Fabio Tamburini

Forse è presto per dire che la luna di miele tra il secondo governo Conte e il mondo dell’imprenditoria è finita, ma certo in poche settimane il patrimonio di consensi iniziale si è pressoché dissolto. Almeno per il momento. In particolare il dissenso – un dissenso molto diffuso – riguarda tre provvedimenti: la tassa sulla plastica, quella sullo zucchero nelle bevande e l’inasprimento delle sanzioni penali per i grandi evasori (con la soglia ipotizzata a 100mila euro). Su questi fronti il governo è riuscito a coagulare una opposizione davvero ampia che, tra l’altro, sta crescendo. La motivazione chiave è presto detta. Il balzello previsto sulla plastica equivale a un euro al chilo, quando il polimero costa 0,90 centesimi al chilo, a volte perfino meno. Nel complesso significa 2 miliardi d’incassi all’anno che vanno a cadere su un solo settore, una somma abnorme. Il provvedimento, tra l’altro, avrà un effetto grave: mettere fuori mercato le aziende del settore, spiazzate anche dalla concorrenza europea. Per quanto riguarda la sugar tax ne viene denunciato il carattere del tutto arbitrario, che sfiora la demagogia. Lo zucchero è presente nell’alimentazione in tante forme. Perché mettere sul banco degli imputati soltanto i produttori di bibite? Di sicuro la nuova tassa sullo zucchero va a colpire soltanto bevande e aziende produttrici. Francamente, viene detto, non si capisce il perché e cosa hanno fatto di male. E il rischio, non trascurabile, è che per portare nelle casse dello Stato circa 250 milioni all’anno venga pagato un prezzo non trascurabile in termini di occupazione. L’assurdità è che la caccia ad entrate aggiuntive è stata scatenata per raggiungere l’obiettivo di evitare altre tasse, cioè l’aumento dell’Iva. Questo significa che pur di raccogliere risorse si è scelto di penalizzare duramente due settori, chiamati a pagare per tutti. Il risultato è una alzata di scudi contro il governo con pochi precedenti e che il governo stesso farebbe bene a non sottovalutare. Ugualmente impopolare si sta rivelando il provvedimento sul carcere quando l’evasione supera quota 100 mila euro. La premessa, da sottolineare con forza, è che le tasse vanno pagate fino all’ultimo euro, e che i livelli di evasione attuali sono inaccettabili. Già oggi le pene sono severe ma, nonostante ciò, il numero degli evasori incarcerati è irrisorio. Non solo. Fatti, e numeri, hanno dimostrato e dimostrano la sostanziale inutilità degli inasprimenti di pena. Tanto più che il quadro del diritto tributario è d’incertezza assoluta, caratterizzato da norme difficili da interpretare, complesse, causa di un mare infinito di contenzioso. Il rischio è che la minaccia del carcere produca soltanto il risultato di seminare altra incertezza, scoraggiando ancora di più il fare impresa. Errare è umano, ma perseverare non è proprio il caso. Quindi per far quadrare i conti sarebbe meglio trovare strade alternative, magari tagliando e non aumentando la spesa pubblica. Ancora meglio puntando con determinazione maggiore sul taglio del debito pubblico. Di sicuro misure fiscali punitive nei confronti di alcuni settori non sono sostenibili, né lo è alzare cortine fumogene puntando su provvedimenti di dubbia efficacia come l’inasprimento delle sanzioni penali.