Federico Capurso

Si dice «preoccupato», Marco Minniti, ex ministro dell’Interno dei governi Renzi e Gentiloni, osservando l’evoluzione delle tensioni tra la Turchia e la popolazione curda nella Siria del nord. «Se abbandonassimo i curdi dopo avergli chiesto di combattere per noi – dice – saremmo di fronte a un clamoroso voltafaccia della comunità internazionale. E i tradimenti, i voltafaccia, non fanno altro che alimentare i focolai di odio contro l’Occidente. Dobbiamo renderci conto che le conseguenze di questo conflitto ci coinvolgeranno». Il campo di gioco della crisi siriana appare però sempre più complesso. Quale soluzione prospetta? «Serve un intervento comune che veda insieme gli Stati Uniti, l’Europa e la Russia. Gli Usa non possono cancellare il loro ruolo nella Siria del nord e la Ue deve rendersi conto che in questacrisi siprospettanoevoluzioni che la coinvolgono, dal ritorno dei foreign fighters alla questione migratoria. La Russia, poi, è presente in Siria e ha buoni rapporti con Turchiae Iran; perquesto è l’unica che può costringere la Turchia ariflettere». Le posizioni di questi tre attori sono lontane dall’essere allineate. Gli Usa, per primi, non sembrano voler essere coinvolti, mentre i curdi chiedono di allestire una no-fly zone al confine con la Turchia. È una strada percorribile? «Èunaoperazionemoltoimpegnativa. Gli Stati Uniti hanno commesso un drammatico errore annunciando il ritiro dallaSiria, miaugurosenerendano conto il prima possibile. Non escludo nulla, sapendo che si tratta di un passo molto impegnativo. Se poi, in seguito all’interdizione della no fly zone, dovesse essere abbattuto un aereo turco, non potrei dire in che direzione si evolverebbe la crisi. Per questo, l’Europa deve entrare in gioco e ricoprire il ruolo che gli spetta nelMediterraneo». L’embargo delle armi imposto da più paesi europei alla Turchia è un primo passo? «È positivo che più Paesi europei abbiano aderito, ma dobbiamo dire che gli arsenali della Turchia sono strapieni. Non c’è un problema immediato di indebolimento in seguito all’embargo verso Ankara che sista mettendo incampo». Di fronte alla possibilità di un intervento più netto, il presidente turco Erdogan minaccia di aprire i confini e lasciar arrivare in Europa un milione di profughi. «L’Unione europea non deve farsi ipnotizzare dalla minaccia dei migranti. Se ci sarà un conflitto, ci sarà comunque un’ondata migratoria, sia che Erdogan apra i confini, sia che non li apra. L’unico modo per fermare questa minaccia è far terminare il conflitto. Non basta analizzare i problemi e poi chiedere agli altri di risolverli. I paesi leader in Europa devono iniziare ad assumersi le lororesponsabilità». La Turchia è un membro della Nato. Come si concilia questa necessità di sicurezza con gli equilibri interni all’Alleanza atlantica? «Siamo di fronte a una crisi senza precedenti dell’Alleanza atlantica. Questo è frutto probabilmente di una certa disinvoltura con cui è stato affrontatoiltemaTurchiainquesti anni. La Nato deve concentrarsi sul fronte Sud, non può solo pensare alla minaccia ad Est. Gli Usa hanno scelto di occuparsi principalmente dello scacchiere asiatico ed è uno scacchiereparticolarmenteimpegnativo. Abbiamo tutto l’interesse a dire che dobbiamo coinvolgere gli Usa nel Mediterraneo, ma l’unico modo per farlo è avere un ruolo di responsabilità, come Unione europea, nella sicurezza e difesa delMediterraneo». Quali rischi corre la Ue di fronte al conflitto tra Turchia e i curdi in Siria? «La crisi umanitaria sarebbe inevitabile. E c’è il rischio di una ripresa enorme, forse ancorapiùsignificativa,dellarotta balcanica dei migranti, alla qualesiaggiungelarottamediterranea,chenonsi èmaichiusa. L’Onu dice che nella Siria del Nord ci sono 150mila sfollati. Se le condizioni si fanno inaccettabili per la permanenza degli sfollati, allora dovremoaffrontareunanuovaondata migratoria verso l’Europa cheforse nonhaprecedenti». L’apertura delle prigioni siriane nelle quali sono rinchiusi i foreign fighters dell’Isis rappresenta un pericolo? «E’ da allarme rosso. La via più probabile per un eventuale ritorno dei foreign fighters, per altro, sarà quella dell’Africa settentrionale, dove esiste un’operatività già accertata di nuclei jihadisti. È il punto di congiunzione tra la crisi sirianaequellalibica.L’Europaverrebbe di nuovo messa in discussione sul tema della sicurezza del continente. E la comunità internazionale deve rendersi conto che si sta giocandolasuacredibilità». Cosa intende? «C’è la possibilità concreta che una parte di jihadisti rimasti in Siriastiapartecipandoall’offensiva turca contro i curdi. Sarebbe un paradosso inaccettabile. Noi abbiamo chiesto ai curdi di allearsi alla comunità internazionale per combattere l’Isis, ma ora li stiamo lasciando soli e, contemporaneamente, li abbiamo messi in condizione di essere cacciati dal proprio territorio dai jihadisti. Non possiamo più chiudere gli occhi o la storia ci presenterà il conto».