di Maio. Ma poi Conte decise di non essere più un personaggio puramente figurativo ma un presidente del Consiglio che svolge realmente i compiti che gli sono stati affidati. Di qui una rottura totale tra Conte e Salvini e la nascita effettiva di un premier riconosciuto come tale anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Nel panorama complessivo della politica italiana c’è a questo punto il Movimento-Partito dei Cinquestelle guidato da Luigi Di Maio, il quale ha anche ottenuto, d’accordo con Conte e col presidente della Repubblica, la carica di ministro degli Esteri. Pur avendo una carica così importante e prestigiosa, Luigi Di Maio continua ad essere ritenuto capo del suo partito. Partito molto strano visto che il padre o addirittura il nonno di quella formazione è stato Beppe Grillo. Un tempo, direi fino ad un anno fa, Di Maio considerava Grillo come il vero capo del partito, ora non più. Nel frattempo ha scontato alcune sonore sconfitte elettorali. Di Maio non era certo di destra, ma tanto meno di sinistra, era alleato di Salvini e come tale prezioso per il centrodestra italiano. Nelle sue fila era nato politicamente il giurista e avvocato Giuseppe Conte che Salvini e Di Maio avevano scelto come presidente del Consiglio puramente rappresentativo dell’alleanza tra i due partiti. Durò circa un anno questa struttura governativa fino al colpo a sorpresa. Giuseppe Conte prese sul serio la sua carica di presidente del Consiglio e cominciò ad esercitarla con il consenso del presidente della Repubblica. Conte si rivelò un presidente del Consiglio di centrosinistra, direi quasi più di sinistra che di centro. Rifece il governo trattando naturalmente anche col partito da cui proveniva (i Cinquestelle) e con il Partito democratico guidato da Nicola Zingaretti. La situazione attuale è questa ma c’è un retroscena: Di Maio avrebbe voluto prendere il posto di ministro dell’Interno che fino a quel momento era stato di Salvini, ma nella trattativa gli uomini del Pd esclusero che Di Maio potesse occupare questa carica e gli offrirono, e lui fu costretto ad accettare, il ministero degli Esteri. In un’Europa confederata il ministero degli Esteri ha un suo peso ma scarso per un’Italia che in Europa conta assai poco. La risposta a questa relativa autorevolezza della carica ministeriale ha spinto Di Maio a restare e anzi ad accrescere la sua funzione di capo del partito Cinquestelle. Spesso il ministro degli Esteri Di Maio è in una situazione polemica nei confronti del governo nel quale ha una carica importante ma solo sulla carta, nella pratica dei fatti Luigi Di Maio è molto polemico verso un’alleanza con la sinistra democratica. Di fatto è diventato polemico anche nei confronti di Conte al punto da prendersi i rimproveri del “nonno” Beppe Grillo. Di Maio è diventato un mistero politico: contro Salvini, contro il Pd e praticamente contro Giuseppe Conte. Luigi Di Maio è a questo punto un enigma per se stesso e soprattutto per gli altri. Salvini lo riprenderebbe e gli aveva addirittura offerto la carica di presidente del Consiglio. Naturalmente ha avuto un secco rifiuto, ma nel panorama politico italiano abbiamo un ministro degli Esteri che non esercita questa funzione e un capo d’un partito che ormai non è molto al di sopra del 15 per cento: tuttavia l’alleanza con la sinistra gli dà un peso. I suoi accordi con Zingaretti sono più o meno teorici, i rimproveri del vecchio Grillo restano inevasi. Di Maio è un punto interrogativo: non conta nulla. La sinistra è invece oggi fatta da un partito che ha un discreto peso, intorno al 22 per cento e una galassia di varie forze. Movimenti di appoggio locale coinvolgono nella sinistra democratica alcuni sindaci, alcuni governatori di Regioni, alcune correnti di pensiero che hanno tuttavia i loro capi e capetti ma non stanno dentro il partito: lo fiancheggiano in certi casi, lo ostacolano in altri e disegnano una carta geo-politica molto vaga e tuttavia in quale modo determinante su quello che accadrà. Un nome è quello di Calenda, un altro è quello di Bersani, un altro ancora è quello del sindaco di Napoli, di Palermo, di Firenze, di Milano, di Bari, e così via. «Dall’Alpi alle Piramidi» e ancora: «Dal Manzanarre al Reno». Così avrebbe scritto per oggi Alessandro Manzoni nella sua rievocazione napoleonica de Il cinque maggio. *** Infine c’è Renzi e questa è la novità delle novità. In una situazione così confusa Renzi ha visto che si era aperto uno spazio anche per lui. Era stato il segretario del Pd, aveva raggiunto e superato il 40 per cento e aveva programmato una riforma costituzionale e una legge elettorale che trasformavano il Senato in Camera delle Regioni e centralizzavano tutti i poteri nelle mani di chi dominava il potere esecutivo. Si era perfino alleato con Berlusconi per ottenere questo risultato. Poi ci fu il referendum contro quella riforma che fu perso da Renzi e vinto da una sinistra referendaria. Renzi da allora era praticamente scomparso anche se aveva un gruppo notevole di deputati e di senatori che parteggiavano per lui. Sembrava tuttavia che lui si fosse ritirato: casalingo, guai giudiziari per i suoi parenti e assenza politica. È durata più d’un anno ma adesso di colpo è finita: Renzi è tornato sul campo di battaglia, ha creato un partito con il nome di Italia Viva e cerca ora di trovare uno spazio dove lui sia il numero uno. Renzi non può essere il numero due di un partito gigantesco: può essere il padrone d’un territorio, di una città, di un’intera nazione, purché sia sempre e comunque il numero uno. Il partito che lui ha creato viene valutato dai sondaggisti intorno al 4 per cento, cioè molto poco, ma Renzi è sicuro che tra poco arriverà all’8 per cento e forse al 10. Quale politica ha in mente? Ancora non è noto neanche a lui che ne discute in questi giorni alla famosa riunione della Leopolda che tra ieri e oggi arriverà a delle conclusioni interessanti. Renzi non è di sinistra e tantomeno di destra, ma è l’uomo della vittoria. Quale sia questa vittoria credo che non lo sappia neppure lui ancora: andrà nella direzione nella quale vincerà e questo è tutto. Ci sono altri nomi che dovrei fare nella politica italiana del futuro. Per esempio il nome di Romano Prodi e quello anche di Walter Veltroni. Il nome di Marco Minniti, e quello di Paolo Gentiloni. L’Italia è questa: un Paese molto agitato. *** È agitata l’Italia ma è agitatissima l’Europa, a cominciare dalla Germania, dalla Spagna, dal Regno Unito, dalla Polonia. Ma non è soltanto l’Europa: è il mondo intero a cominciare dagli Stati Uniti d’America, dalla Turchia, dalla Siria, dall’Iran, dall’Amazzonia, dal Cile, dalla Corea. In Italia c’è un solo punto di fermezza serena ed è il Quirinale che fino al 2022 sarà occupato da Sergio Mattarella. Se cerchiamo una figura di unità mondiale la troviamo soltanto nella religiosità del Dio Unico delle religioni monoteiste predicato da papa Francesco e prima di lui anche da Paolo VI nel corso del Concilio Vaticano II. Anche la Chiesa fu nei millenni un campo di battaglia perfino materiale, ma in questi ultimi anni è stata l’unica che non soltanto predicasse ma attuasse l’unità religiosa. Io sono non credente ma quello di cui sono certo è che la religione cristiana è ormai approdata al Dio Unico. Non era mai accaduto. Purtroppo in un mondo sconvolto la religiosità unica è un tesoro prezioso.