Federico Capurso

Non si chieda a Giuseppe Conte di avere fiducia nelle previsioni politiche. È stata sufficiente la crisi deflagrata a sorpresa in piena estate per instillare nel premier un sano scetticismo per certe cose. Diffidenza che riemerge in questi giorni, mentre osserva i giuristi del Pd scommettere sulla bocciatura a gennaio, da parte della Corte costituzionale, del referendum che la Lega depositerà oggi per modificare la legge elettorale. Se non andasse come pronosticano i Dem e a giugno Matteo Salvini vincesse la sua battaglia, la quota proporzionale dall’attuale Rosatellum verrebbe cancellata. Così, la Lega, anche andando da sola alle elezioni, farebbe il pieno di seggi. Un incubo per il governo giallorosso. Ecco perché palazzo Chigi ha già studiato la soluzione: «Approviamo una nuova legge elettorale in primavera». Modificando il sistema di voto, infatti, i quesiti referendari del Carroccio decadranno automaticamente, pur aprendo prospettive non meno fosche sulla legislatura. «Renzi potrebbe staccare la spina il giorno dopo l’approvazione della legge elettorale», temono sia nel Pd che nel M5S. Conte si augura però che l’ex premier fiorentino abbia maggior interesse a incidere sull’elezione del prossimo Capo dello Stato, nel 2022, che non rischiare le urne a pochi mesi dalla nascita del suo nuovo partito. E ancor di più, il presidente del Consiglio sa di non poter lasciare alla Lega l’occasione di modificare la legge elettorale a suo favore. Salvini trasformerebbe poi il voto in un voto sul governo e l’esecutivo, in caso di sconfitta, potrebbe non reggere l’urto. «Non possiamo permetterlo», ha detto il premier ai suoi. A palazzo Chigi credono infatti che il verdetto della Consulta non sia scontato come dicono i Dem. Il referendum ha qualche possibilità di passare il vaglio della Corte e il massimo esperto di cavilli e regolamenti della Lega, Roberto Calderoli, ne ha già offerto riprova, scovando alcuni precedenti che disinnescherebbero le obiezioni mosse dai giuristi del Partito democratico. Il giudizio della Consulta, poi, arriverà a gennaio. Troppo tardi per pensare di poter avviare una discussione sulla legge elettorale in tempo per giugno. Per questo – è la convinzione diffusa nella maggioranza – il tavolo va fatto partire subito, con l’obiettivo di avere un disegno di legge pronto per essere approvato in prima lettura in uno dei due rami del Parlamento entro febbraio. Tale è la fretta che Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio hanno già messo al lavoro i loro uomini. La prima assonanza trovata tra le due forze di maggioranza è sulla necessità di evitare un “modello proporzionale puro” – come lo stesso Conte ha detto pubblicamente –, perché porterebbe in Parlamento una miriade di partiti e partitini tale da rendere ingovernabile il Paese. Di Maio ha incaricato il suo fedelissimo Riccardo Fraccaro, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, di avviare le prime ricognizioni con i Dem questa settimana, mentre Zingaretti ha riunito i suoi ed è stato chiaro: «Dobbiamo discutere di un proporzionale con soglia alta o di un maggioritario a doppio turno». Ma non basta. C’è da affrontare anche la riforma dei regolamenti di Camera e Senato, da adattare al definitivo taglio dei parlamentari che arriverà il 7 ottobre. Un impegno enorme di modifica dei numeri, dei meccanismi, e in definitiva del funzionamento dell’intero Parlamento: «Dovrà essere tutto pronto – sostengono nel Pd – in tempo per l’approvazione della nuova legge elettorale, ma la Corte boccerà il referendum». A palazzo Chigi le certezze sono bandite; le speranze, tutt’altro.