Federico Capurso

Mentre Beppe Grillo continua ad accarezzare l’idea di un’alleanza organica con il Pd, Luigi Di Maio prosegue in una esercitazione di fioretto e ad un passo di avvicinamento ne segue uno di distante prudenza. «Lo facciamo per i cittadini, lo capiranno», dice Grillo durante un pranzo con Paola Taverna, Carlo Sibilia, Nicola Morra. Quando invece Di Maio inizia a parlare dal palco di Italia 5 stelle per l’intervento conclusivo – e il fondatore abbandona la festa senza aspettarlo – il messaggio agli alleati del Pd si colora di più sfumature. Prima l’avvicinamento, aprendo timidamente all’alleanza strutturale proposta da Nicola Zingaretti, anche se sotto altre forme: «Non proporremo alleanze regionali con il Pd, al massimo proporremo patti civici», dice. Cambiano i nomi, la sostanza resta. Poi, però, apre una nuova distanza, affondando il colpo: «Non è vero che per votare bisogna fare un’altra legge elettorale, la legge attuale è operativa. Finché facciamo le cose restiamo al governo». Il sapore è quello salviniano, il contenuto uno sgambetto al Pd e a Giuseppe Conte, che sta invece lavorando a una nuova legge elettorale anche per disinnescare il referendum leghista che si dovrebbe tenere a giugno. Il Movimento esce dalla kermesse di Napoli con un volto comunque diverso. «Siamo cambiati», continuano a ripetere i big del partito. E la festa si chiude così, con Conte a Roma, Grillo lontano, e Di Maio da solo sul palco nel tentativo di dare concretezza alla riforma del partito che dovrebbe spalmare le responsabilità della sua leadership su una nuova classe dirigente. Un gruppo di 80 persone, tra coordinatori e responsabili di settore, che verrà plasmato da Di Maio. Difficilmente, quindi, riuscirà a sopire i mal di pancia di quei parlamentari che invocano una maggiore collegialità nelle scelte. Fino al 12 novembre a Di Maio perverranno le candidature per il nuovo organigramma: 6 membri che faranno parte di un comitato ristretto che si occuperà di organizzazione, comunicazione, coordinamento, e che per il loro ruolo particolarmente delicato saranno scelti direttamente dal capo politico. Poi 12 facilitatori, soprattutto parlamentari con le loro squadre, che si occuperanno di temi specifici. Anche qui, le candidature passeranno un vaglio preventivo del capo prima di essere messe al voto online. Infine, i referenti regionali, che Di Maio sceglierà pescando tra i più votati su Rousseau. E tutti questi meccanismi di selezioni – sibilano i dissidenti interni – li ha decisi Di Maio mettendo ai voti su Rousseau la sua proposta e nessun’altra. Le votazioni arriveranno a dicembre, ma Rousseau, nel frattempo, proverà a evolversi per provare un rilancio. Il sito web di Davide Casaleggio non è riuscito a sfondare. Adesso tenterà un restyling trasformandosi in una sorta di social network pentastellato. Gli iscritti avranno la possibilità di crearsi un proprio profilo, di avere una bacheca come Facebook, e di interagire così all’interno di altre cerchie di attivisti. L’ennesima evoluzione in casa Cinque stelle. «Siamo cambiati ma non vi abbiamo mai traditi», assicura Di Maio. La gente applaude e pensa già ai prossimi possibili traguardi nelle Regioni. Lì, il tema dell’alleanza con il Pd continua a restare caldissimo. Tra gli attivisti restano però dei paletti. In alcuni casi Di Maio dovrà provare a scavalcarli, come quello per il governatore uscente del Pd, Stefano Bonaccini, in Emilia-Romagna, e cercare di chiudere l’accordo anti-Lega. In altri casi, come in Campania, il veto sul presidente dem resta: «Un’alleanza con Vincenzo De Luca? Neanche per sogno», dice Di Maio. Grillo avrà indicato la direzione, ma la strada è più che accidentata.