Federico Rampini
«Abbiamo un accordo molto sostanziale per la fase uno». Così Donald Trump annuncia una tregua nella guerra commerciale con la Cina. Al termine dell’ennesima trattativa, mentre saluta e congeda la delegazione cinese che sta tornandosene a casa, Trump annuncia che l’accordo contiene «40 o 50 miliardi di dollari di esportazioni agricole dagli Stati Uniti alla Cina». Sostiene che è stata risolta anche la spinosa questione della «manipolazione del renminbi» cioè la svalutazione competitiva. Infine aggiunge ai contenuti dell’accordo «trasferimenti di tecnologie e protezione della proprietà intellettuale americana», senza fornire dettagli. Il suo segretario al Tesoro, Steve Mnuchin, espone la contropartita offerta dagli americani: «Non scatterà l’ulteriore aumento dei dazi al 30% che era previsto la prossima settimana». Dopo mesi di escalation nelle sanzioni commerciali tra le due superpotenze, la tregua è una notizia positiva, lungamente attesa. Si aprono le dietrologie sul perché proprio ora: tra gli scenari più verosimili circola l’idea che Xi Jinping abbia voluto scegliere il momento di massima debolezza di Trump sul piano interno (la procedura d’impeachment) per offrirgli un accordo conveniente per i cinesi. Di sicuro questa è una fase in cui la Casa Bianca ha disperatamente bisogno di qualche successo da esibire all’opinione pubblica. I mercati hanno reagito con rialzi consistenti ma non eccezionali. Si direbbe che aspettino di avere altri elementi. La delegazione cinese non ha fornito alcuna garanzia sul cambiamento delle proprie leggi sulla proprietà intellettuale. Un documento scritto e dettagliato forse ci sarà solo tra cinque settimane al summit in Cile in cui Trump e Xi s’incontreranno. Potrebbe essere quello il momento della firma su un documento con tutti i dettagli. Spicca anche dalle parole di Trump l’assenza di temi importanti del contenzioso bilaterale: l’embargo sulla telefonia di quinta generazione della Huawei non fa parte dell’accordo. Non scattano i rincari ulteriori dei dazi ma nulla è stato detto su un calendario per l’eliminazione dei dazi in vigore. Non c’è stato accenno agli aiuti di Stato e altre forme di protezionismo cinese che distorcono la concorrenza. Ammesso che Trump abbia deciso di mollare su alcune richieste pur di poter esibire un accordo, i suoi eventuali cedimenti rischiano di venirgli rinfacciati. I democratici hanno avuto una sterzata anti-cinese. Tra i repubblicani c’è un’ala guidata dal senatore della Florida Marco Rubio, che spinge per forme di embargo finanziario come il divieto ai fondi pensione Usa d’investire in aziende cinesi. Per adesso le parti minacciate dal prossimo rincaro dei dazi tirano un sospiro di sollievo. E stappano Prosecco – non colpito dai dazi – gli agricoltori del Midwest.