Federico Geremicca
Una giornata assai istruttiva per chi avesse dimenticato – o per chi non sa affatto, in ragione della giovane età – come funzionavano le coalizioni di governo al tempo della Prima Repubblica: cioè al tempo in cui vigevano leggi elettorali proporzionali. Cambiati partiti e protagonisti, le cose andavano precisamente come abbiamo – purtroppo- visto ieri. Andreotti o Craxi o Spadolini impegnati in incontri segreti, riunioni preliminari – prima il Pri, poi magari i socialisti o i liberali: la DC sempre per ultima – e infine vertici collegiali in piena notte per cercare una soluzione che non facesse fare brutta figura a nessuno. Ieri è toccato a Giuseppe Conte – in fondo un neofita della politica – vestire quei panni e stare dentro un copione barocco, difficile e che molti, onestamente, speravano di non vedere più. Una intera giornata di faccia a faccia, incontri con questa o quella delegazione di partito e poi un vertice collegiale per discutere quel che era già stato discusso e approvato, seppure «salvo intese». Al centro di una procedura, che molti avevano perfino dimenticato (le ultime foto di giornate così risalgono ai primissimi anni ’90), la manovra economica da varare ed i numerosi distinguo di Di Maio e Renzi. Dietro questi inattesi smarcamenti – che riguardano, in verità, aspetti non fondamentali della legge di bilancio – c’è naturalmente la necessità di mantenere una propria, esclusiva visibilità. Ma non solo. Infatti, sottotraccia alle fibrillazioni di questi giorni c’è anche – ed è l’aspetto che più dovrebbe preoccupare – la traiettoria, assai diversa, assunta delle parabole di Luigi Di Maio e Matteo Renzi: il primo in caduta libera, in difficoltà nel Movimento e sempre più insofferente verso la crescente popolarità di Conte; il secondo alle prese con una ripartenza irta di difficoltà e da nutrire con scarti e polemiche che segnalino, quotidianamente, l’esistenza in vita di un nuovo partito. Sia come sia, l’interminabile e surreale giornata di ieri ha segnato – alla fine – un riavvicinamento tra le parti: né poteva esser diversamente. Ognuno ha ottenuto qualcosa e tutti potranno dire di esser soddisfatti, e magari di aver vinto. Sarebbe però ingenuo immaginare che nella coalizione sia tornata la pace, visto che – anche se una legge elettorale proporzionale ancora non esiste – i partiti ragionano e si comportano come se ci fosse già: quindi, ognuno per sé e il resto si vedrà. Certo, si vedrà. Ma qualcosa, in verità, si vede già: i sondaggi puniscono la coalizione e premiano l’opposizione. La circostanza dovrebbe indurre, ovviamente, a fare squadra, abbassare i toni e mettersi a lavorare di buona lena. Sbaglieremo, ma non scommetteremmo affatto che le cose andranno davvero così.