Sylvain Broyer, capoeconomista di S&P Global Ratings per l’Europa, siede in un ufficio nel centro di Milano senza targa sulla porta. La più grande agenzia di rating del mondo è costretta a dissimulare la sua sede italiana per evitare atti di vandalismo. Eppure l’umore di Broyer, che partecipa da anni al Consiglio-ombra della Banca centrale europea, è tutt’altro che cupo. «La Bce ha dato tutto per prevenire una delusione sui mercati — dice —. E probabilmente non abbiamo ancora visto la fine della riduzione dei tassi, dato che le previsioni della stessa banca centrale sono state tagliate». Facciamo un passo indietro: lei pensa che il cambio di governo cambi la prospettiva per la tenuta dei conti in Italia? «È un po’ presto per dirlo, se si considera che l’aspettativa di vita media dei governi italiani nel dopoguerra è piuttosto breve. Ma il fattore positivoèil restringimento degli spread e la riduzione dei rendimenti, che migliorano le condizioni finanziarie per l’economia italiana». La crescita in Italia è quasi zero, ma paradossalmente nell’ultimo anno ha rallentato meno che in Germania. Come se lo spiega? «Nel quadro metterei anche la Francia e la Spagna, che vanno meglio. La Spagna sta ancora recuperando terreno dalla crisi e la Francia sta beneficiando delle riforme strutturali introdotte per le aziende e degli stimoli fiscali. I due ritardatari nell’area euro sono Germania e Italia, più colpite per la loro dipendenza dal settore delle autoedalla relativa domanda cinese. Ma la Germania è certamente giunta alla fine del suo modello economico e non sta facendo molto per stimolare la domanda interna. La differenza con l’Italia però non è nella politica di bilancio, che in Italia è anche più restrittiva.Ènella maggiore dipendenza dalla Cina». Dunque la debolezza tedesca non è transitoria? «Le regole di bilancio che la Germania si è autoimposta stanno facendo molti danni perché pro-cicliche, cioè tali da accentuare la frenata. I tedeschi amano rispettare le regole, ma nell’economia ce n’è una immutabile: la regola aurea dell’accumulazione degli investimenti. Il loro stock deve aumentare al ritmo della crescita della popolazione combinata con quella delle tecnologie. La Germania da anni non la rispetta. Ha circa 250 miliardi di investimenti in meno del necessario, nel settore pubblico e privato». Assicurazioni e fondi pensione soffrono per i rendimenti negativi. La Bce dovrà praticare in un modo o in un altri lo «helicopter money», dovrà creare denaro da distribuire ai cittadini? «È importante specificare: in un modo o nell’altro. La Bce da sola non può far crescere la produttività, risolvere la Brexit o le guerre commerciali. La politica monetaria è in trappola, se lasciata da sola: il debito nell’area euro in media è all’87% del prodotto lordo e con questi ritmi di crescita, di inflazione e con gli attuali, limitati deficit di bilancio per farlo scendere al 60% serviranno 15 anni. Dubito sia socialmente accettabile e che sia sostenibile per la Bce stessa. Serve un mix diverso fra politica monetaria e politiche di bilancio». Cosa intende dire? «Quando l’economia rallenta, cento euro di spesa pubblica in investimenti possono produrre 120 euro di prodotto interno lordo (Pil). In questo caso il mix con la politica della Bce aiuta, perché i governi si finanziano a costi bassissimi. E una modesta espansione di bilancio per investimenti può portare a una crescita che fa scendere il debito in proporzione al Pil». Dunque la banca centrale e i governi dovranno coordinarsi? «In questo mondo di bassa crescita, bassa inflazione, alto debito e sistemi pensionistici in crisi, la Bce non può far altro che continuareaaiutare. In tutti i modi. Ma la politica della Bceele politiche di bilancio dei governi sono due gambe e per avanzare servono entrambe. La Germania ha risparmiato troppo e non ha investito abbastanza: ora ne vediamo le conseguenze».