Fausto Biloslavo

Il soldato sloveno in mimetica, fucile mitragliatore a tracolla, caricatori di riserva ed elmetto appeso al giubbotto tattico avanza nella boscaglia. Baffi e pizzetto biondi chiude la pattuglia con un altro militare davanti e un poliziotto in mezzo. Al loro fianco si srotola nella vegetazione il filo spinato per fermare i migranti sul confine fra Slovenia e Croazia di Podgorje. Il punto di passaggio più ambito dal flusso di clandestini che arriva dalla Bosnia, a soli 13 chilometri dall’Italia. I militari, che si mimetizzano fra gli alberi in assetto da combattimento, sono quasi tutti veterani delle missioni all’estero dal Mali all’Afghanistan. La Slovenia non si vergogna, come da noi, di mobilitare l’esercito e innalzare una barriera lunga 179 chilometri di reticolato e pannelli nella «guerra» contro l’immigrazione illegale. Quest’anno sono stati intercettati dal confine croato 10.040 irregolari fino al 9 settembre. Altri 5048 sono riusciti a passare in Friuli-Venezia Giulia da gennaio secondo i dati della prefettura di Trieste. Se lo sommiamo ai diecimila fermati in Slovenia i migranti arrivati dal fronte terrestre sono due volte e mezzo superiori ai 5.793 giunti via mare. «Il nostro compito è osservare, monitorare e proteggere la polizia nella lotta all’immigrazione illegale» spiega il maggiore Nataša Zorman, donna alta e vigorosa. Un elicottero Bell 206 pattuglia dal cielo individuando anche di notte i migranti con la camera termica. Nelle immagini dall’alto si vedono dei puntini neri avvicinarsi alla barriera. I migranti seguono il tragitto via google map condiviso da chi li ha preceduti e usano delle cesoie per aprirsi un varco nel filo spinato. L’esercito sloveno ha messo in piedi tre basi lungo il confine con la Croazia. E schierato nei pattugliamenti cinque plotoni di fanteria, 150 uomini, che utilizzano visori notturni, camere termiche e droni. «Per sorvegliare il confine una squadra specializzata lancia i velivoli senza pilota tattici, che hanno un raggio di azione di 40 chilometri» spiega il maggiore Zorman. Viljem Toškan, comandante della polizia di frontiera di Capodistria (Koper) che parla italiano, ne ha viste tante. «In Slovenia gli immigrati illegali si nascondono e marciano di notte per non farsi scoprire – osserva l’ufficiale – Quando raggiungono l’Italia camminano apertamente per strada e aspettano che la polizia venga a prenderli. Il loro obiettivo è arrivare da voi». E fare domanda di asilo politico anche se non ne hanno diritto. Ogni settimana sono previste 4 pattuglie miste con i poliziotti italiani lungo il confine fortemente volute dal precedente ministro dell’Interno Matteo Salvini. Da luglio hanno rintracciato appena 95 migranti. I poliziotti sloveni perlustrano i sentieri nel bosco del castello di San Servolo che domina Trieste e ci portano su uno dei punti di passaggio trasformato in improvvisato bivacco. Accanto a un rudere nascoste dalla fitta vegetazione ci sono ancora le coperte distese a terra dai migranti. «Si cambiano i vestiti usati durante il viaggio per rimettersi in sesto prima di scendere da questo sentiero che porta all’Italia» spiega un agente. Più che un sentiero è un budello nella boscaglia, che attraverso una scarpata spunta nella zona industriale di Trieste. Tutto attorno sono stati abbandonati un paio di scarponcini in buone condizioni, vestiti sporchi e laceri oltre a zainetti vuoti. I poliziotti fanno notare una bottiglia d’acqua minerale usata durante la traversata: «Guarda la marca. Viene dalla Bosnia». I migranti illegali arrivano soprattutto dal Pakistan, dall’Afghanistan, ma pure dal Bangladesh, Turchia e Algeria. «Talvolta quando li fermiamo ci chiedono: “Siamo in Italia?”» racconta uno dei poliziotti. «Il viaggio completo dal Pakistan può costerà fino a 10mila € – rivela il comandante Toškan – Dalla Bosnia pagano sui 2mila € il pacchetto completo per arrivare alla destinazione finale che può essere l’Italia, ma pure la Francia. Oppure 300-500 € ad ogni passaggio di confine». L’aspetto incredibile è che i passeur «vengono a prendere i migranti illegali anche da paesi del Nord Europa con auto a noleggio, furgoni o camper. E usano pure i taxi». Un gruppetto di migranti pachistani davanti alla stazione ferroviaria di Trieste spiega candidamente: «Siamo arrivati la scorsa notte a piedi dopo avere camminato per 15 giorni dalla Bosnia attraverso Croazia e Slovenia fino in Italia». In mezzo al gruppetto dei nuovi arrivati ci sono due «facilitatori» pachistani che parlano italiano e vivono in città. I migranti hanno il loro numero di cellulare e ascoltano i «consigli» su come andare a fare la richiesta di asilo e del permesso di soggiorno in Questura o prendere il treno per Milano, Bologna o Firenze. Tutto alla luce del sole, come se fosse una rete ben collaudata. E forse sarà per questo che due giovani del Bangladesh incrociati su una strada del Carso ammettono: «Siamo venuti dalla Bosnia perché l’Italia is good».