Federico Fubini Ecofin

Jakob von Weizsäcker è una vecchia conoscenza di Roberto Gualtieri: per anni i due hanno militato insieme nel gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo. Da qualche giorno il secondo è ministro dell’Economia in Italia e da pochi mesi il primo è capo-economista al ministero delle Finanze tedesco. I due potrebbero trovare il tempo di salutarsi già oggi stesso a Helsinki, all’incontro «informale» dei responsabili europei di politica economica. È uno scherzo del destino che sta mettendo l’uno e l’altro al centro nel confronto nell’area euro proprio adesso. Le loro posizioni sono speculari e l’una rischia di finire per influenzare l’altra. Von We izsäcker, c om e n ot a Bloomberg, a Berlino sta conducendo la sua campagna per una sorta di rivoluzione silenziosa. Sostiene che con tutto il debito tedesco su rendimenti negativi — c’è chi è pronto a pagare, a termine, pur di dare un prestito ventennale a Berlino — comprimere il deficit per investimenti non abbia senso. Ora che probabilmente è già in recessione, pensa von Weizsäcker, la Germania dovrebbe cambiare rotta e accettare un approccio espansivo. Idee del genere saranno discusse domani e sabato a Helsinki dai ministri finanziari dell’euro, anche se il punto non compare in agenda. Proprio ieri Mario Draghi, dopo aver presieduto uno dei suoi ultimi vertici della Banca centrale europea, ha acceso un riflettore sul problema: «Visti i rischi e l’indebolirsi delle prospettive, i governi con margini di bilancio dovrebbero agire per tempo e con efficacia», recita la dichiarazione della Bce. Per la prima volta l’invito diventa formale e pressante. Il ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz a Helsinki può aspettarsi azioni di lobby nello stesso senso da Francia, Spagna e forse dalla stessa Italia. È qui, però, che la questione tedesca in Europa incrocia la missione di Gualtieri a Helsinki. Il neo-ministro dell’Economia arriva infatti all’Ecofin informale di oggi con un obiettivo preciso: sondare i colleghi europei e la Commissione Ue, cercare di capire fin dove — e in contropartita di quali riforme in Italia — può spingersi il deficit nel 2020. Da quel dato deriva l’intera struttura del bilancio, che il governo deve indicare fra due settimane e definire entro un mese. Il tempo stringe e per ora non è facile far tornare i conti: se si blocca l’aumento dell’Iva già deciso per legge, il disavanzo è destinato a aumentare dal 2% del Pil quest’anno, al 3% o poco più il prossimo; se a ciò si aggiunge anche il taglio già promesso alle tasse sui lavoratori dipendenti, quel deficit può essere del 3,4% del Pil. A quel punto servirebbe una correzione drastica — circa 17 miliardi di tagli o nuove entrate — per riportare il rosso di bilancio a un livello accettabile anche a Bruxelles: un deficit del 2,4% al massimo. Il dilemma di Gualtieri è nella natura apparentemente intrattabile di queste grandezze. Il ministroaHelsinki ne parlerà con ministri e commissari europei che conosce da anni, per valutareipropri margini di manovra. Non ci sarà Pierre Moscovici, commissario uscente agli Affari monetari che dal primo novembre lascia la mano a Paolo Gentiloni. Sarà invece nella capitale finlandese Valdis Dombrovskis, il vicepresidente della Commissione con cui Gentiloni lavorerà fianco a fianco. Il lettone ha un’antica preferenza per politiche di bilancio meno permissive, mentre Moscovici e Gentiloni sono più malleabili. Fino ad oggi l’arbitraggio nei ripetuti negoziati sull’Italia spettava a Jean-Claude Juncker e il presidente uscente della Commissione si è sempre schierato con Moscovici. Resta da capire se anche la cristiano-democratica tedesca che gli succede, Ursula von der Leyen, preferirà lasciare Dombrovskis in minoranza. È qui del resto che il casoGermania si incrocia con la missione di Gualtieri a Helsinki. Se non nasceranno tensioni sui conti dell’Italia, chi a Berlino vuole fare deficit per investimenti avrà la vita più facile nel convincere governo e Parlamento. È ciò che oggi vuole tutta l’Europa. Invece il sospetto che a Roma si approfitti della recessione tedesca per far saltare le regole di bilancio europee, può creare in Germania l’effetto opposto: arroccamento, anziché apertura. Gualtieri lo sa. Sa che ha disperatamente bisogno di concessioni, ma non può permettersi di innescare strappi e tensioni in Europa proprio ora. Avanzare lungo una corda senza rete sembra più facile.